«Il faro monastico», il nuovo libro di Armando Santarelli dedicato al Monte Athos

La pubblicazione di questa seconda opera di Armando Santarelli dedicata al Monte Athos, Il faro monastico (Edizioni Fili d'Aquilone, 2022), rappresenta una piacevole sorpresa. Chi tra i lettori si aspetta il seguito delle descrizioni, degli incontri, delle emozioni che l’autore ci aveva intimamente raccontato nella Montagna di Dio, rimarrà piacevolmente deluso.
Quello del nostro autore è infatti un lavoro nuovo e originale nella vasta e variegata letteratura athonita: un libro che compendia, cita e riassume i testi che furono scritti sulla Santa Montagna da autori di eccezione, a partire dai pellegrini occidentali che per primi, nei secoli XIV e XV, visitarono l’Athos, fino alle grandi firme letterarie degli anni Trenta del Novecento. In mezzo, le voci di altri autorevoli osservatori della vita dei monaci athoniti: ecclesiastici e storici, ma anche botanici, bibliofili, diplomatici, artisti, sociologi e semplici curiosi in grado di descrivere con colori vivi e sentita partecipazione la loro esperienza dell’Aghion Oros.

Un’opera, dunque, lontana dai libri-cartolina che continuano a fiorire intorno all’Athos; il nostro scrittore ha letto più di cinquanta opere sulla Santa Montagna, per poi selezionare quelle che a suo parere spiccavano per valore letterario, per originalità o per acume di osservazione.

È un criterio che ha comportato la scelta anche di alcune testimonianze critiche nei confronti della comunità monastica athonita e che, per ragioni di obiettività, ha dato voce anche a quei pochi visitatori rimasti delusi dall’Athos, o che lo hanno apprezzato con qualche riserva. Questo approccio, anche se sulle prime sembra gettare qualche ombra sull’immagine idealizzata che molti hanno dell’Athos, ne dà però un quadro più completo e più realistico.
Tuttavia, come le pagine di questo volume testimoniano, anche i giudici più severi del mondo athonita non poterono evitare di esternare la loro ammirazione per la profonda devozione riscontrata nei monasteri più osservanti, per la reputazione spirituale di alcune figure carismatiche, per l’enorme influenza esercitata dall’Athos sull’intero mondo ortodosso.

Se scrittori del calibro di Robert Curzon o di Athelstan Riley da un lato non si fanno scrupolo di ironizzare sull’ignoranza dei monaci, dall’altro ammettono però di essere stati molto colpiti dall’umiltà e dalla religiosità di chi è entrato all’Athos per assecondare una genuina e profonda vocazione. E se alcuni, come osservano questi illustri visitatori, si sono fatti monaci solo per fuggire dal mondo o da situazioni familiari difficili, molti altri sono invece vere figure angeliche, uomini chiamati da Dio e capaci di attingere l’esichia, lo stato di quiete interiore derivante dalla comunione col Signore.
Se alcune pagine di questo libro ci raccontano dell’atmosfera di rinnovamento spirituale che investì l’Athos nella seconda metà del Trecento in seguito alla riforma esicastica di Gregorio Palamas, altre, non meno belle, si soffermano sulla riforma voluta dal Patriarca Gabriele IV alla fine del Settecento, tesa a riorganizzare l’amministrazione centrale e a ripristinare il senso e l’importanza della forma cenobitica. Constateremo soprattutto come nel corso dei secoli non sia tanto l’Athos a mutare nella sua sostanza, quanto piuttosto i suoi visitatori, i quali hanno manifestato impressioni e giudizi, di volta in volta diversi, a seconda dell’epoca in cui vissero, del mondo da cui provenivano, del loro ambiente e della loro cultura.

Ascolteremo la voce rispettosa del monaco fiorentino Cristoforo Buondelmonti, precursore delle ricerche sulla Grecia antica; quella intrigante di Robert Curzon, fra i massimi bibliofili di ogni tempo; quella sincera e appassionata di Robert Byron, uno dei più grandi studiosi di arte bizantina; e seguiremo con ammirazione e sconcerto i giudizi brillanti e spregiudicati del diplomatico e letterato francese Eugène-Melchior de Vogüé, e con vero piacere le splendide storie raccolte, paradossalmente, da uno dei dissacratori dell’Athos, il dandy inglese Ralph Brewster.
Tutto questo, nella consapevolezza che se nel corso dei secoli il mondo intorno alla penisola athonita è cambiato molto, l’Athos è rimasto fedele alla sua struttura fondamentale, conservando l’impianto istituzionale e la forza spirituale che lo hanno sempre contraddistinto.

Purtroppo, è proprio ai nostri giorni che si sta verificando il mutamento più incisivo che l’Athos abbia conosciuto nell’arco della sua lunga storia. Quello a cui si assiste è un fenomeno a due facce: da una parte non possiamo che salutare con favore il miglioramento culturale della società athonita, la sua apertura alla scienza, alla tecnologia e alla modernità; dall’altra dobbiamo ammettere che tutto ciò comporta il rischio di una lenta, ma costante penetrazione di uno stile di vita diverso da quello che è stato l’ideale ascetico e monastico che ha contraddistinto per secoli l’Athos. 

Ma chi conosce e ama l’Athos non dispera. La comunità athonita è rinata più volte dalle ceneri della storia. Questo libro, attraverso le testimonianze che riflette, è l’ennesima dimostrazione del persistere, ancor oggi, di quella che Dimitri Obolensky chiamava «la corrente alternata di uomini e di idee da e per il Monte Athos», una corrente che continua a fluire ininterrottamente da più di mille anni.      

 




Giuseppe Sergio Balsamà
(n. 4, aprile 2022, anno XII)