Sulla Romania di Ceaușescu tra farsa e tragedia Ne La Romania di Ceaușescu tra farsa e tragedia: Il sentimento tragico della Storia (Mimesis Edizioni, 2020), Armando Rotondi, grande conoscitore tanto del teatro e dei suoi stilemi quanto della Romania e della sua storia, rilegge la vicenda umana dei coniugi Ceaușescu, Nicolae ed Elena, secondo i canoni della tragedia. Quello che potrebbe apparire un divertissement, si configura piuttosto come un serio e valido tentativo di dare corpo a quel sentimento tragico della vita di cui parlava Miguel de Unamuno e farlo storia. Ecco, quindi, che ripercorrendo la vicenda del dittatore romeno e della moglie, Rotondi propone una sorta di una Storia teatralizzata, o meglio, la Storia che si fa teatro (tragico). Se, come affermava Totò, al cuore della commedia c'è sempre la tragedia, allora, proprio come nello Ying e lo Yang, al cuore della tragedia c’è inevitabilmente la commedia, o meglio il germe della farsa che verrà, come già aveva sostenuto Marx (la genesi di questa famosa idea è discussa in maniera approfondita nel libro). Come Rotondi dimostra, documentandolo attraverso una dettagliata analisi bibliografica, esiste una ampia tradizione letteraria e filosofica che ha interpretato la storia come tragedia; diversi autori romeni si sono posti in questa scia rendendosi conto in passato di come commedia e tragedia si intrecciassero e in qualche modo caratterizzassero aspetti della storia della Romania contemporanea, particolarmente in riferimento alla specifica ideologia comunista che ispirava il partito al governo e l’opera stessa del dittatore. Rotondi va oltre, rileggendo l’intera vicenda della Romania comunista in quest’ottica dinamica e dicotomica. Oggetto del capitolo 4 è la repressione culturale della minoranza magiara, per cui lo sguardo è rivolto al sistema censorio approntato dal regime. Maggiore approfondimento è rivolto al senso del tragico e nell’opera dell’autore-teatrologo di cultura ungherese András Sütő così come nelle pièces di altri drammaturghi. I loro testi vengono analizzati in dettaglio nella traduzione inglese. Nel capitolo 5 si discute invece di come nel periodo post-comunista drammaturghi, tra gli altri Dinulescu e Stănescu, abbiano utilizzato la farsa/parodia per mettere in scena il recente passato. Nicolae ed Elena sono figure imprescindibili in questo contesto. Essi sono a volte rappresentati come vampiri, a volte come fantasmi, al fine di prendersi gioco di loro, di vendicarsi tramite lo sberleffo. Allo stesso tempo, tuttavia, si finisce per riconoscere che non ce ne si può liberare facilmente: essi sono i non-morti, i morti non del tutto. Icone culturali, oppure ossessioni collettive, Nicolae ed Elena continuano a popolare l’esistente della Romania contemporanea. I capitoli 6 e 7 sono incentrati rispettivamente sul reenactment come forma espressiva e rappresentazione storica e sul documentarismo sperimentale di Andrei Ujică, il cui lavoro pone interessanti interrogativi sulla filmabilità del reale e sulla trasformazione che esso subisce nel suo passaggio attraverso la macchina da presa. Alcuni suoi film, e in particolare Autobiografia lui Nicolae Ceaușescu, sono qui analizzati nel dettaglio. Il capitolo 8 è completamento rivolto a Matei Vișniec, che ha lavorato tanto in Romania quanto nell’esilio francese, e la cui opera è qui letta e interpretata come una riflessione sullo «schiacciamento dell’individualità» da parte del potere, sia esso dittatoriale o democratico. Il suo teatro è tuttavia in primo luogo un atto di accusa contro il comunismo come ideologia, di cui si mette in scena l’assurdità, che facilmente sfocia nella farsa. Nel capitolo 9 viene infine analizzata l’opera dell’intellettuale e critico Norman Manea e le sue riflessioni sull’identità romena e sul ruolo dell’intellettuale all’interno dei sistemi totalitari. Manea ha avuto esperienza tanto del regime fascista di Antonescu (forse il vero iniziatore della «tragedia farsesca» di cui parla Rotondi) quanto di quello comunista. Il personaggio del clown emerge qui come la figura centrale dell’analisi di Rotondi, che rileva come il clown sia, in Manea, metafora del potere, maschera che svela la ridicolezza dello stesso, per cui l’intero regime di Ceaușescu può essere in ultima analisi definito come un «culto del clown». Nel presentare il tiranno o il dittatore come clown, Manea ribalta la figura del giullare come avversario del potere e vendicatore morale degli oppressi, che, come è noto, è invece uno dei capisaldi narrativi del drammaturgo italiano e premio Nobel Dario Fo. Nelle conclusioni, il gioco proposto da Rotondi, il continuo andirivieni tra realtà e finzione, tra storia e teatro, tra farsa e tragedia, giunge alle sue conclusioni ultime e necessarie. Per Rotondi, a ben vedere, la farsa si configura come l’unico espediente letterario capace di rappresentare quella che è la tragedia della vita sotto la dittatura, e questo perché la dittatura nega gli elementi necessari alla rappresentazione teatrale del tragico: non c’è (il) Dio e non c’è l’eroe, ma solo un potere immobile e immobilizzante che col passare del tempo prende sempre più l’aspetto di un patetico clown, farsesco egli stesso. Tuttavia, dall’analisi dei testi emerge come ci sia stato un momento della storia romena in cui la Storia, con la S maiuscola, si è presentata al contempo sotto forma di tragedia e di farsa: il processo a Nicolae ed Elena – ancora una volta l’alfa e omega di questa analisi, nonché di una buona parte della storia della Romania contemporanea. Il processo in sé, durato meno di un’ora e seguito da una esecuzione immediata, fu evidentemente una farsa. Eppure, da un punto di vista narrativo, c’era forse altra possibilità che non mettere in scena quella (tragica) farsa per concludere il racconto di una tragedia storica, il potere comunista, che aveva spesso assunto toni farseschi? Eliminati questi difetti, il libro di Rotondi emerge come un lavoro concettualmente complesso, frutto di una ricerca profonda su una vasta gamma di testi teatrali che sono qui analizzati tanto col puntiglio filologico dello studioso di storia del teatro quanto con la professionalità del ‘tecnico della letteratura’. Rotondi ha sicuramente una vasta preparazione e molte buone idee, che fanno di questo libro una lettura importante, e forse imprescindibile, per quanti si occupano di teatro romeno, e anche per coloro che semplicemente amano meditare sul ‘sentimento tragico della vita’.
Gianluca Fantoni |