«Kierkegaard Renaissance» nella visione di Igor Tavilla

È andato in stampa quest’anno un lavoro di Igor Tavilla, un giovane studioso italiano specialista dell’opera kierkegaardiana, intitolato The Reader, the Lover, the Prophet. Views on Kierkegaard (Kierkegaard Circle, Toronto-Lubiana, 2023). Questo suo primo libro in inglese segue i precedenti lavori sul pensatore danese, pubblicati in Italia – Ordet di Carl Theodor Dreyer. Il miraggio kierkegaardiano (ETS, Pisa, 2007), Senso tipico e profezia in Søren Kierkegaard. Verso una definizione del fondamento biblico della categoria di Gjentagelse (Mimesis, Milano-Udine, 2012) – a cui si aggiungono diversi volumi tradotti dalla lingua danese: Harald Høffding, Kierkegaard umanista (Castelvecchi, Roma, 2015), Søren Kierkegaard, Io voglio onestà: contro le menzogne ​​del cristianesimo ufficiale (Castelvecchi, Roma, 2016; ristampato nel 2022), Peter P. Rohde, Søren Kierkegaard. Un genio in una città provinciale (Castelvecchi, Roma, 2018).
L’opera che presentiamo qui prosegue quindi nell’indagare le tematiche che Igor Tavilla ha affrontato nei libri precedenti: approfondendo il fondamento biblico dell’opera kierkegaardiana e integrandone i concetti chiave (“ripetizione”, “stadi”, “salto”, “via della vita”) in un contesto morale e religioso più ampio, specificamente cristiano. L’autore ha dedicato a questo tema il suo lavoro del 2012, poc’anzi citato (Senso tipico e profezia in Søren Kierkegaard), e disponibile per ora solo in italiano. Le opere di Tavilla si inseriscono nel quadro più ampio della cosiddetta “Kierkegaard Renaissance” e, più particolarmente, della “primavera biblica degli studi kierkegaardiani” (Senso tipico..., p. 19), di cui si è avuta nota negli ultimi trent’anni. Seguendo le orme di Northrop Frye, ma anche di altri autorevoli esegeti, Tavilla esamina nel dettaglio non solo i concetti kierkegaardiani, ma si addentra nella struttura del suo pensiero, nel suo senso tipologico, diverso da quello scientifico-causale, basato su ragione, osservazione e conoscenza.
Kierkegaard riuscì a stabilire un collegamento alquanto vivido tra filosofia e religione, tanto da poter essere considerato un filosofo-teologo, seguendo le orme dei suoi illustri predecessori, Sant’Agostino e Pascal. Il merito del libro di Tavilla è quello di sottolineare questa dimensione del pensiero del filosofo danese, attraverso analisi molto approfondite, che hanno al contempo il pregio di concentrarsi sull’essenziale, grazie a una sorta di economia del discorso, scevro da pedanteria e da un approccio di tipo “onnisciente”. Il libro ci restituisce l’immagine di un Kierkegaard diverso da quello riscoperto dall’esistenzialismo francese negli anni ’50-’60 del secolo scorso.
Il titolo del volume si riferisce alle tre fasi della creazione di Kierkegaard, che coincidono anche con gli eventi decisivi della sua biografia. Questo modo di interpretare il pensiero di Kierkegaard attraverso la biografia non è nuovo, ma l’autore non indugia sugli episodi e i plessi teorici più noti. Ad esempio quando affronta il tema dell’amore nell’opera del filosofo, Tavilla lo segue non tanto nelle opere del ciclo Enten-Eller (1843), quanto piuttosto nelle opere successive, segnatamente ne Gli atti dell’amore (1847), così da offrire al lettore una visione d’insieme su un tema specifico, sullo sfondo dell’intera opera del filosofo, come pure della sua sterminata esegesi critica.
I tre capitoli principali sono strutturati come una lettura in parallelo dell’intera opera kierkagaardiana e del corpus biblico, un laborioso approccio ermeneutico, attraverso il quale Tavilla porta in superficie numerosi temi, simboli, metafore o citazioni ad litteram della Bibbia, che di fatto costituiscono le fondamenta del pensiero Kierkegaard. Una tale lettura si direbbe smentire l’avvicinamento troppo affrettato che alcuni esegeti hanno fatto tra Nietzsche e il filosofo danese quali pensatori crepuscolari del cristianesimo e annunciatori della modernità post-religiosa. I suoi attacchi al cristianesimo istituzionalizzato possono quindi essere meglio compresi non tanto attraverso la critica nietzscheana della religione quanto piuttosto attraverso la teoria di M. Eliade sulla rivelazione del sacro mediante il ritorno al significato originario di un testo o rito religioso.
Un’appendice del volume è appositamente dedicata all’influenza che Kierkegaard ebbe sul pensiero sia del giovane Eliade che su quello degli anni più maturi del periodo portoghese. È davvero un caso felice che anche uno specialista di critica kierkegaardiana si sia occupato di questi rapporti relativamente complessi; tra le immense letture del giovane Eliade figura anche Kierkegaard, ed è possibile che parte del “sistema” kierkegaardiano sia stato mediato da autori quali Miguel de Unamuno, Nae Ionescu o Giovanni Papini, tutti grandi frequentatori del pensatore danese. L’influenza ha però dei limiti: i concetti di angoscia, di disperazione e i loro rapporti con la libertà umana non trovano eco nel pensiero di Eliade, che si colloca sul lato “luminoso” dell’esistenza, o almeno non cerca di indagare nel sottosuolo di questa. Molto importante, invece, è la tendenza comune ai due autori a tornare alle origini della religione per riscoprirne il significato profondo, immutato dall’evoluzione storica e dai rapporti tra Chiesa e Stato.
Un altro testo degli Addenda è dedicato all’analisi del film Ordet (1954), diretto da Carl Theodor Dreyer, tratto dall’omonima opera teatrale di Kaj Munk, pubblicata nel 1925 e messa in scena nel 1932. Il tema dell’opera è profondamente kierkegaardiano, e la sua ricezione da parte dei critici risulta ampiamente condivisa. L’analisi di Tavilla, tuttavia, non si ferma a questo livello, ma si porta sulle modalità attraverso le quali Kierkegaard e Dreyer mascherano la propria presenza come autori delle loro opere. Si tratta della cosiddetta teoria della comunicazione indiretta (la strategia del filosofo danese di utilizzare diversi pseudonimi per affrontare un determinato problema da angolazioni diverse), ma anche di alcune somiglianze estetiche che si possono stabilire tra gli stili dei due autori, nonostante Kierkegaard sia vissuto prima dell’avvento del cinema.
In conclusione, la pubblicazione di questo libro in inglese costituisce un evento editoriale degno di nota, l’autore essendo uno specialista di critica kierkegaardiana nonché traduttore dalla lingua danese. Il volume, stampato in una elegante veste grafica, comprende un esauriente apparato critico. L’approccio ermeneutico portato avanti dall’autore è obiettivo e chiaro, ma il lettore resta comunque libero di formulare le proprie conclusioni. Il testo riflette l’esperienza che Igor Tavilla ha maturato nel campo degli studi kierkegaardiani, dischiudendo allo stesso tempo nuove direzioni interpretative al loro interno. Il nostro augurio è che questo libro venga tradotto anche in altre lingue, per raggiungere un pubblico ancor più ampio.




Gabriel Badea
(n. 12, dicembre 2023, anno XIII)