L’archeologia di Roma, attraverso testo e immagini

Recentemente, alla fine dell’anno scorso, la monografia di Laura Mesina L’oblio di Roma. Studi di archeologia dell’immaginario (Ed. Institutul European, Iași, 2015; prima edizione 2013) è stata pubblicata in traduzione italiana presso la casa editrice Mimesis.
L’autrice è professoressa associata presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bucarest e segretaria scientifica del CESI (Centrul de Excelență în Studiul Imaginii). In effetti, è una delle persone che hanno investito moltissimo tempo, passione ed energia intellettuale per il funzionamento del Centro di studi a un livello di performance paragonabile a quello delle grandi università europee e la sua integrazione nel circuito intellettuale europeo. Il presente volume, per il suo contenuto e approccio, rappresenta una prova in questo senso: l’apparato bibliografico contiene tutti i titoli recentemente apparsi nell’ambito accademico continentale, tanto i lavori teorici dedicati allo studio delle immagini e dell’immaginario (C.G. Dubois, G. Durand, J. Thomas, J.J. Wunenburger), quanto quelli dedicati alla tarda antichità e alla civiltà bizantina (S. Benoist, G. Dagron, A. Grabar, M.J. Mondzain). Orientarsi all’interno di un campo di indagine così vasto, vista l’ampiezza semantica dell’immaginario, del suo dinamismo e della sua storicità, ha costituito la principale difficoltà nella stesura della presente opera. Certo, in romeno ci sono vari studi dedicati all’immaginario, come quelli firmati da Lucian Boia e Corin Braga (accanto ad altri membri del gruppo di ricerca Phantasma di Cluj). Tuttavia, il merito del presente lavoro consiste in ciò che chiamerei un ascetismo della scrittura, la trattazione rigorosa dei temi della ricerca, l’orientamento preciso attraverso il labirinto concettuale dovuto alle opere fondamentali di Platone, Aristotele e Plotino, fondatori della riflessione filosofica dedicata alla natura e alla funzione dell’immagine, nonché ai suoi rapporti con le grandi categorie filosofiche.

Problemi metodologici e l’attualità dell’approccio

Dal punto di vista metodologico, il lavoro deve moltissimo al pensiero di Michel Foucault, applicandone il metodo archeologico o genealogico del sapere [1], focalizzandosi sulla costellazione dell’immaginario come tema principale di studio, un campo di indagine frequentato sotto questa dicitura specialmente nel contesto francese. Ma si può parlare di una scienza dell’immaginario o il suo ambito appartiene piuttosto alla “dossologia”? Foucault afferma che l’ambito della storia delle idee oltrepassa questo dilemma, considerando che un’archeologia del sapere «non va con lenta progressione dal campo confuso dell’opinione alla singolarità del sistema o alla definitiva stabilità della scienza; non è una “dossologia”; ma un’analisi differenziale delle modalità del discorso» [2].
L’oblio di Roma si inquadra in questo paradigma, essendo un’opera di storia delle idee [3] che discute di temi fondamentali per l’ambito delle scienze umane: «di mito, schema, mentalità e rappresentazione sociale, di narrazione e tempo, ma anche del metodo archeologico con cui ci si può avvicinare all’immaginario» [4]. Il merito del libro è di studiare nel dettaglio un momento cruciale nella vita delle immagini, sopraggiunto con l’ascesa di Costantino I e la sua conversione al cristianesimo, non solo dal punto di vista formale, ma anche in un modo che annuncia il crepuscolo della civiltà romana, dell’ancestrale panteon divino e delle formule cultuali di celebrazione degli antichi dèi. Il rapporto dialettico tra memoria e oblio, come pure tra memoria e immaginazione/immaginario costituiscono gli assi principali dell’opera: cosa ha significato in pratica l’oblio di Roma e la fondazione di un altro centro di potere (laico e spirituale) a Costantinopoli? È forse un caso che una torsione tanto importante della memoria collettiva sia coincisa con mutamenti fondamentali nel regime dell’immagine (implicitamente anche dell’immaginario)? Forse che le controversie legate allo statuto delle immagini preannunciano mutamenti degli schemi che fungono da fondamento alle civiltà, compreso, com’è anche oggigiorno, lo scontro tra una civiltà iconoclasta e una iconodula?

Funus imaginarium, il rituale funebre e di glorificazione dell’imperatore

L’opera è dedicata all’immaginario della tarda antichità nel contesto greco-romano, analizzando in modo esaustivo il rituale detto del funus imaginarium, celebrato alla morte degli imperatori romani. È importante ricordare due aspetti, il primo di ordine terminologico, il secondo di ordine metodologico. Innanzitutto, il termine funus non dev’essere inteso solamente nel senso di “funerario, funebre”. Sebbene il rituale vero e proprio si svolgesse alla morte dell’imperatore, esso concentrava una pleiade di significati, e uno dei meriti particolari dell’opera consiste nella minuziosità e nel rigore attraverso cui sono ricostruite le sequenze del rituale, ciascuna delle quali è “animata” mediante l’apporto sostanziale di concetti filosofici e religiosi, di valori morali, mitologici, metafisici classici. Rito di passaggio e insieme psicodramma collettivo, il funus imaginarium rivela il ruolo fondamentale dell’immaginario nella costituzione e nella perpetuazione di un determinato modello socio-culturale. Al tempo stesso, il rituale agevola il passaggio in un determinato momento di crisi della vita della società, un trasferimento di potere il più possibile pacifico, evitando dunque lo spettro della guerra e lo sprofondamento della società nel caos (dato il frequente ricorso alle guerre civili di successione nella storia di Roma antica).
La seconda precisazione, di ordine metodologico, si riferisce alla delimitazione del campo d’indagine, con una chiarezza quasi geometrica. Sebbene l’immaginario abbia una connotazione “negativa”, rimandando al fantastico o avendo un carattere fantasioso, nel presente lavoro è messo a tema il suo aspetto realistico: «il “seme” che cerchiamo attraverso l’indagine “archeologica”, [è un] senso definitorio per la comunità, non derivato, “realistico”, vicino all’esigenza fondamentale di legittimare un passato e di avere un simbolismo “oggettivo”, confermato dalla realtà ed efficace nel futuro» [5]. Il merito incontestabile dell’opera sta nel mettere in evidenza l’aspetto “realistico” della memoria e dell’immaginario collettivo, respingendo così la loro limitazione ai registri del fantastico e dell’ingannevole, là dove erano stati ostracizzati dal razionalismo moderno. Così, la costruzione della realtà è fatta su un fondamento razionale, ma allo stesso tempo «l’immaginario può costringere, provocare e modificare alcuni aspetti della realtà» [6].
Trattandosi di un lavoro di storia delle idee e rivendicando in modo diretto la propria ascendenza foucaultiana, la problematica e il suo background tematico oltrepassano l’approccio di tipo strutturalista. (Si potrebbe scrivere, ad esempio, una storia comparata dei rituali funerari dedicati ai detentori del potere temporale, nell’ambito delle diverse culture o civiltà, identificando i rapporti tra le diverse sequenze rituali, poi una struttura stabilita e universale di significato, sulla base della quale si potrebbe dimostrare l’esistenza di un meccanismo inconsapevole che starebbe alla base di ogni mito, rituale o testo sacro). Il superamento del metodo strutturalista è compiuto tuttavia in modo reverenziale, visti i frequenti rinvii alle opere di Gilbert Durand dedicate all’immaginario.
L’opera analizza in modo magistrale, respingendo semplificazioni e generalizzazioni affrettate, il trasferimento ovvero la migrazione di alcune unità discorsive dal campo della filosofia a quello dell’immaginario politico o religioso. Un esempio in tal senso sono i due capitoli, Il pensiero greco, tra politico e immagine e L’immaginario del potere cristiano di rito bizantino. È descritto così lo spettacolo affascinante attraverso il quale certe idee filosofiche prevalgono su altre, in determinati periodi storici, diventando creatrici del reale. Sebbene la filosofia antica abbia notato assai presto la dipendenza dell’immagine dalla sensazione (aisthesis), la prossimità all’opinione (doxa) e perciò l’inferiorità in rapporto all’episteme, la conoscenza di tipo scientifico, l’autrice dimostra che nella Repubblica di Platone, «l’immaginazione e il lógos contribuiscono, parallelamente e in modo relativamente uguale, alla costruzione del percorso noetico» [7]. Quindi, sono analizzati i rapporti tra politeia, giustizia e immaginazione, cioè il modo in cui attraverso l’immaginazione di una pólis, creata mediante il discorso, si giunga all’essenza teoretica del sintagma «immaginario del politico» [8]. L’argomentazione di questo capitolo illustra in modo più che convincente il complesso sistema dei rapporti reciproci tra immaginario e politico: «il pensiero del politico è un tema centrale ed emergente, sia nel processo di immaginazione e simbolizzazione della realtà, importante non solo per la realtà stessa, ma anche per la memoria dell’identità collettiva» [9]. Pertanto l’immaginario non è costruito solo mediante l’apporto della phantasia, non è semplicemente apparenza e non essere, ma può servire come strumento per facilitare il pensiero di tipo noetico, rendere la realtà intellegibile e costruire un discorso sul passato (tutto ciò in accordo col postulato di Aristotele, secondo il quale «non possiamo pensare senza immagini»). La riabilitazione dell’immaginazione è ancor più pronunciata nel caso di Aristotele, essendo svincolata dalla relazione con la doxa, ricevendo uno statuto estetico e paidetico, attraverso la mediazione delle “arti” avendo un ruolo nel programma educativo della pólis.
Il secondo capitolo, Semantica e rituale. Dal ʻkolossósʼ alle ʻimaginesʼ costituisce un percorso affascinante attraverso il labirinto di diverse teorie, paradigmi, rapporti istituiti da parte delle principali scuole filosofiche dell’antica Grecia, allorquando hanno meditato sull’immagine e sul suo statuto intermedio, tra sensazione e concetto, tra sensibile e intellegibile, tra essere e apparenza. Sono ampiamente analizzati i tre tipi di immagini (icastica, onirica e iconica) in rapporto con le tre funzioni dell’immaginazione: mimetica, fantastica e simbolica.
L’immaginario può essere pensato come un mediatore tra individuo e società, come un registro, un codice simbolico attraverso il quale l’individuo interiorizza i sensi astratti che governano la società entro la quale vive per un certo lasso di tempo, sensi che sono orientati tanto in senso analettico, nel dominio della memoria collettiva, quanto in senso prolettico, nei domini dell’utopia, dell’ideologia, dei millenarismi e delle apocalissi.
L’opera studia l’immaginario come discorso [10], la cui funzione è quella di mediare tra la realtà sensibile e quella intellegibile; è fondamentalmente una struttura dinamica, che può essere colta mediante il cambiamento delle epistemi foucaultiane [11]. Conformemente a un paradigma post-strutturalista, la dinamica interna dell’immaginario è la forza che genera la sua storicità. Il modello anteriore, invece, debitore al pensiero di Lévi-Strauss, negava o ignorava la storicità dell’immaginario nella vita di una determinata società; adottando il modello linguistico, partiva dalla premessa che le diverse realtà socio-storiche (le società, i miti, i testi) possono essere studiate come strutture o insiemi di elementi che non hanno un senso individuale, ma lo ricevono mediante i rapporti tra loro.

Conclusioni

Siamo di fronte a un’opera dalla particolare chiarezza espositiva; un vero e proprio filo di Arianna nel labirinto filosofico, attraverso il quale anche lo spirito razionalista può perdersi, credendo di scoprire l’unica via verso la verità. La calma quasi stoica che governa l’intera opera può essere avvertita da un lettore attento o semplicemente interessato a scoprire universi mentali quasi scomparsi, ma che sopravvivono ancora nella vita delle immagini che possono essere viste come enigmi, non solo in senso fantastico, ma anche realista. Borges, un riferimento comune, tanto per Foucault, quanto per l’autrice dell’Oblio di Roma, è stato uno spirito affascinato da entrambi i lati dell’enigma, a partire dalla celebre formula di San Paolo: videmus nunc per speculum in aenigmate… La presente opera rappresenta una brillante indagine sull’aspetto realistico dell’immagine in quanto enigma. Speriamo che questo esempio di equilibrio spirituale e intellettuale sia seguito da altri lavori, grazie ai quali noi ci si possa (ri)conoscere abitatori non solo di un universo fisico, ma anche di quello – insieme al quale fonda il reale – pieno di significati culturali o spirituali.


Gabriel Badea
Traduzione di Igor Tavilla
(n. 3, marzo 2025, anno XV)


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Il testo qui pubblicato rappresenta la versione italiana della recensione uscita il mese scorso nell’edizione romena della nostra rivista [N.red.]


NOTE

[1] Michel Foucault, L’archeologia del sapere. Una metodologia per la storia della cultura, BUR, Milano 2021.
[2] Ivi, p. 184.
[3] Laura Mesina, L’oblio di Roma. Studi di archeologia dell’immaginario, Mimesis, Milano 2024, p. 20.
[4] Ibidem.
[5] Ivi, p. 85.
[6] Ivi, p. 120.
[7] Ivi, p. 124.
[8] Ivi, p. 120.
[9] Ivi, p. 125.
[10] Ivi, p. 45: «(…) l’immaginario potrebbe essere definito come un discorso paradigmatico, aperto, in relazione alla realtà sensibile, oltre che a quella intelligibile, alla quale trasferisce strutture significanti (ad esempio, il mito o conglomerati simbolici) o da cui assorbe elementi che ne garantiscono la dinamica interna, a seconda delle epoche, delle variazioni culturali, spirituali, ecc.».
[11] Ivi, p. 44.Per episteme si intende «un quadro di pensiero che proviene da una rottura rispetto a un periodo precedente o una rete di discorsi e nozioni con una certa specificità».