Mircea Eliade, l’edizione integrale della narrativa fantastica

Recentemente, presso Castelvecchi è uscito il secondo volume della narrativa fantastica di Mircea Eliade (1907-1986), autore di origine romena noto in Italia più come storico delle religioni e meno come narratore o drammaturgo. Gli amanti della letteratura fantastica hanno ora l’opportunità di leggere direttamente in italiano il corpus integrale della prosa fantastica di Eliade, finora disponibile in quanto tale soltanto in Romania. Il secondo volume dei Racconti fantastici, apparso a distanza di un anno dal primo, riunisce le seguenti narrazioni: Strada Mântuleasa, I fossi, Ivan, Uniformi da generale, In incognito a Buchenwald…, La mantella, Les trois Grâces, Giovinezza senza giovinezza…, Alla corte di Dioniso, Diciannove rose, Dayan e All’ombra di un giglio… Come nel caso del primo volume (608 pp.), anche il secondo, che conta 784 pagine, ha presupposto un impegno notevole, egregiamente assolto dai traduttori Horia Corneliu Cicortaș e Igor Tavilla. Il primo vanta una vasta esperienza nell’esegesi, la traduzione e la cura editoriale dell’opera eliadiana in lingua italiana, ed è di sicuro beneficio per quest’edizione integrale di letteratura fantastica l’apporto di uno studioso di Eliade, che ne conosce l’opera nella sua interezza; da parte sua, Igor Tavilla è uno specialista dell’opera di Kierkegaard, che ha mostrato interessi recenti per le opere e le personalità di autori quali Nae Ionescu e Mircea Eliade. Da segnalare, infine, che il volume II comprende un’ampia introduzione, di centoventi pagine, firmata dal professor Sorin Alexandrescu, uno dei più importanti interpreti della letteratura eliadiana, autore del resto anche dello studio introduttivo al primo volume dei Racconti fantastici.   
Le narrazioni di questo volume sono state scritte da Eliade negli anni della sua tarda maturità; di fatto, All’ombra di un giglio... (1982) – il racconto posto in chiusura del libro – è la sua ultima creazione letteraria. Per quanto l’autore romeno abbia affermato che Il serpente (il suo secondo romanzo fantastico, del 1937, successivo di un anno a La signorina Christina) rappresenta un prodotto della pura immaginazione, essendo scritto senza l’apporto dello storico delle religioni, certamente la situazione non è più la stessa nel caso dei racconti scritti in età matura. Il fatto è stato notato dalla maggior parte degli storici e critici letterari romeni, che si sono visti costretti a ampliare l’orizzonte della lettura e implicitamente dell’interpretazione, ricorrendo a concetti e temi della mitologia e della storia delle religioni. Ciononostante, la letteratura non va considerata alla stregua di una Ersatzreligion, come aveva ammonito Günther Spaltmann in uno studio molto ferrato dedicato ai rapporti tra letteratura e religione nel pensiero di Eliade: «Un ulteriore pericolo, che non è più così reale come qualche decennio fa, è la tentazione di sostituire la religione con la letteratura. Ci sono stati [...] autori, e anche critici, che sognano una letteratura come surrogato della religione (Ersatzreligion). Le nuove prospettive riguardo il rapporto tra letteratura e mito li attirano in questo senso» [1].  
Pur avendo sostenuto che, nel quadro della modernità, la letteratura ha ereditato alcune delle funzioni del mito nelle società arcaiche o di cultura orale, Eliade ha più volte sottolineato l’importanza della funzione fantastica e dell’immaginazione creatrice: «Sono sempre più convinto del valore letterario dei materiali di cui dispone lo storico delle religioni. Se l’arte – e in primissimo luogo l’arte letteraria, la poesia, il romanzo – conosce ai nostri giorni, un nuovo Rinascimento, essa verrà stimolata dalla riscoperta della funzione dei miti, dei simboli religiosi e dei comportamenti arcaici. In fondo, ciò che faccio da oltre quindici anni non è totalmente estraneo alla letteratura. È probabile che un giorno le mie ricerche vengano considerate come un tentativo di ritrovare le fonti dimenticate dell’ispirazione letteraria» [2]. In tal senso, è giusta l’osservazione fatta da Virgil Ierunca, secondo il quale Eliade ha scelto il genere fantastico per cogliere appieno l’«irriconoscibilità del miracolo», il fatto che il sacro è camuffato nel profano fin quasi a coincidere con esso [3].
In altre parole, l’inclinazione di Mircea Eliade per il genere fantastico proviene da più direzioni, tra cui possiamo distinguere alcune più significative: 1. come forma ottimale per cogliere il processo caratteristico della modernità, di dis-incanto (Entzauberung), di perdita del senso del sacro; 2. attraverso le sue note – pubblicate nel volume Oceanografia (1934) – sul rapporto tra intuizione fantastica e folklore come strumento di conoscenza: «I racconti fantastici, pur scritti da un genio come Edgar Allan Poe, ripugnano per la loro esaltazione nevrotica, patologica, inumana, demoniaca. Il fantastico del folclore, viceversa, mette direttamente in contatto con una realtà irrazionale ma concreta; con un’esperienza sociale in cui si è concentrata l’intuizione globale della vita e della morte» [4]; 3. attraverso l’importanza da lui attribuita all’immaginazione creativa, alla funzione che essa ha nel riequilibrare le forze opposte nella psiche individuale e collettiva: «l’immaginazione non è un’invenzione arbitraria; etimologicamente, essa è solidale con imago, “rappresentazione, imitazione”, e con imitor, “imitare, riprodurre”. L’immaginazione imita i modelli esemplari – le “immagini” – li attualizza, li ripete continuamente. In quegli anni, questa interpretazione delle immagini e dell’immaginazione mi aiutò a comprendere meglio le creazioni folkloriche e, talvolta, la mia prosa letteraria» [5].
La concezione eliadiana del fantastico si regge sull’idea della coincidentia oppositorum, in virtù della quale la realtà quotidiana può talvolta divenire trasparente, consentendo all’ermeneuta (per esempio, al protagonista del racconto Il litomante, del vol. I) di intravedere un senso più elevato nelle cose e nelle vicende apparentemente insignificanti ed effimere. Oltre a ciò, la letteratura può creare mondi nuovi e arricchire il reale nella stessa misura in cui lo fa la dialettica della storia: «Il romanzo deve “raccontare” qualcosa, perché la narrazione (ossia l’invenzione letteraria) arricchisca il mondo, né più né meno che la storia, benché su un altro piano. Noi siamo creatori negli universi immaginari con più possibilità di quanto possiamo esserlo sul piano della storia. Il fatto che succeda qualcosa, che succeda ogni sorta di cose, è altrettanto significativo per il destino dell’uomo di quanto lo sia il fatto di vivere nella storia o di sperare di modificarla» [6]. Cosicché, più che essere una copia più o meno fedele della realtà, la letteratura può costituire l’ambiente di manifestazione del gesto creatore, quale opzione alternativa rispetto alla subordinazione dinanzi agli imperativi della Storia. Il frammento citato costituisce una delle tesi più rilevanti che Eliade abbia avanzato circa la letteratura moderna, una tesi originale e in un certo qual senso controcorrente rispetto alle direttrici dominanti nella teoria e nella critica letteraria della seconda metà del XX secolo. Originale e fertile di nuove prospettive, l’idea si ritrova anche in Carl Gustav Jung, Northrop Frye, Joseph Campbell e altri.
Per quanto riguarda la ricezione critica, in generale gli storici delle religioni, così come altri specialisti in campi affini, non si sono mostrati particolarmente attratti dalla componente letteraria dell’opera di Mircea Eliade (scritta in romeno, essa è stata tradotta «a pezzi» e in modo non sistematico), eccetto studiosi come Ioan Petru Culianu, Mac Linscott Ricketts o Bryan Rennie. Recentemente, il professor Giovanni Casadio ha firmato un’acuta introduzione al volume di racconti fantastici pubblicato nel 2021 dalla casa editrice Cartex 2000 [7]: esempio che potrebbe, forse, indicare un’inversione di tendenza in materia. D’altra parte, soprattutto negli anni ‘60 e ‘80 del secolo scorso, letterati e drammaturghi di spicco si sono mostrati vivamente interessati alle idee di Eliade riguardo alle nuove possibilità espressive, sul piano filosofico, spirituale e artistico, stimolate dai suoi contributi teorici nell’ambito della storia delle religioni, soprattutto dall’idea di ermeneutica creatrice.


Gabriel Badea
(n. 1, gennaio 2025, anno XV)


NOTE

[1] Günther Spaltmann, «Authenticity and Experience of Time. Remarks on Mircea Eliade’s Literary Works», in Myths and Symbols. Studies in Honor of Mircea Eliade, (Joseph M. Kitagawa, Charles H. Long, eds.), Chicago and London, The University of Chicago Press 1969, p. 368: «A further danger, which is no longer as real as it was a few decades ago, is the temptation to replace religion with literature. There have been [...] authors and also critics who dream of literature as a surrogate for religion (Ersatzreligion). The new insights regarding the relationship between literature and myth lure them into this». 
[2] Mircea Eliade, Il grande esilio. 1945-1969, trad. it. Cristina Fantechi, a cura di Roberto Scagno, Jaca Book, Milano 2024, p. 303 (annotazione del 15 dicembre 1960).
[3] Virgil Ierunca, «L’œuvre litteraire», in Cahier de l’Herne: Mircea Eliade, (dir. Constantin Tacou), Paris, L’Herne 1978, p. 313: «Șarpele représente une expérience décisive pour Mircea Eliade car ce récit lui dévoile le thème que lui-même considère comme clef de voûte de toutes ces œuvres de maturité: ‘l’irrécognoscibilité du miracle’. L’intervention du sacré dans le monde est toujours camouflée, il n’y a pas de différence apparente entre le sacré et le profane et le fantastique gît au cœur du banal».
[4] Mircea Eliade, Oceanografia, trad. it. Cristina Fantechi, a cura di Roberto Scagno, Jaca Book, Milano 2007, p. 183. 
[5] Mircea Eliade, Memorii 1907-1960, București, Humanitas 2004, pp. 444-445. 
[6] Eliade, Il grande esilio, cit., p. 379 (annotazione del 19 dicembre 1963). 
[7] G. Casadio, Când povestirea e ca un dans: Mircea Eliade, proză fantastică 1946-1959, trad. di Catrinel Popa, in M. Eliade, La țigănci: nuvele fantastice, Cartex 2000, București 2021, pp. 7-43; testo originale italiano: Raccontare è come ballare. La prosa fantastica di Mircea Eliade 1946-1959, in «Storia, Antropologia e Scienze del Linguaggio», anno XXXVI, fasc. 1-2-3, 2021, pp. 55-90.