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Un’antologia di teatro romeno: Emersioni sceniche
Negli ultimi vent’anni, le traduzioni dalla letteratura romena, soprattutto quella narrativa, hanno registrato una vera fioritura anche in Italia. Tuttavia, il teatro, un po’ come la poesia, risulta meno rappresentato. Ad eccezione di Eugène Ionesco e di Matei Vișniec – il più noto e apprezzato drammaturgo romeno vivente – la drammaturgia romena resta infatti poco conosciuta fuori dai confini della Romania. L’antologia Emersioni sceniche, apparsa quest’anno a Pisa, per i tipi di ETS, propone al pubblico italiano alcuni autori nuovi, coprendo una zona meno esplorata.
Il volume che inaugura la collana di romenistica «L’altra Europa» riunisce quattro testi teatrali integrali di tre drammaturghi di oggi, pubblicati per la prima volta in italiano: Sempre insieme (titolo originale francese: Toujours ensemble) di Anca Visdei, autrice francese di origine romena [1], Amalia respira profondamente (Amalia respiră adânc) e Il decalogo secondo Hess (Decalogul după Hess) di Alina Nelega, nonché Baciami! (Sărută-mă!) di Vlad Zografi, cui fanno seguito tre riscritture drammatiche da testi di autori del ‘900: La colonna infinita, adattamento di Letteria Giuffrè Pagano (dalla pièce omonima di Mircea Eliade), Sorescu alla prova, adattamento di Thomas Otto Zinzi (da Giona di Marin Sorescu) e Verso un’altra fiamma, drammaturgia di Vlad Scolari, da Confession pour vaincus. Après seize mois dans l’URSS di Panait Istrati.
Il libro, presentato quest’anno al Salone del Libro di Torino e al Pisa Book Festival, è curato da Horia Corneliu Cicortaș e Letteria Giuffrè Pagano. Esso contiene testi che sono stati rappresentati nell’ambito del Festival teatROmania_emersioni sceniche, svoltosi tra il 2010 e il 2015 presso l’Accademia di Romania a Roma. Si tratta di alcune pièce integrali rappresentate sulla scena di quel festival da compagnie teatrali romene – gli spettacoli Amalia respira profondamente, Hess e l’adattamento L’ultimo lebbroso, tratto da Baciami! – o italiane (Sempre insieme), di adattamenti da pièce vere e proprie, di Mircea Eliade (La colonna infinita) e Marin Sorescu (Giona), o di rielaborazioni drammaturgiche di testi non teatrali, come lo spettacolo di Vlad Scolari Verso un’altra fiamma (tratto da testi autobiografici di Panait Istrati). Come precisano i curatori del volume, i testi ora pubblicati, rappresentati nell’ambito del festival o dopo la sua ultima edizione del 2015, erano fino a questo momento inediti in italiano. Del resto, nella sua introduzione, Letteria Giuffrè Pagano passa in rassegna, oltre agli obiettivi generali di dialogo e collaborazione artistica italo-romena del festival, anche il programma delle cinque edizioni, svoltesi negli spazi dell’Accademia di Romania. La galleria fotografica aggiunge anch’essa un tocco di “atmosfera” teatrale a quest’antologia romena.
Possiamo dire che, nella sua sezione principale (le quattro pièce summenzionate, che coprono circa due terzi del numero di pagine), il volume riflette le principali linee evolutive del teatro romeno post-1989. In primo luogo, la tendenza a demitizzare, soprattutto mediante la critica del defunto regime totalitario ceaușista, non solo sul piano politico ma prendendo di mira anche i tabù che governavano la scena quotidiana di quell’epoca. Il mito del comunismo (Amalia respira profondamente) – come pure quello del nazionalsocialismo tedesco (Il decalogo secondo Hess) – è canzonato, tramite una visione satirica della realtà di quegli anni, anche se talora l’evocazione è nostalgicamente divertita (Amalia). In secondo luogo, la tendenza alla de-teatralizzazione, attraverso l’abbandono degli schemi e dei metodi tradizionali e l’adozione di alcune tecniche non convenzionali. Non casualmente, tre delle quattro pièce integrali di questo volume sono monodrammi, nei quali la tensione drammatica è enfatizzata mediante l’esplorazione delle tensioni tra l’esistenza individuale e i limiti storici, anche in un contesto di “transizione” post-dittatoriale, virtualmente universale (Baciami!). Ma anche nella pièce di Anca Visdei – scritta in Occidente, in lingua francese, nella forma di un dialogo tra le sorelle Alexandra (emigrata) e Ioana (rimasta in patria), che hanno tra l’altro in comune la passione per il teatro (la prima come autrice, la seconda come attrice) – le questioni di fondo sono quelle della politica e della società romena pre-1989.
La seconda parte del volume riunisce due adattamenti da opere teatrali scritte da Mircea Eliade e Marin Sorescu, composte in un registro diverso da quello che contraddistingue le tendenze del teatro romeno di oggi. I due testi colgono l’essere umano alle prese con i grandi interrogativi della vita, in una visione simbolico-esistenziale aliena all’estetica minore del quotidiano racchiuso entro steccati politici prestabiliti. La pièce di Eliade è stata pubblicata integralmente in italiano, nel volume Tutto il teatro. 1939-1970 (cura e introduzione di Horia Corneliu Cicortaș, Bietti, Milano 2016); il testo di Sorescu – una delle traduzioni giovanili del rimpianto romenista Marco Cugno (professore all’Università di Torino) –, invece, pubblicato a Napoli in una brochure introvabile, meriterebbe di essere ripubblicato, eventualmente insieme alle altre due pièce (Matca e Paracliserul), con cui compone la trilogia Setea muntelui de soare (La sete della montagna di sale). Se il copione realizzato dal regista Thomas Otto Zinzi, tratto da Giona, rappresenta un intervento delicato sul testo soreschiano, già impostato in forma di monologo, la sceneggiatura di Letteria Giuffrè Pagano, tratta dalla Colonna infinita realizza, con il solo “materiale del cliente” – ovvero le battute della pièce di Eliade – una riduzione a un solo personaggio (lo scultore Constantin Brâncuși in vecchiaia, in dialogo con sé stesso o con altre “apparizioni” interiorizzate), laddove il testo originale includeva un numero elevato di personaggi – forse uno dei motivi della difficile rappresentabilità della pièce in quanto tale.
Vale la pena ricordare qui che, nell’ambito dell’opera letteraria di Eliade, oltre ai pochi testi teatrali noti, un luogo speciale occupano i racconti che hanno come tema di riflessione la portata salvifica dell’arte teatrale nel mondo secolarizzato di oggi (Uniformi da generale, In incognito a Buchenwald), questione collegata all’origine magica dell’arte e all’arte come strumento di contemplazione delle essenze, degli elementi primordiali, del sacro. Scrivendo La colonna infinita, Mircea Eliade segue proprio il percorso di questa duplice anamnesi mediante la quale Brâncuși, partendo dal ricordo dei pilastri della casa nella natia Oltenia, immagina un simbolo umano universale, quello del pilastro del cielo, l’axis mundi delle culture arcaiche, altrimenti caduto nel dimenticatoio: «è il motivo che darà nascita alla Colonna infinita, l’immagine che Brâncuși deve senz’altro aver visto nell’Oltenia della sua infanzia, intagliata nel legno delle case dei contadini. (…) Un’immagine che, a un certo momento, il ricordo ha ceduto all’inventiva, liberandola così dalla sua matrice concreta per consentirle di ritrovare la sua funzione primordiale di “pilastro centrale”, di axis mundi. Questo motivo banale, prerogativa di tutte le civiltà del legno, al pari di innumerevoli altri, giaceva inerte, come in un sonno del folclore, da migliaia e migliaia di anni fin quando è stato “risvegliato”, nobilitato, trasfigurato dall’immaginazione del genio…» [2].
Proprio perché, in Italia come in Romania, la circolazione della letteratura teatrale è più limitata rispetto a quella del romanzo, salutiamo questa nuova “emersione” editoriale: essa contribuisce alla diffusione della drammaturgia romena e, in generale, della drammaturgia contemporanea.
D’altronde, nell’ambito della collana di romenistica dell’editrice ETS (L’altra Europa), diretta da Emilia David (professoressa di lingua e letteratura romena all’Università di Pisa) e varata con il volume Emersioni sceniche, verrà prossimamente pubblicato un volume di teatro di Matei Vișniec, il più apprezzato drammaturgo romeno di oggi.
Gabriel Badea
(n. 12, dicembre 2024, anno XIV)
NOTE
[1] Da segnalare, tra l’altro, che in Romania questa pièce è stata rappresentata, qualche anno fa, in versione bilingue, romeno-francese, per la regia di Ivan Romeuf (coproduzione realizzata dalla compagnia L’Egrégoire di Marsiglia e il Teatro Andrei Mureșanu di Sfântu Gheorghe).
[2] Mircea Eliade, Diario 1970-1985, a cura di Cristina Fantechi e Roberto Scagno, trad. it. di Cristina Fantechi, Jaca Book, Milano 2018, p. 16.
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