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Matei Călinescu con «Vita e opinioni di Zacharias Lichter»
Certi libri restano sepolti per decenni in attesa di essere trovati. Non era arrivato mai in Italia, infatti, Vita e opinioni di Zacharias Lichter, un testo prezioso, poco pubblicato anche all’estero, in cui si è imbattuta la casa editrice fiorentina Spider&Fish.
Ambientato nei suprematisti e antisemiti anni ’30 della Guardia di Ferro, apparve per la prima volta nel 1969 in Romania durante il regime autoritario di Nicolae Ceaușescu ma era troppo folle, troppo libero per essere capito e incappare nella censura. Quando, quattro anni dopo, il regime si fece più rigido, l’autore Matei Călinescu, filologo e critico letterario, lasciò il paese e si rifugiò negli Stati Uniti dove fu prima Visiting Professor e poi Professore Emerito all’Indiana University.
Provocazione
Călinescu lo scrisse certo come provocazione al contesto in cui era immerso, ma alcuni libri e personaggi hanno la potenza di essere fuori dal tempo, e proprio per questo sempre, obliquamente, calzanti. Zacharias Lichter è una delle tante incarnazioni di personaggi unici e simili a lui che costellano la storia della filosofia e della letteratura, oltre che la Storia stessa, mescolandone i piani: Socrate, Diogene, Cristo, San Francesco, Baal Shem Tov, Zarathustra, Dioniso. Zacharias Lichter è uno di quei personaggi che per anni e decenni percorrono le vie e le vite di una città, finendo per imprimersi nella memoria di tutti, una sorta di jolly o figura clownesca che con il suo modo di stare al mondo e le sue parole incarna un germe di sovversione nel pacificato pensiero comune. Profeta mistico e anarchico, pensatore indipendente, sempre dissidente e mai partigiano. Nemico di qualsiasi ordine costituito e consenso o patto sociale, Lichter sceglie la povertà come San Francesco e la ritiene la sua opera; preferisce mendicare – ma apprezza anche i ladri; sostiene che l’elemosina sia una forma d’ascesi che avvicina a dio e ritiene che un uomo inadatto all’accattonaggio sia condannato alla mediocrità. Sogna «il rovesciamento dell’assetto capitalistico mediante la conversione di milioni di lavoratori all’accattonaggio, la costituzione di una società nuova, anarchicamente religiosa, in cui la proprietà, non vietata da nessuna legge, divenisse un’estraneazione, una malattia riprovevole, oggetto di repulsione e di compassione allo stesso tempo».
Bibbia
Della Bibbia, l’unico libro e unico oggetto che possiede, ama soprattutto Giobbe perché è capace di vivere nell'assurdo, come i bambini e in parte le donne – quando non si adattano al «sistema di convenzioni e stereotipie» rivendicato dagli uomini. Disprezza la medicina, perché non fa altro che «parcellizzare la vita, scomporla e, ricomponendola, allontanarla dalle sue origini misteriose e sacre, fino a falsificarla e a degradarla». Lo affascinano invece la vecchiaia, che permette di essere e basta, e la malattia per «tutto il suo valore paradossale». Si scaglia contro l’Impero della Stupidità, un impero basato su efficienza, comodità e funzionalità, in cui ogni inquietudine e ogni incursione di spiritualità vanno «definite, spiegate, diagnosticate» e la «praticità» soverchia «l’aspirazione alla totalità». Per questo l’unica persona che teme e rifugge è il signor S., lo psichiatra: il signor S lo cerca, pieno di interesse per lui, non per conoscerlo ma per definirlo e quindi «assassinarlo moralmente».
L’«Universal Soldier»
In parte raccontato da un biografo che forse lo conobbe un giorno, in parte restituito attraverso le «sue» parole e talvolta anche poesie, Zacharias Lichter dissoda tanto il mondo in cui è ambientato, e quello in cui è scritto e pensato, quanto quello in cui viviamo ora, e forse la realtà tutta. Di questo Impero della Stupidità assume su di sé la colpa, si ritiene «l’individuo simultaneo con la storia intera: il colpevole per lo scoppio di tutte le guerre, il responsabile di tutte le ingiustizie». È l’«Universal Soldier» della canzone di Donovan, tutti gli uomini in un uomo, Gesù Cristo che per tutti porta la croce. E la colpa da espiare è la mediocrità, la banalità del male del soldato universale, che esegue e non domanda, incarnazione dello «spirito pratico, qualità fondamentale della stupidità». A salvarcene, sono la follia e il demone dell’ironia: «il riso purifica come un fuoco sacro ma questa cosa la sanno solo i folli, i profeti e i santi». Lichter trova il sublime nel ridicolo, cerca in questo mondo la salvezza, e il dio di cui sente la fiamma sta fra i mendicanti e i folli, i vecchi amici, i pazzi, le notti putride, i santi e i profeti erranti di cui parlano le sue poesie. Un immaginario e delle parole che a sentirle oggi sembrano sgonfiate, svuotate del loro simbolico e prive di magia, ma dalla bocca di Zacharias Lichter come nelle canzoni di De André o nel Ladro e nel Joker di Bob Dylan (All Along the Watchtower), sono ancora vive, ancora un germe potente che incanta e dissesta. Come Socrate, Lichter pensa che la verità non possa essere comunicata che a viva voce, per questo si aggira per le strade della città, unico luogo che gli appartiene, e parla con la gente. Si lamenta della scrittura che uccide la memoria e di chi non riesce nemmeno a pensare senza un foglio bianco davanti (e ora, a cinquant’anni di distanza, ci si accorge che in effetti c’è chi non riesce più a pensare senza uno schermo davanti). Fino a sostenere che la scrittura (e poi a maggior ragione la stampa, e chissà cosa avrebbe detto del digitale), colpevole di una grande vittoria dell’avere sull’essere, sia strumento di potere e abbia «accentuato enormemente le possibilità dell'oppressione e dello sfruttamento» e «reso possibile la costituzione di alcuni grandi imperi» e ad affermare che la libertà, a questo punto, è possibile solo «come uscita dalla storia e come oblio». Niente di più attuale. Così ricorda proprio quegli stessi personaggi, Socrate, Diogene, Cristo, San Francesco, Baal Shem Tov, Zarathustra, Dioniso, il Giullare e il Ladro e forse Bob Dylan stesso che sono sempre fuori dalla Storia, sempre sfuggenti, estemporanei, come estemporanea è questa splendida opera di cui, più che dire «sembra scritta ieri», si può dire che sembri scritta «sempre».
Caterina Orsenigo
(n. 5, maggio 2022, anno XII)
La recensione è stata pubblicata su «Il Sole 24ore», accessibile qui.
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