Matei Vişniec, poeta tra due mondi. Selezione di versi in traduzione
Matei Vişniec, poeta, prosatore e drammaturgo romeno, nasce il 29 gennaio 1956 a Rădăuţi, in Bucovina. Nel 1987 chiede asilo politico in Francia, a Parigi, dove ancora oggi vive e lavora come giornalista a Radio France Internationale.
Noto fuori dalla Romania soprattutto per l’intensa attività drammaturgica svolta in Francia e in lingua francese, in patria Matei Vişniec esordisce e si afferma in primo luogo come poeta, tanto da essere considerato una delle voci più originali e promettenti della generazione degli anni ’80. Dopo il debutta in «Lumina»(«La luce»), la rivista del Liceo n. 2 della città natale, si fa conoscere a livello nazionale fin dagli anni del liceo grazie a una serie di testi poetici pubblicati nell’ottobre del 1972 dalla prestigiosa rivista letteraria «Luceafărul»(«Espero»). Alla fine del liceo, nel 1976, si trasferisce a Bucarest, dove si iscrive all’Università. Nel 1980, dopo la laurea in Filosofia, entra nella scuola e viene mandato a insegnare storia e geografia in un villaggio del distretto di Călăraşi, in Oltenia.
Negli anni universitari partecipa intensamente alla vita culturale e letteraria della capitale: è uno dei membri fondatori del «Cenacolo del lunedì» condotto dal critico letterario Nicolae Manolescu, fucina di talenti della generazione ’80, e continua a scrivere, presentando regolarmente poesia e teatro al Cenacolo, pubblicando versi nelle più importanti riviste letterarie del tempo e dando alle stampe il suo primo volume di poesie: La noapte va ninge (Questa notte nevicherà, 1980). Nel decennio 1977-1987 svolge un’intensa attività letteraria scrivendo poesia ma anche numerose pièce teatrali e persino alcune sceneggiature cinematografiche. Sistematicamente respinti dalla censura, questi ultimi testi circolano ugualmente negli ambienti culturali della capitale, consolidando la fama di Vişniec come un autore versatile e drammaturgo di genio, mentre la sua vocazione di poeta trova conferma con la pubblicazione di altri due volumi di versi: Oraşul cu un singur locuitor (La città con un solo abitante, 1982) e Înţeleptul la ora de ceai (Il saggio all’ora del tè, 1984), gli ultimi prima dell’asilo in Francia.
Nel 1987, mentre Vişniec è a Parigi ospite di una fondazione letteraria, la rappresentazione di Caii la fereastră (Cavalli alla finestra) al Teatro Nottara di Bucarest viene proibita dalla censura il giorno prima della prima. In seguito a tale fatto, l’autore chiede (e successivamente ottiene) asilo politico in Francia. Dopo un primo periodo parigino, in cui studia intensivamente la lingua, frequenta i teatri della capitale, comincia a tradurre le proprie pièce in francese ed entra in contatto con i grandi nomi dell’esilio romeno di Parigi (Monica Lovinescu, Virgil Ierunca, Paul Goma ecc.), nel 1988 si trasferisce a Londra, dove lavora per la sezione romena della BBC. Alla fine del 1989 ritorna però definitivamente a Parigi, dove inizia un dottorato sulla resistenza culturale in Europa orientale sotto i regimi comunisti, al quale successivamente rinuncerà per dedicarsi esclusivamente alla scrittura teatrale e all’attività giornalistica.
Dal 1992 Matei Vişniec scrive il suo teatro direttamente in francese ed è oggi uno dei più importanti e premiati drammaturghi europei, con decine di pièce all’attivo, tradotte in numerose lingue e messe in scena in oltre trenta paesi; continua tuttavia a scrivere anche poesia e prosa, in romeno. Dopo la rivoluzione escono in Romania il romanzo Cafeneaua Pas-Parol (Il caffè Pas-Parol, 19921; 20082), in cui l’autore evoca con sguardo ironico e ludico la Rădăuţi della sua adolescenza, seguito a distanza di qualche anno da Sindromul de panică în orașul Luminilor (Sindrome da panico nella città dei Lumi, 2009), romanzo di una Parigi letteraria fantasmatica e surreale, Domnul K Eliberat (Il signor K., liberato, 2010), geniale ripresa del personaggio kafkiano del Processo, e Dezordinea preventivă (Disordine preventivo, 2011), satira tra il filosofico e l’antiutopico della contemporanea, aggressiva «civiltà dell’informazione». Anche la produzione poetica successiva al 1987 vedrà la luce della stampa solo all’inizio del nuovo millennio, in Poeme ulteriore (Poesie ulteriori, 2000), che segna il ritorno editoriale del Vişniec poeta. Questo volume, che raccoglie testi poetici del periodo 1987-1999, testimonia il duraturo e intimo amore dell’autore per la poesia, che molti critici davano invece ormai per spento, e porta, insieme al successivo volume – il quinto, pubblicato dopo un’assenza di 11 anni – La masă cu Marx (A tavola con Marx, 2011), una ulteriore prova della profonda unità di visione e di sentimento che, pur nella varietà dei generi e al di là della costruzione formale, congiunge la poesia, il teatro e la prosa di Matei Vişniec.
Opera poetica
La noaptea va ninge, Editura Albatros, București, 1980
Oraşul cu un singur locuitor, Editura Albatros, București, 1982
Înţeleptul la ora de ceai, Editura Cartea Românească, București, 1984 – Premio dell’Unione degli Scrittori
Poeme ulteriore (1987-1999), Editura Cartea Românească, București, 2000
La masă cu Marx, Editura Cartea Românească, București, 2011
Opera poetică, I-II, Editura Cartier, Chişinău, 2011 (collana “Poesis”) – raccoglie la quasi totalità della produzione poetica dell’autore fino a La masă cu Marx esclusa e contiene il ciclo inedito Colecţionarul de răni (versuri noi) / Il collezionista di ferite (versi nuovi)
Roberto Merlo
Traduzioni inedite di Roberto Merlo
Da La masă cu Marx / A tavola con Marx, 2011
A tavola con Marx
1.
Avevamo mangiato come maiali, con voglia, con le bocche avide
di salse e di aromi,
avevamo le pance pieni e gli occhi slavati di sazietà
un vapore sottile si sollevava dalla tovaglia, le briciole
fumavano
i bicchieri vuoti gorgogliavano, i coltelli piantati in pagnotte e polpette
vibravano lievemente prolungando la memoria della mano
c’era odore di sangue e di carne tritata, di aceto e di pelle bruciata
di piatti leccati e di sudore
eravamo fieri di noi per quanto era successo
la storia era stata con noi a tavola e adesso ballava con le gambe nude
sulle frammenti dei bicchieri rotti
eravamo fieri di noi sebbene un po’ stanco
e proprio allora si udì la domanda:
E ADESSO CHI LAVA I PIATTI?
io no, disse Marx
nemmeno io, si udì la voce di Engels
in ogni caso non io, disse Lenin
restava solo Stalin ma Stalin dormiva già con la testa
tra due piatti sporchi
e poi restavo io, l’ultimo arrivato, io che di fatto
avevo mangiato meno di tutti, più che altro per cortesia
li guardavo nell’occhio – Marx, Engels, Lenin e Stalin avevano di fatto
un unico occhio collocato sulla torretta di un carro armato, un occhio gigantesco come un faro
che ruotava di 360 gradi o agoni movimento della borghesia
li ho guardati nell’occhio che vomitava ora sangue
era strano vedere come il sangue della classe operaria versava
(avresti detto che è una tazza di latte rosso dimenticata sul fuoco)
li ho guardati nell’occhio e là non ho visto che me stesso
2.
Ho dimenticato di dirvi che il tavolo al quale avevamo mangiato
si stendeva fino all’orizzonte
e sulla tovaglia bianca non si vedevano che le tracce dei miei passi
non è facile essere il più giovane quando comincia una rivoluzione
ti manda Lenin a prendere il sale
non hai scelta, corri fino all’orizzonte e porti il sale
ti manda Stalin a prendere la senape
non hai scampo, strisci sulla pancia sotto i grappoli d’uva
scavi un tunnel attraverso il pane che ti sbarra la strada
e arrivi al barattolo di senape
non che avessi gli scarponi sporchi
io sulla tavola della storia cammino soltanto scalzo
ma gli schizzi di saliva e gli sguardi rancidi dei nemici di classe
riescono alla fine a insudiciarti le suole delle scarpe
e il motivo per cui la tovaglia
era adesso piena di passi insanguinati e tutte le frontiere terrestri
consumate tanto quasi da urlare
3.
So che racconto rapidamente e che avrei dovuto cominciare dalla fine
ma ho da seppellire cento milioni di morti
e non è facile seppellire sento milioni di morti quando soffri
di miopia progressiva
non, non è facile seppellire cento milioni di morti quando
hai mangiato con Marx fino all’età di 30 anni
quando ti è restato in bocca un gusto tanto amaro
quando hai l’acidità di stomaco e vomiti ogni cinque minuti
ma guarda tu, di nuovo tocca fare tutto a me, Marx e Engels sonnecchiano in poltrona,
Lenin beve il suo tè, Stalin si fuma la pipa
mentre io devo seppellire cento milioni di morti
prima dell’ora di cena
non è facile seppellire cento milioni di morti
in un’unica fossa comune
quando hai mangiato con loro nella fossa comune
quanto sei nato con loro nella fossa comune, quando sei andato a scuola con loro
e sei cresciuto nella fossa comune
quando hai cantato con loro un canto di libertà
nella fossa comune
le bocche che hanno cantato un tempo nel coro
rischiano di cantare ancora masticando la terra
ma soprattutto non è facile coprire una fossa comune
quando non hai a disposizione altro che una falce e un martello
come fai a scavare una fossa comune quando non hai a disposizione
altro che una falce e un martello e solo qualche ora
prima dell’uscita sul mercato dei nuovi manuali di storia?
4.
No, non dovevo stare a tavola con Marx,
adesso mi è davvero chiaro
ho fatto male a stare a tavola con Marx
ho fatto male a stare a tavola con Marx, con Engels e con Lenin
non dovevo condividere con loro lo stesso pane e lo stesso sale
la stessa caraffa d’acqua e la stessa bottiglia di vino
non dovevo augurare loro per primo buon appetito, ma avevo fame
no, non avrei dovuto lasciare che Marx mi servisse la zuppa
non avrei dovuto lasciare che Engels mi servisse il cavolo
non avrei dovuto lasciare che Lenin tagliasse la carne
e soprattutto non avrei dovuto sedermi proprio davanti a Stalin
Stalin, quando mangia, schizza terribilmente
adesso puzzo tutto di zuppa, i miei capelli sono pieni di pezzi di carne
sputati dalla bocca di Stalin
lungo il collo mi scorrono rivoli di sudore misti
a schizzi di saliva usciti dalla bocca di Stalin
e sopra il mio piatto in cui è non è rimasto nulla
si libra una melodia
una canzone d’amore bella e inquietante
perché Stalin, quanto si sente bene,
canta anche dopo la morte
La masă cu Marx
1.
Mâncaserăm ca porcii, cu poftă, cu gurile avide
de sosuri şi arome,
aveam burţile pline şi ochii spălăciţi de saţietate
un abur uşor se ridica de pe faţa de masă, firimiturile
fumegau
paharele golite gâlgâiau, cuţitele înfipte în chifle şi chiftele
vibrau uşor prelungind memoria mâinii
mirosea a sânge şi a carne tocată, a oţet şi a piele pârlită
a farfurii linse şi a sudoare
eram mândri de noi în urma celor întâmplate
istoria stătuse cu noi la masă şi acum dansa cu picioarele goale
peste cioburile paharelor sparte
eram mândri de noi deşi puţin obosiţi
şi chiar atunci se auzi întrebarea:
ŞI ACUM CINE SPALĂ VASELE?
eu nu, spuse Marx
nici eu, se auzi vocea lui Engels
în orice caz nu eu, spuse Lenin
mai rămânea Stalin dar Stalin dormea deja cu capul între
două farfurii murdare
şi mai rămâneam eu, ultimul venit, eu care mâncasem
de fapt cel mai puţin, mai mult din politeţe
m-am uitat în ochiul lor – Marx, Engels, Lenin şi Stalin aveau de fapt
un singur ochi aşezat pe turela unui tanc, un ochi uriaş ca un far
care se rotea cu 360 de grade la orice mişcare a burgheziei
m-am uitat în ochiul lor care vomita acum sânge
era ciudat să vezi cum sângele clasei muncitoare dădea în foc
(ai fi zis o cană cu lapte roşu uitată pe aragaz)
m-am uitat în ochiul lor şi acolo nu m-am văzut decât pe mine
2.
Am uitat să vă spun că masa la care mâncaserăm
se întindea până la orizont
iar pe faţa de masă albă nu se vedeau decât urmele paşilor mei
nu e uşor să fi cel mai tânăr când începe o revoluţie
te trimite Lenin după sare
n-ai încotro, alergi până la orizont şi aduci sare
te trimite Stalin după muştar
n-ai ce să faci, te târăşti pe burtă pe sub ciorchinii des struguri
sapi un tunel prin pâinea care îţi baricadează drumul
şi ajungi la borcanul cu muştar
nu că aş fi fost murdar pe bocanci
eu pe faţa de masă a istoriei nu păşesc decât desculţ
dar stropii de salivă şi privirile râncede ale duşmanilor de clasă
reuşesc până la urmă să-ţi mânjească tălpile picioarelor
iată motivul pentru care faţa de masă
era acum plină de paşi însângeraţi iar toate frontierele terestre
tocite aproape până la urlet
3.
Ştiu că povestesc repede şi că ar fi trebuit să încep cu sfârşitul
dar am de îngropat o sută de milioane ne morţi
şi nu e uşor să îngropi o sută de milioane de morţi când suferi
de miopie progresivă
nu, nu e uşor să îngropi o sută de milioane de morţi când
ai mâncat cu Marx până la vârsta de 30 de ani
când ţi-a rămas un gust atât de amar în gură
când ai acreli în stomac şi vomiţi la fiecare cinci minute
ia te uită, iarăşi cade totul pe mine, Marx şi Engels picotesc în fotolii,
Lenin îşi bea ceaiul, Stalin îşi fumează pipa
iar eu trebuie să îngrop o sută de milioane de morţi
până la ora cinei
nu e uşor să îngropi o sută de milioane de morţi
într-o singură groapă comună
când ai luat masa cu ei în groapa comună
când te-ai născut ce ei în groapa comună, când ai fost cu ei la şcoală
şi ai crescut cu ei în groapa comună
când ai cântat cu ei cântece de libertate
în groapa comună
gurile care au cântat cândva în cor
riscă să mai cânte încă mestecând pământ
dar mai ales nu e uşor să acoperi o groapă comună
când nu ai la dispoziţie decât o seceră şi un ciocan
cum să sapi o groapă comună când nu ai la dispoziţie
decât o seceră şi un ciocan şi doar câteva ore
până la ieşirea pe piaţă a noilor manualele de istorie ?
4.
Nu, nu trebuia să stau la masă cu Marx,
acum îmi este foarte clar
rău am făcut că am stat la masă cu Marx
rău am făcut că am stat la masă cu Marx, cu Engels şi cu Lenin
nu trebuia să mănânc pe aceeaşi faţă de masă cu ei
nu trebuia să împart cu ei aceeaşi pâine şi aceeaşi sare
aceeaşi carafă cu apă şi aceeaşi sticlă de vin
nu trebuia să le urez primul poftă bună, dar mi-a fost foame
nu, n-ar fi trebuit să-l las pe Marx să mă servească cu supă
n-ar fi trebuit să-l las pe Engels să mă servească cu varză călită
n-ar fi trebui să-l las pe Lenin să taie carnea
şi mai ales n-ar fi trebuit să mă aşez chiar în faţa lui Stalin
Stalin, când mănâncă, stropeşte îngrozitor
acum miros tot a supă, părul meu e plin de bucăţi de carne
ţâşnite din gura lui Stalin
pe gât mi se scurg şiroaie de sudoare amestecate
cu stropi de salivă ieşiţi din gura lui Stalin
iar deasupra farfuriei în care n-a mai rămas nimic
pluteşte acum o melodie
un cântec de dragoste frumos şi tulburător
pentru că Stalin, când se simte bine,
cântă şi după moarte
Portatori di segni bizzarri
All’uscita dalla città – un corteo funebre
gente vestita di nero, portatori di segni bizzarri
dodici becchini con una bara sulle spalle
e i cento parenti del morto
donne, bambini, uomini di una certa età, vecchi con le stampelle
prefiche e preti
portatori di croci roche
e molte cornacchie che ruotano sopra la bara
li incontro ogni volta che esco dalla città
sono già diversi anni che vogliono seppellire il morto
e non riescono a trovare la strada per il cimitero
nessuno dice loro in che direzione devono andare
io stesso do loro indicazioni sbagliate
lo vedo sudati, allo stremo delle forze
ma dico loro: prima a destra, poi a sinistra
o dico loro: sempre dritto e poi la seconda a destra
o dico loro: tornate indietro fino al primo incrocio e poi
chiedete ancora
nessuno però se la prende, il corteo continua a vagare
intorno alla città
non, non è bene morire
in un modo tanto bislacco
Purtători de semne bizare
La ieşirea din oraş – un cortegiu funerar
oameni îmbrăcaţi în negru, purtători de semne bizare
doisprezece ciocli cu un sicriu în spate
şi cele o sută de rude ale mortului
femei, copii, bărbaţi în etate, bătrâni cu cârje
bocitoare şi preoţi
purtători de cruci răguşite
precum şi multe ciori rotindu-se deasupra sicriului
mă întâlnesc cu ei ori de câte ori ies din oraş
sunt deja câţiva ani buni de când vor să îngroape mortul
şi nu reuşesc să găsească drumul spre cimitir
nimeni nu le spune în ce direcţie trebuie să o ia
eu însumi le dau indicaţii greşite
îi văd asudaţi, la capătul puterilor
dar le spun: întâi la dreapta şi apoi la stânga
sau le spun: drept înainte şi apoi a doua la dreapta
sau le spun: luaţi-o înapoi până la prima intersecţie şi apoi
mai întrebaţi
nimeni nu se supără însă, cortegiul continuă să rătăcească
în jurul oraşului
nu, nu e bine să mori
într-o lume aşa de ciudată
Se avesse di che scrivere
Non dovevo scegliere la strada più corta
alle indicazioni dei nativi non bisogna mai dare ascolto
ogni scorciatoia è disseminata di sabbie
mobili
sì, caro signore, sto per sprofondare
e nessuno può più fare nulla per me
di professione sono filosofo, per tutta la vita
ho pensato all’essenza, al senso della vita e
ad altre simili cose fondamentali
le enuncerei alcune delle mie conclusioni
se avesse di che scrivere
Dacă aveţi cu ce nota
Nu trebuia să aleg drumul cel mai scurt
de indicaţiile localnicilor nu trebuie să asculţi niciodată
fiecare scurtătură este presărată cu nisipuri
mişcătoare
da, domnule, sunt pe cale să mă scufund
şi nimeni nu mai poate face nimic pentru mine
sunt de profesie filozof, toată viaţa
m-am gândit la esenţă, la sensul naşterii şi
la alte asemenea lucruri fundamentale
v-aş enumera câteva dintre concluziile mele
dacă aveţi cu ce nota
Da Colecţionarul de răni / Il collezionista di ferite (Opera poetică, II)
Se ogni cosa ha un inizio
Se ogni cosa ha un inizio e una fine
significa che anche la morte ha un inizio e una fine
per questo resto qui con voi
attendo la fine della morte
curioso come un bambino aspetto
per vedere cosa inizia dopo le domande interrotte della
morte
non ho fretta, aspetto senza protestare
so che potrebbe volerci del tempo
so che potrei restare l’ultimo nella sala di
attesa
io e la parola morte
incollata al mio palato come un suggeritore nella buca
stranamente, tutte le cose essenziali mi vengono dette in una
lingua straniera
la morte inventa parole nuove
per nascondere le proprie tracce
io però aspetto, aspetto, se tutto ha un inizio e una fine
significa che le nostre vite sono delle comete
di certo ci incontreremo ancora gli uni con gli altri
tutto sta nell’avere pazienza
Dacă toate au un început
Dacă toate au un început şi un sfârşit
înseamnă că şi moartea are un început şi un sfârşit
de aceea stau aici cu voi
aştept sfârşitul morţii
curios ca un copil aştept
să văd ce începe după întrebările retezate ale
morţii
nu mă grăbesc, aştept fără să protestez
ştiu că s-ar putea să dureze
ştiu că s-ar putea să rămân ultimul în sala de
aşteptare
eu şi cuvântul moarte
lipit de cerul gurii mele ca un sufleur în cuşcă
ciudat, toate lucrurile esenţiale mi se spun într-o
limbă străină
moartea inventează cuvinte noi
ca să-şi ascundă urmele
eu însă aştept, aştept, dacă toate au început şi un sfârşit
înseamnă că vieţile noastre sunt nişte comete
ne vom mai întâlni cu siguranţă unii cu alţii
totul e să avem răbdare
Tutto ciò che vi ha deluso alla nascita
Chi altri potrei essere se non il collezionista di ferite
sì, signori miei, sono venuto qui per comprare
alcune delle vostre ferite nascoste
no, signori miei, le cicatrici orribili non mi interessano più
io colleziono ora ferite più sensibili
traumi segreti
ferite tramandate da tre generazioni
dolori ereditati per nascita
tagli sottili dell’ora in cui hanno preso forma i vostri sentimenti
tutto ciò che vi ha deluso alla nascita
ecco ciò che mi interessa
la prima goccia interiore di sangue
le prime parole che avete pronunciato
e che non sono mai guarite
Tot ce v-a dezamăgit la naştere
Cine să fiu altcineva decât colecţionarul de răni
da, domnilor, am venit aici ca să cumpăr
câteva dintre rănile dumneavoastră ascunse
nu, domnilor, cicatricele hidoase nu mă mai interesează
eu colecţionez acum răni mai sensibile
traume secrete
răni transmise peste trei generaţii
dureri moştenite prin naştere
tăieturi fine la ora când vi s-au format sentimentele
tot ceea ce v-a dezamăgit la naştere
iată ce mă interesează
prima picătură de sânge interioară
primele cuvinte pe care le-aţi pronunţat
şi care nu s-au mai vindecat niciodată
Da Poeme ulteriore / Poemi ulteriori, 2000
Qualcosa di duro e metallico
sudato, annerito di sudore l’aratore
mentre ara l’infinito campo
sbatte con il vomere contro qualcosa di duro e metallico
dissotterra pian piano insieme ai suoi figli
un campo di ferro perforato da pozzi
fino alla morte i figli dei suoi figli dissotterrano strumenti bizzarri
orpelli, corone di bronzo
con ostinazione vengono portate in superficie
ossa bianche, forzieri intatti, bicchieri di cristallo,
scialuppe di salvataggio, c’è una nave là sotto
affondata da tempo
una nave immensa, con quaranta fumaioli
un transatlantico a quanto pare
tardi in vecchiaia il figlio dell’ultimo figlio di aratore
porta alla luce
il giornale di bordo che consegna passo per passo l’affondamento:
LA CIMA DELL’ALBERO È ANDATA A SBATTERE PROPRIO ORA
CONTRO QUALCOSA DI AFFILATO, DURO E METALLICO
PRECIPITIAMO VERTIGINOSAMENTE NEGLI ABISSI SOPRA
DI NOI SI SENTE COME IL NITRITO DI UN CAVALLO
Ceva dur şi metalic
Asudat, înnegrit de sudoare plugarul
în timp ce ară nesfârşita câmpie
se izbeşte cu brăzdarul de ceva dur şi metalic
el dezgroapă încet împreună cu fiii săi
o câmpie de fier ciuruită de fântâni
până la moarte fiii fiilor săi dezgroapă unelte ciudate
podoabe, coroane de bronz
cu îndârjire sunt aduse la suprafaţă
oase albe, seifuri intacte, pahare de cristal
bărci de salvare, e un vapor acolo
scufundat de mult
un vapor imens, cu patruzeci de coşuri
un transatlantic se pare
târziu la bătrâneţe fiul ultimului fiu de plugar
scoate la lumină
jurnalul de bord consemnând pas cu pas scufundarea:
VÂRFUL CATARGULUI S-A LOVIT CHIAR ACUM
DE CEVA ASCUŢIT, DUR ŞI METALIC
NE PRĂBUŞIM VERTIGINOS ÎN ADÂNCURI DEASUPRA
NOASTRĂ SE AUDE PARCĂ UN NECHEZAT DE CAL
Traduzioni
edite di Marco Cugno
Da Înţeleptul la ora de ceai / Il saggio all'ora del tè, 1984 (trad. di Marco Cugno)
(Da Nuovi poeti romeni, a cura di Marco Cugno e Marin Mincu, traduzione di Marco Cugno, Vallecchi Editore, Firenze, 1986, pp. 287-288)
Il poema che legge se stesso
Il poema torna su se stesso
e incomincia a leggersi
si decifra lentamente, penetra nel suo sé
con timore, sorride, leva un grido di stupore
a misura che il poema legge se stesso
comprende se stesso
e scompare lentamente dall'universo
il poema si ferma un attimo, guarda dietro di sé
le cose lette: non vede che
una striscia bianca e sottile che a sua volta
svanisce nella cenere densa del giorno
scomparirai, scomparirai per sempre
urlano le parole rimaste non lette
non ha senso che tu scompaia
bisbiglia al poema
lo spirito del poema, spaventato, raggrinzito come un limone
ma il poema sghignazza e di nuovo
si getta su se stesso come lo scarafaggio
sulla briciola di pane
il poema si accanisce, penetra nelle
sue proprie viscere inghiottendole con un urlo
di questa penetrazione non rimane che
il nulla – scivoloso e freddo
il poema è folle, comprende se stesso e
legge se stesso fino all'ultimo respiro
finché l'ultima parola non cade in ginocchio
ed urla di dolore, sono l'ultima parola,
gli dice, morirai insieme con me
il poema è triste, è già svuotato di tutte
le cose lette, si getta sull'ultima parola
e la legge come il condannato
legge l'ultimo sorriso sulla faccia del boia
si ode un grido soave, un colpo d'ala
il bianco che si diffonde ovunque
la nebbia e i tetti bagnati
sono tutto ciò che rimane del poema
Poemul care se citeşte pe sine
Poemul se întoarce asupra sa
şi începe să se citească pe sine
se descifrează încet, pătrunde în adâncul său
cu sfială, zâmbeşte, scoate un ţipat de uimire
pe măsură ce poemul se citeşte pe sine
el se înţelege pe sine
şi dispare încet din univers
poemul se opreşte o clipă, se uită în spatele său
la cele citite: nu vede decât
o dâră albă şi subţire care la rândul ei
se topeşte în cenuşa deasă a zilei
ai să dispari, ai să dispari pentru totdeauna
urlă cuvintele care au mai rămas necitite
n-are nici un rost să dispari
îi şopteşte poemului
duhul poemului, speriat, zbârcit ca o lămâie
dar poemul rânjeşte groaznic şi din nou
se aruncă asupra sa precum gândacul
asupra firimiturii de pâine
poemul se îndârjeşte, pătrunde în
propriile sale măruntaie înghiţindu-le cu urlet
din această pătrundere nu rămâne decât
nimicul – alunecos şi rece
poemul e nebun, se înţelege pe sine şi
se citeşte pe sine până la ultima suflare
până când ultimul cuvânt cade în genunchi
şi urlă de durere, sunt ultimul cuvânt,
îi spune, ai să mori odată cu mine
poemul e trist, e golit deja de toate
cele citite, se repede asupra ultimului cuvânt
şi-1 citeşte aşa cum osânditul
citeşte ultimul zâmbet de pe faţa călăului
se aude un ţipăt suav, o lovitură de aripă
albul care se întinde peste tot
ceaţa şi acoperişurile pline de apă
sunt tot ce a mai rămas din poem
Da Înţeleptul la ora de ceai / Il saggio all'ora del tè, 1984 (trad. di Marco Cugno)
(da Marco Cugno, La poesia romena del Novecento, studio introduttivo, antologia, traduzione e note di Marco Cugno, Edizioni dell’Orso, Alessandria, 2008, pp. 416-418)
Poema crepuscolare
C'era gran noia alla stazione centrale
i treni sono arrivati ma i viaggiatori
non sono più andati da nessuna parte
sul tardi il cameriere
ci ha versato vino nei bicchieri
noi guardavamo già dalla finestra
e non abbiamo bevuto neppure un goccio
neppure le vetture si sono più fermate alla scala
i giornali sono usciti alle sei ma
nessuno ha più comprato nulla
è stato un giorno che non è mai
finito
ho passeggiato a lungo nella pioggia
ma i vestiti non si sono bagnati
neppure Dante ha più scritto nulla
neppure Danton è più stato ghigliottinato
Poem crepuscular
Era mare plictiseală în gara centrală
trenurile au venit dar călătorii
nu s-au mai dus nicăieri
într-un târziu chelnerul
ne-a turnat vin în pahare
noi priveam deja pe fereastră
şi n-am mai băut nici un strop
nici trăsurile n-au mai tras la scară
ziarele au ieşit la ora şase dar
nimeni n-a mai cumpărat nimic
o fost o zi care nu s-a mai terminat
niciodată
eu m-am plimbat multă vreme prin ploaie
dar hainele nu mi s-au udat
nici Dante n-a mai scris nimic
nici Danton n-a mai fost ghilotinat
I ciechi hanno preso a cogliere fiori
Si intravede una luce
attraverso i fori che i due chiodi
hanno lasciato nelle palme del condannato
i buffoni si sono chiusi in una gabbia
re si è chiuso in un cubo
i soldati piangono su letti sovrapposti
il saggio racconta la caduta dell'impero
ottomano
i ciechi hanno preso a cogliere fiori
i sordi hanno preso a cantare
gli annegati escono lenti dal mare
e tornano alle loro case
persino il mio cavallo s'è alzato su due zampe
e ora coglie frutti caldi dall'albero
li fa cadere con l'aiuto di un bastone, che,
sono certo,
conserverà sotto braccio
per altre occasioni
Orbii au început să culeagă flori
Parcă se vede o lumină
prin găurile pe care cele două cuie
le-au lăsat în palmele osânditului
bufonii s-au închis într-o cuşcă
regele s-a închis într-un cub
soldaţii plâng în paturi suprapuse
înţeleptul prevesteşte căderea imperiului
otoman
orbii au început să culeagă flori
surzii au început să cânte
înecaţii ies încet din mare
şi se duc la casele lor
până şi calul meu s-a ridicat în două picioare
şi acum culege fructe calde din pom
le doboară cu ajutorul unui băţ, pe care,
sunt sigur,
îl va păstra subsuoară
şi pentru alte ocazii
Il primo poema per cani
Il primo poema per cani è nato
un pomeriggio d'autunno da un
grido lunghissimo del cervello da uno
sbalordimento le gocce d'aria colavano
dalle bocche braccate i piccoli corpi
si addormentavano nelle piccole stazioni della patria
nel cervello dell'uomo c'era molto silenzio
paesaggi si spiccavano dagli alberi nella piazza
il boia porcheggiava orrendamente con il condannato
allora, il poeta, che stava davanti alla finestra
strinse i denti e sbatté la fronte
contro la finestra i cocci si dispersero
sui ciuffi di mirto e persino nel vaso d'argento
col quale di solito si abbevera
il cane
Primul poem pentru câini
Primul poem pentru câini s-a născut
într-o după-amiază de toamnă dintr-un
ţipăt prelung al creierului dintr-o
încremenire stropii de aer se scurgeau
de pe gurile hăituite micile trupuri
adormeau în gările mici ale patriei
în creierul omului era multă linişte
peisajele se desprindeau de arbori în piaţă
călăul se porcăia îngrozitor cu osânditul
atunci, poetul, care stătea în faţa ferestrei
a strâns din dinţi şi a izbit cu fruntea
în fereastră cioburile s-au împrăştiat
peste tufele de mirt şi chiar în vasul de argint
din care i se dă câinelui de obicei –
să bea apă
(n. 5, maggio 2012, anno II)
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