«Brindisi per gli angeli». Versi di Luminița Amarie

Di Luminița Amarie, nata nel 1987, autrice di sei raccolte pubblicate anche da editori di prestigio (Editura Eminescu, Max Blecher) – a testimonianza, fra l'altro, di un interesse, difficilmente concepibile in Italia, che in Romania l'editoria maggiore e la stampa riservano alla poesia, anche giovane –, presentiamo alcuni testi particolarmente emblematici.
Il nome che subito affiora alla memoria del lettore italiano, di fronte a questi versi, è quello di Pascoli. Non già perché si possa parlare di un influsso diretto, essendo la poesia di Pascoli non molto nota e tradotta all'estero; ma più per una comune sensibilità, per un clima e un'atmosfera condivisi (e si potrebbe citare la lettera a Pier Emilio Bosi – fra i primi traduttori di Eminescu – in cui Pascoli confessa di aver scoperto in sé, proprio per queste remote neolatine affinità – poi documentate da Lorenzo Renzi –, «una gran voglia del rumeno»).
Peraltro, nel primo dei testi presentati, il motivo pascoliano, e prima baudelariano, dell'inesauribile e inquietante legame che continua a unire vivi e defunti (ma anche Mario Luzi, fra l'altro attento lettore del simbolismo europeo come pure, più a margine, di Eminescu e di Blaga, cantava, fra attaccamento e ossessione, «il duro filamento di elegia» che solo «la vivente comunione di tempo e eternità vale a recidere» – e di Sereni è «questo trepido vivere nei morti», i «notturni orrori / dei lumi nelle case silenziose») si affianca a quello, rilkiano, che è invece ricorrente nella poesia rumena del secondo Novecento, da Stănescu a Blandiana, dell'Angelo non solo come etereo mediatore fra l'umano e il divino, il terreno e il celeste, ambiguo daimon, protettore o minaccioso, ma anche come creatura (per citare le Elegie Duinesi) che «appartiene al Tremendo», del quale la Bellezza non è che «la prima nota», e che addita le soglie del Totalmente Altro, del Perturbante, del Numinoso, e rammenta implacabilmente che «essere morti è una fatica dura» – che le sofferenze della vita sono perpetuate e reiterate, non solo raddolcite, dalla reminiscenza.
«Scrivo una danza di monte». «Faccio il giro del bosco». Sembra qui di avvertire il moto circolare e ciclico delle hore (eco dei choròi della poesia greca), danze che nel loro moto iterativo traducono in ritmi e suoni la continua, mobile e immobile, palingenesi del Tutto, il perenne susseguirsi di morti e rinascite, dissoluzioni e germinazioni.
«Mi libero di ogni cosa che esiste». La parola poetica è conseguita e incisa al culmine di un cammino di svuotamento, denudamento, riduzione all'essenziale, di quasi ascetica kenosis. E si libra in una temporalità che trascende il tempo ordinario pur conservandone, come in forma di simbolo, l'impronta e l'eco: stagioni che sovrastano gli anni, elevandosi e dilatandosi in un «infinito autunno».
Nell'ultimo testo presentato, la Parola del poeta lasciata sola, cinta di silenzio e incomprensione, è anche destino sostanziale dell'uomo, cammino incontro alla voragine (presentita e quasi voluta) dell'ignoto, segnato da un indefinibile, sconfinato amor fati che è, infine, facoltà e necessità espressiva che danno forma e suono allo stesso dire poetico: fatale silenzio che si riflette in una dizione, in uno stile sempre più ridotti all'essenziale, scolpiti, lucidissimi; ai margini del bianco e del vuoto, alle soglie di una purezza annichilente, che sembra, paradossalmente, esito sempre possibile e insidiante pur in una poesia così legata alla terra, così aperta alla natura e alla vita.


Brindisi per gli angeli

Intreccio una corona di foglie
Nel nome dei miei morti
Costruisco un castello di cenere
E lo dono in elemosina
Nel nome di mio fratello che ora
Carezza gli angeli con piccole mani d'oro

Immergo rami di melo nell'acqua
Aspetto la pioggia
Poi con le loro gemme orno la tomba

Sempre sono sbocciati a nuovi inizi
Scrivo una danza di monte
E la canto in memoria del nonno
Che trovava sorgenti nella roccia

Faccio il giro del bosco
E innalzo la vittoria dei miei passi
A mia madre che se n'è andata
A cercare mio padre nei cieli

Mi libero di ogni cosa che esiste
Il mio giuramento lo dedico ai morti
Con il pensiero che stanotte
Accolto il mio memoriale diverrà
Una poesia immortale



***

è passato un anno
da quando in me ti ho ucciso

oggi nelle tue vene si agita l'autunno
passo greve, mattinate d'argento
caffè e fumo di passi in una casa deserta
testimonianza della solitudine la tua casa
sincera leale degna
della triste bruma del tuo cuore
è passata un'eternità da quando esuli
dai miei cammini

chiamate da nessun luogo
ovunque un infinito autunno
come i miei capelli nel solco
della tua schiena
come il sapore di sabbia arsa della tua pelle
sposalizio di foglie su una stagione fredda
senza padrone da questo abisso desolato
sento l'odore del tuo corpo, un profumo
di pietra e di rugiada, un amaro
spento sapore, come un chiarore autunnale
e mi chiedo se cresca
da te l'autunno figlio dell'inverno




Canto della culla

Scrivo questa poesia mentre ti guardo dormire
Il tuo viso ha la pace di un eroe
Vinto dalla solitudine
Con te respiro e sembra che si fermino
Le foglie che cadono in autunno
Sul dolore del mondo
Ancora serbano le tue mani l'acqua
Del mio corpo in te effusa, do principio
A una storia del silenzio

Potrei scrivere, accanto a te, quel libro
Dell'amore che dentro di noi sognano
Tutti gli angeli e i demoni
Ma mi fermo a questa poesia
Te la scrivo per tutti gli inverni
Che addolciranno il tuo sangue
Perché poi sorga da te il frutto
Delle chiamate tardive
La tua icona con nome di donna

Scrivo questa poesia e fluttuo sulla tua anima
Come una piuma d'uccello ucciso
Da un troppo alto volo

Non svegliarti, lascia
Che io in te ancora riposi la mia anima


***

cosa sappiamo noi della morte
cosa sappiamo noi della vita

silenziosi, nelle nostre gabbie di pietra
aspettiamo che vengano

ti svegli al mattino con una gioia senza nome
se non quella della felicità che oggi prometti a te stesso

l'abitudine di respirare aria nuova
gesti semplici, i passi di ogni giorno
ti avvolgono nel caldo dell'amore

con un nuovo gesto accendi la luce
come se nulla accadesse fuori dal tuo mondo
come se nessuno stesse nascendo o morendo

cosa sappiamo della morte cosa sappiamo della vita
esse dormono sempre nel tempo
di un'esistenza insospettata
potrebbero svanire al primo lume

contro l'oblio rimane solo il buio




La tristezza disegna pagliacci sui muri

Le foglie morte riscaldano i più candidi morti
scendono sul tappeto i passi della donna

come ombre di luce sulla lapide fresca
di una tomba di un anno

È arrivato l'inverno, non nevica
ma il freddo avvolge le ossa
e io con tutto il corpo raccolgo crisantemi

Hanno una terrestre bellezza i crisantemi
paiono i soli fiori della gioia

Sono stata felice oggi
mentre mi spira nel petto una greve tristezza
nel sangue sento un silenzio che devasta
come crescessero corde dai miei polsi
o forse è questo il solo amore
che parla nel silenzio

Da tre giorni sogno che qualcuno
dia fuoco ai fiori sulle tombe
mi sveglio fra le lacrime, mi assale
d'improvviso il tardivo amore dei morti

Cammino per una città ignota
mi sveglio sorridendo nascondo la mia gioia
perché nessuno veda le corde
cresciute dalle mie mani disegnare pagliacci sui muri
i pagliacci, gli unici che velano
la tenerezza di lacrime


***

tutta questa luce

sulla cima è invecchiata la luce
qui si asfalta dall'altro lato chiudono buche

sono acrobata tra le colline
come una belva in cerca di buio

di tenerezza io non so nulla
addestro una ferocia sfrenata nella mia mente
sin dal principio del giorno

hai visto la luna sporgersi dal balcone tu guardala

vuoi acqua e cibo e sonno io voglio amore grida
nella mia testa una voce

voglio che mi abbracci ma mi è ignota
l'arte della tenerezza addestro angeli in cucina
mentre bolle il caffè ripongo le paure

sottile è la quiete più limpidi
si fanno i pensieri
respiro

che fare ora di tutta questa luce


***

se nessuno capisce la tua lingua
perdona i muti e i sordi
perdona ai ciechi le tenebre

se nessuno qui ha pietà di te
tu liberati dalla tua pietà per loro
richiama alla mente il tuo viaggio
cammina incontro al tuo abisso


Luminița Amarie, nata nel 1987 nel distretto di Botoșani, in Romania, ha pubblicato finora i volumi di poesie Lacrime, denti bianchi del dolore (Eminescu, 2012), Destino fatto di una parola (Singur, 2012), La quintessenza dell’essere (Eminescu, 2013), Le felicità che fanno male (Blumenthal, 2015), Carbone di fumo (Brumar, 2015), Nasconde i ricordi e distrugge tutto ciò che abbiamo toccato (Max Blecher, 2019).


Presentazione e traduzione a cura di Matteo Veronesi
(n. 4, aprile 2024, anno XIV)