«Non abbiamo la forza di arrenderci». Versi di György Mandics

Con il titolo Non abbiamo la forza di arrenderci, pubblichiamo una selezione di versi di György Mandics. L’autore è nato a Timişoara, in Romania, il 4 gennaio 1943. Attualmente è cittadino ungherese e vive a Budapest dal 2000.
Studi: Università di Timişoara, Facoltà di Matematica (1966), Accademia «Ștefan Gheorghiu», Facoltà di Giornalismo (1977).
È membro dell’Unione degli scrittori della Romania, 1977, responsabile della filiale di Timișoara (1990-2000), e del Comitato direttivo dell'Unione, a Bucarest, 1990-1994. È anche membro dell'Unione degli scrittori ungheresi, dal 1993, e del PEN Club dal 2010.
Poeta, prosatore, traduttore multilingue, saggista, studioso interdisciplinare (semiotica, storia della scrittura, antropologia culturale, poetica matematica), György Mandics ha pubblicato circa 80 volumi in ungherese, romeno e tedesco. Ha partecipato come ospite, conferenziere, relatore a oltre 100 simposi, conferenze in Scozia, Inghilterra, Svezia, Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Polonia, Slovacchia, Austria, Lettonia, Serbia, Ungheria e Romania. Diversi volumi delle sue poesie sono apparsi in Germania, Polonia, Romania e Lettonia, romanzi e saggi pubblicati in Germania, Polonia, poesie, studi e racconti in molte lingue.
Ha ricevuto il Premio dell'Unione degli Scrittori romeni per il volume di critiche su Ion Barbu scritto in ungherese, volume tradotto e pubblicato successivamente in romeno; il premio dell'Associazione degli scrittori di fantascienza ungheresi, il Meteorite d'oro, per il romanzo di fantascienza Lumi de Fier, pubblicato in una tiratura record di 150.000 copie, 1987; il Premio ARSFAN per i volumi I e II dell'Enciclopedia degli esseri extraterrestri: libro dell'anno 1996, 1998; il premio dell'Associazione Erdélyi Szötségé, di Budapest, per il romanzo Manipulált Forradalom («La rivoluzione manipolata»), il premio per il miglior libro dell'anno nel campo della ricerca linguistica, 2011, Róvott múltunk («Enciclopedia delle scritture runiche ungheresi»), oltre 2000 pagine; Il Premio József Attila dell'Unione degli scrittori e del Ministero della Cultura ungherese per l'attività poetica, 2020, e infine il Premio Herczeg Ferenc del Ministero della Cultura ungherese per la ricerca sulla storia antica, 2022.

 

La casa in cima alla collina

Vivremmo così meravigliosamente,
se solo ci fosse una casa in cima alla collina, al piè di sera,
quando dai pendii si lasciano oziare
rose canine e biancospini

Se solo ci fosse un giorno – senza pioggia – senza
tracce di brina, né foglie contorte,
se ci fosse un tramonto tranquillo – con nuvole di stelle
fluttuando tra i rami  –

Se solo, se solo ci fosse -

E adesso?

C’è il tramonto, ci sono le stelle, c'è anche una casa
in cima alla collina ma non ci sei tu,
quella che hai vissuto così meravigliosamente, se solo ci fosse
una casa al piè di sera ---

 

Rami secchi

I rastrelli del vento
fomentano follemente lo sbriciolato fogliame –
bianche di umidità, le ossa pendenti dei rami si scontrano, mentre
Socrate solleva premuroso il bicchiere colmo di succo di cicuta,
Byron si fa strada attraverso la palude sotto il velo delle zanzare,
Esenin imbratta con il proprio sangue la faccia estranea dello specchio,
i paraurti dei vagoni merci sbattono,
Attila si inginocchia e le pinze arrugginite
delle ganasce dei freni si aprono avidamente
e attraverso l'oceano nero delle canne del fucile Hemingway
vede la propria morte

Hanno vissuto fino a quando l'unico collegamento essenziale è stato interrotto.
Il corpo pende da alcune fibre nervose.
Gli indifferenti sarebbero durati a lungo
Ma quelli la cui coscienza vuol sempre chiedere?

Kafka finì comunque nel letto:
ma non so al peggio chi fu costretto -

Posso solo vedere che increspa un’onda sufficiente, l’oceano
degli stimoli neutri, pur lateo,
per avere un posto dove bagnare
quest'essere che rutta, l’ombra soffocata di Anteo.

Perché conosciamo la strada. Arriva nella stessa oscurità
da cui discende. Ma non abbiamo la forza di arrenderci.
Ognuno si aggrappa al futuro che gli è stato dato,
del destino scomposto a misura attraverso notti e giorni,
di questo finito sterilizzato,
in cui anche il pensiero sarà climatizzato.
Perché sotto il manto di pranzi sontuosi, niente sembra terribile.

E se nel nostro corpo appena al di sopra di quello dell’animale
a volte, però, lo spirito si apre all’infinito,
rami secchi di acacia vorremmo diventare,
perché dell’immortalità nulla vogliamo sapere ---

 

Equazioni

Quarantatré armi equivalgono a quarantatré paia di occhi
nei pressi di un ponte ferroviario, il cadavere con
il collo traforato di un'antica foresta di
faggio, officina segatronchi, macchina di
cucitura che orla i fili di un attacco disgregante
sulla sponda sabbiosa del treno delle inondazioni-

Ordine del fronte all'alba uguale alla gola rauca, borse assorte,
fiamme di accendini, alla ricerca di pali di legno
smembrato tra i prugnai, punti di triangolazione
invisibili, dall'altra parte della collina,
istinto di sopravvivenza, venti parole
esplose, venti macigni tuonanti sulla bara
dell’immaginazione –

Tre carri armati uguali ai campi libro di musica, Cristi di latta
ai margini di un villaggio, che adorano,
boschetti dell’orrore, nausea da torretta, elettronica
rampante, tre rovi ardenti fissati sul reticolo
periscopio –

Venti soldati equivalgono a mezza tonnellata di ossa, mezza tonnellata di
fango, un quintale di maledizioni, un bastoncino bianco, due
stampelle di quercia, una decorazione, diciotto tombe
senza nome, lutto gridato per diciotto nomi –

Dieci bambini a idrogeno uguali a piantine di funghi celesti, raccolto
record di angeli della terra invasione di cenere –

Un criminale di guerra pari a due milioni di lapidi.

 

Invasione di punti

La città tremava dalla paura.
la gente si nascondeva nelle case,
ma sotto il pavimento potevano sentire
rosicchiando, come topi, come si imbattevano nelle travi del tetto
gli infiniti moltiplicati,
gli infiniti che si moltiplicano senza limiti.
Hanno ricoperto tutto, come muffa:
nell'acqua gassata, nella zuppa, nel pezzo di legno si sono sfaldati,
con i cumuli la strada l’hanno invasa, lo spazio, l'aria,
come una specie di sabbia nuova,
o scura, nera
invasione di cavallette.
I saggi della città pregavano: O Dei, fate qualcosa,
ma nessuno ha trovato un antidoto
all’invasione dei punti.
Molti sono impazziti:
come i pastori che contando le pecore
tracciavano delle linee, all'inizio dopo ogni centinaio,
poi dopo ogni milione,
volendo chiudere l’infinito nei loro recinti di rubriche,
ma solo i pezzi buoni diminuivano.
(Ed oggi ci viene mostrato quel povero vecchio,
che all'angolo della strada disegnava nella polvere urlando con Heureka!
Perché il vento misericordioso ristora sempre
L’agenda stradale).
Sebbene ci fosse il secchio di grano, l’incrocio si stava svolgendo,
la riunione, l’inclusione delle masse
in ogni mercato,
e la molteplicità
arma micidiale,
si trovava in ogni nozione generale!
Ma non aprirono gli occhi,
invano gruppi di punti disidratati marcivano dappertutto,
come escrementi di topo,
tutto era vano
perché hanno rinchiuso Georg Cantor in manicomio,
i furbi lo mettono in ospizio,
lo misero in camicia di forza,
proprio così, stimabili,
e invano Alef 1 gemeva con gli occhi a piattino,
invano Alef 2 si lamentava con gli occhi come una macina,
Invano Alef 3 ruggiva con gli occhi come un bastione –
Non c’era nessuno a difenderli
Con la magia Anderseniana.

 

Con l’indaco perforato

Cominciarono a sferragliare sul tetto
le macchine da scrivere autunnali–
L'indaco della notte è perforato
dal piombo delle piogge infernali.

Sui cuneiformi della pioggia scambiano
messaggi i sogni perenni –
Mentre il corpo giace nell’intervallo
consentito dagli orari dei treni.

Perché il tempo comune è derubato
da macchine da scrivere e treni –
il dialogo è ridotto al segno e attraverso
il telex della pioggia tremi–

E quando tra le sveglie
scivoliamo come in un burrone,
mi aggrappo alla tua mano come un cieco
al suo bianco bastone –


György Mandics
Traduzione di Viorel Boldiș
(n. 12, dicembre 2022, anno XII)