Poeti romeni in Italia (2)

Ofelia Prodan è nata a Urziceni e dal 2021 vive a Padova. Esordisce editorialmente nel 2007 con la raccolta poetica L’elefante nel mio letto (Premio per il Debutto dell’Associazione degli Scrittori di Bucarest, 2008) a cui hanno fatto seguito altre numerose sillogi di versi, tra cui due edite in Italia, Elegie allucinogene (Edizioni Forme Libere, 2019; Finalista al Premio Letterario Internazionale Città di Sassari 2020; Premio speciale del  presidente della giuria nell’ambito del Premio Bologna in Lettere 2021) e Periodicamente ricicliamo cliché (Edizioni Ensemble, 2023; Premio speciale Virginia Woolf per la poesia edita, nell’ambito del Premio Letterario Internazionale Nabokov 2023; Finalista al Premio Lorenzo Montano 2024). È membro dell’Unione degli Scrittori di Romania e del PEN Club Romania.

«Ofelia Prodan (obbligata anche dal suo nome!) pratica una profonda incisione nella propria coscienza. Le sue poesie con Tudor hanno un odore umido di tomba. Né Ileana Mălăncioiu, né Mariana Marin, tra le poetesse precedenti, erano riuscite a scrivere testi così cupi, con un'atmosfera così opprimente. Tudor, quello che è scomparso, sembra chiamare tutti oltre, e l'incontro ha luogo, poiché, una volta che la morte diventa un'evidenza indiscutibile, essa si trasforma nell'unica certezza dell'esistenza. L'intera poesia diventa un discorso contro la morte. Ofelia Prodan apre una breccia tra quello che è scomparso e quelli che portano il loro dolore qui. Tuttavia, proprio attraverso tali audaci sfide dell'evidenza, attraverso queste forzature della realtà cruda che la poesia facilita, si giunge alla comprensione che, sebbene esista questo muro spesso tra vita e morte, esso non è impenetrabile. Quando tutto si sposta nella coscienza, e questa si riversa nella poesia, qualcosa, qualcosa, può essere recuperato.»

(Bogdan Crețu)

Le poesie con Tudor

– frammenti –

il film

il terzo tra noi arriverà presto, 
vedi, Tudor, forse ci conosciamo troppo bene, 
la nostra carcassa resiste ancora, il metallo brilla ancora, 
ma sarà l'ultima cosa a cui penseremo, 
nidi di formiche spunteranno nei nostri occhi curiosi, il sole si oscurerà, 
dolce Tudor, tu che bevi con noi solo vino rosso 
e non versi una goccia per i partiti, 
non ne hanno bisogno, dici tu, il mio pensiero fa 
molto più bene a loro, 
dolce Tudor, ti aspettiamo nella cavità sotto la terra pesante,
vieni a fluttuare sopra città e ponti con la tua bottiglia di vino rosso 
al petto, 
fanculo alla morte, chi ha tempo 
di pensare a cose inutili, 
sai che ci stringeremo tutti e tre e faremo 
il più bel film, si raduneranno gli abitanti 
sotto la terra pesante, figuranti seri, 
li pagheremo bene, ma rifiuteranno i soldi, 
cosa facciamo con i soldi, noi vogliamo il vino rosso 
del dolce Tudor, quello che arriva fluttuando, 
così arriverà il terzo tra noi, 
grande cosa è questo film, 
ci distrugge il cervello da quattro anni, 
ci consuma anche la carcassa, 
dai, Tudor, apri quella bottiglia finalmente

 

il vecchio

vedrai quanto semplice e bene si sistemano queste cose, 
come se le avessi pensate tu, 
sussurrò più a sé stesso il vecchio, 
e i suoi occhi gentili brillavano nella luce dell'accendino, 
il fumo si avvolgeva come un alone 
intorno alla sua testa, 
la pelle del suo volto si stringeva, si mummificava 
sotto i nostri occhi annoiati, 
ma noi continuavamo con i nostri affari, 
bevevamo, ridevamo e raccontavamo, 
ci piaceva tanto immaginare 
come vorremmo morire, 
e avevamo, non scherzo, ogni tipo di idee 
strane, bizzarre, 
ricordo che uno di noi voleva morire 
mentre giurava alla sposa amore eterno 
sotto gli occhi del prete e degli invitati ubriachi, 
ricordo che, stordito dall’alcol, 
cercai con lo sguardo il vecchio oltre il tavolo, 
volevo dirgli proprio così: 
vecchio, vorrei crepare nel sonno, 
non dirmi che le cose si sistemano facilmente, 
non ci credo nemmeno una virgola, senti, vecchio, 
e all’improvviso mi paralizzai, perché il vecchio era ora 
completamente e interamente di pietra, 
una pietra dura e fredda come il granito

 

la donna dall'albero

vai oltre, non importa questo muro spesso, 
cade alla più lieve brezza, 
il mio cuore stringe coaguli neri, 
solo il desiderio per la casa nel bosco tra le montagne, 
dove i fiori profumano sempre come in primavera e 
la terra è umida, smossa, 
queste cose mi tengono sveglio per tre giorni, 
solo il pensiero che lì potrebbe abitare Tudor 
di tanto in tanto, 
e allora arriverebbe allegro con il suo vino rosso 
e quella Dacia grigia con il paraurti rotto, 
e allora vedresti che allegria, caos, 
parleremmo tutta la notte e berremmo 
e parleremmo e berremmo e ancora parleremmo 
senza stancarci, 
ci ricorderemmo della donna che è uscita 
da un albero 
così nuda, con i capelli lunghi e neri sopra i seni, 
aveva le cosce enormi fortemente serrate,
l'abbiamo presa con noi 
e non ha voluto in alcun modo mettersi 
un vestito, 
è rimasta nuda con noi tutta la notte, 
non ha detto una parola, 
sorrideva solo, persa, 
al mattino ci siamo svegliati e non c'era più, 
solo i suoi capelli neri avevano avvolto tutta la casa

(da Invincibili, ed. Vinea, Bucarest, 2008)
(traduzione di Daniela Lupi)

 

i virus diventano prevedibili

i granchi dilaniano il foglio di alluminio, frusciano,
le nuvole si diradano, la luce si scompone,
cavalco un granchio a batterie sovradimensionato,
sono collegata a una fonte di energia limitata,
trasferisco un comando mentale alla base di ricerca,
la cellula più piccola dell’organismo
reagisce in modo imprevedibile, annoto in un documento word:
“i virus diventano prevedibili dopo un periodo variabile di tempo,
il granchio è prevedibile solo entro determinati parametri”,
il mio reddito è esiguo, sono al livello base di sussistenza,
cancello questa informazione dalla memoria interna,
un esercito di granchi mi dilania l’involucro di alluminio,
piove ghiaccio, la mezzaluna si rigira,
qualcuno scosta il nastro trasportatore
con robot prodotti in serie,
qualcuno sbircia dietro la scenografia astratta
e vede un paesaggio paradisiaco
su cui traccia in un angolo la firma di Don Chisciotte

(poesia dalla raccolta inedita Instantanee prefigurate)
(traduzione di Mauro Barindi)

 

Ștefan Mocanu (Romania, Râmnicu Sărat) compie studi nell’istituto tecnico «Ștefan Cel Mare» con spiccate doti per le materie umanistiche. È poi membro della AZR (Associazione Giornalisti Romeni) nella quale compie apprendistato al giornalismo; segretario di redazione e cofondatore della Società Culturale Doina, legata alla rivista omonima. Pubblica nel 1991 Il secolo delle allucinazioni. Trasferitosi in Italia da anni, torna alla poesia con Ossa di luce (Transeuropa, 2019), poi pubblica Disincanto programmato (Nulla die, 2020) e Artigli e paure (Nulla die, 2022).

«Stefan Mocanu sembra collocare all’interno di una cornice onirica presenze materiali, personaggi e oggetti concretamente intesi, per il verso di un incessante mascheramento dei primi in presenze che rasentano l’astrazione e dei secondi in qualcosa di vitale ed estraneo al loro valore d’uso o collocazione nel repertorio del consueto. Egli denota piuttosto che connotare, offre angoli di visuale eterocliti e ipnagogici, in un flusso vividissimo e icastico che risulta talvolta lene come un unguento guaritore, talvolta sanguigno e ruvido. Il reale è scomposto e ricomposto con un’azione cui presiede sì la fantasia, ma anche la necessità di dislocare il senso e la prospettiva del visibile in una zona crepuscolare in cui tutto può accadere e niente è ciò che sembra: ogni ente pare trasfuso di una forma di forza vitale che conferisce anima a presenze animate e inanimate, spesso rendendo le une imprigionate nel grido pietrigno di una paralisi fuori dal tempo e le altre vive di vita propria entro un ordine simbolico che scardina i paradigmi dell’ordinario. Ciò che appare, sembra dire Mocanu, non è una mortifera cronaca del fattuale ma l’occasione irripetibile di vederlo attraverso la lente caleidoscopica di un conferimento di senso e fisionomia che reinventano l’antico tema ontologico del rapporto tra Soggetto e Oggetto, alla luce del fatto che questi due termini possono invertirsi in ogni istante, e che il Soggetto ha una natura erratica e promiscua.»  

(Massimo Triolo)

 

Placenta

 La strada incerta e acerba scorre senza senso,
diluviano a valle religioni obese
essudando odori con effetto allucinogeno
su coloro che cercano la felicità.
Svegliatemi! Il benefico calore placentare
è già ricordo.

 

Controsenso

 Frustrazioni appese alle orecchie
come due acerbe ciliegie.
La pendola è un boia senza cappuccio,
dannato a un bivio.
Una sedia senza schienale cade.
La vecchia penna d’oca
inspira profondamente,
per prendere slancio
e vergare destre parole...
la voce stanca, invece,
corre su un controsenso.

 

Disincanto programmato

 ...E i pesci continuano a masticare
il ganglio dell’acqua,
il ginocchio del pirata ha gemmato
un tronco segato di betulla,
l’onda serotina ha spiaggiato
un’anima di scambio,
chiusa in bottiglia dal tappo d’argento,
destinata al fantasma vestito dei miei panni.
Passi di ieri convivono col giorno di domani
in un disincanto programmato
pandemia delle parole senza prole
lucidando scarpe di lacca
come un biglietto da visita.

 

Credenza

 Il vuoto che sta d’intorno a noi,
gomiti sul tavolo,
si tiene il volto tra le palme delle mani.
Il mondo dietro il mondo,
il “secondo mondo” carezza la foglia
che va a morire,
parla con il sonno, bacia il peccato,
trepido come visione in cerca di mostri.
Mostri docili, senza scettro, modellati
dai bimbi del cavaliere dalla triste figura,
plasmati con la cera dei ceri piangenti
di un pianto in dialetto
parlato
solo da pietre levigate nelle palme rugginose
e spaccate poi sotto le ginocchia
consunte da troppa,
e ancora troppa credenza.

 

Giorno senz’ombra

 Brucia il mantello sulle spalle riesumate,
e il chiodo si frange in frutto proibito.
Amo il silenzio sgombro da domande,
scheletrico candelabro
sotto le arcate mute.
Uno spicinìo di sparse perle
da rotta collana disperse e immemori
del selvatico collo:
tempia piangente il pensiero
divenuto parola sulla cattiva strada
per il mondo della dissolvenza,
nudo in un verso davanti agli osceni occhi,
parola ingoiata con un sorso d’acqua
pillola onirica o ritorno al pensiero.

(da Disincanto programmato, Nulla die, 2020; traduzione di Massimo Triolo)

 

Elena Ana Circei, in Italia dal 2001, vive, lavora e scrive, in italiano e in lingua madre, a Torino. Autrice di due raccolte poetiche, Tra le corde della grande arpa (Raineri Vivaldelli, 2020) e Ouverture dell'oltre (Temperino Rosso, 2021; nel 2020 vincitrice del concorso con pubblicazione dalla Casa editrice Temperino Rosso).

«Mi ricordo il giorno in cui le dissi: “Sarebbe bellissimo, se tu scrivessi a due voci – nella tua lingua madre e in italiano”. Non era tanto convinta, la poetessa in questione, che il romeno fosse da tirare in ballo in duetto con la lingua adottiva, dopo di che, con il suo compagno di vita Ivo De Palma, ha creato la connessione. Molti versi in danza spirituale ed erotica sulla carta hanno preso il volo dal foglio al cielo di Torino, tra le luci degli scatti fotografici di Elena e Ivo. Aspirazioni e ispirazioni, sempre con il naso al Sole e gli occhi meravigliati da numeri e corrispondenze. Io penso che Elena sia una poetessa pitagorica.»

(Valeria Bianchi Mian)


1

Sul margine dissodato del tempo
Lunae Dies est...

Le pene dell'Uno
sradicano
il mezzogiorno del pensiero!

La risonanza
del foglio bianco riempie il Graal...-
e 1+1 è l'indicativo dell'unico
par inter primos!

Sfinito
Saturno depone gli anelli
tra
le radici di un numero felice!

Il vuoto muta pelle

Mi crescono secoli
al posto delle unghie...

Et Dies Solis Est
sul margine del Tempo.

 

4

Dio
ha i nuovi giorni
sulla... punta della lingua

inspira
e puff - una Domenica!

espira,
e puff - un cesto di Storia...

Ogni
pietra
miliare
lungo l'eternità
è una parentesi (x fratto stupore)
dove
x - uguale all'Essere - infrange
la morale dell'Azzurro!

Dunque
x maggiore o uguale al "cielo stellato"

Dunque
(x fratto stupore)
esiste ed è unico!

 

20

da 1 a 2
il Tempo si (in)caglia –
una suite per cielo e terra veste
la nudità del Caos...

il guscio delle sfere si spacca!
le sillabe gravide dei cavalli
sono in cerca di braci di frasi...

il vangelo dell'autunno
si dischiude - virgole
domande
trattini
due punti
macchie di sangue - a gravitare
dentro un Punto!

la stella nasce

l'uva è passata, ormai...

... e anche le lacrime

 

30

È...
l'oriente di quel "mentre"!

Dal timpano
dell'orecchio destro
all'aorta
del cuore
le terre sono lastricate
dai cocci di una fiamma!

I cieli sono
tinti
dai frammenti di
"sicut in caelo, et in terra"

Imponderabile, corsivo
l'oriente
si appoggia
a quel "mentre"...

(da Ouverture dell'oltre, Temperino Rosso, 2021)

 

Lucia Ileana Pop è nata a Desești, Romania, e dal 2014 vive in Italia, ad Ardea (RM). È stata docente di Lingua e letteratura romena in Romania e dal 2014 è collaboratrice dell’Istituto della Lingua Romena di Bucarest, insegnando Lingua, cultura e civiltà romena in Italia. Esordisce editorialmente nel 2020 con la raccolta poetica Scântei de suflet / Scintille dell’animo (Rediviva Edizioni). Sempre con Rediviva pubblica, nel 2022, Umbre și lumini / Ombre e luci. Oltre a queste, 5 sono le sue raccolte poetiche uscite in Romania. Collaboratrice della rivista Timpul Belgia (con sede a Bruxelles).

«Lucia Ileana Pop esprime, in genere, senza giri di parole ciò che vuole dire. Le interessa la comunicazione di ciò che conta. Il peso delle parole, non gli ornamenti. Ciò che cerca è suscitare atteggiamenti, commuovere proprio attraverso la naturalezza dell’espressione. Come se volesse prima di tutto conquistare la sensibilità del lettore, e solo poi metterne alla prova le facoltà spirituali. La ricerca di sé nello spazio della poesia energizza Lucia Ileana Pop, offrendole una possibile via di redenzione, per proteggere ciò che la rende ciò che è.»

(Delia Muntean)

 

Chiusi in gabbia

Noi, uccelli della terra,
siamo rinchiusi di nuovo nelle gabbie,
abbiamo le ali serrate in laccioli,
possiamo muovere poco
il corpo,
ma compensiamo tutto ciò
con la mente,
con lo spirito.
Resto chiusa anch’io, però guardo
con gioia fuori dalla finestra.
Con gli occhi sfioro l’orizzonte.
Dischiudo poi le finestre della mente,
faccio volare liberamente
il pensiero
e la parola
e mi chiedo riconoscente
cosa farei se
in prigione ci fosse
il mio animo.

 

Pasqua lontana dai miei 

Essendo su un’isola, il mare mi circonda 
col muggito di onde agitate.
A portata di mano mi sono rimaste solo le parole,
le parole scritte sulla sabbia, con cui mi diverto a giocare 
prima che le onde me le rubino,
per svuotarle dei sentimenti,
impastarle con l’acqua e con la sabbia del mare senza fine
e ottenere il pane pasquale e le uova rosse e decorate,
per festeggiare la Pasqua con i miei.
La luce me la invieranno i pensieri,
specialmente quelli lontani,
che mi salveranno dalla morte 
di tutti i giorni.

(da Umbre și lumini / Ombre e luci, Rediviva, 2022)

 

Vorrei sapere

Vorrei sapere
e per questo non riesco
a sentire le tue parole.
Ascolto piuttosto i tuoi silenzi
profondi, dolorosi,
che parlano più di quanto vorresti.
E comunque... so
che un giorno i silenzi
diventeranno canto
di conforto,
e questo dopo che le parole
si saranno trasformate in uccelli migratori
e avranno attraversato l’acqua pericolosa.
Allora la luce toglierà il buio
scivoloso dal mio animo
e risorgerò come l’araba Fenice.

 

Oggi mi sono messa a chiacchierare con me

Oggi ho fatto una pausa
e mi sono seduta sull’erba calda
per parlare apertamente con me.
Era così tanto tempo da quando,
nella fretta della vita, mi sono dimenticata di farlo!
Io e il mio Ego eravamo una volta amici
inseparabili e insuperabili,
ma oggi mi sono sentita come se
fossi andata davanti a un giudice
senza tracia di comprensione.
Siamo riusciti, comunque, dopo uno lungo e difficile silenzio,
a conversare tranquilli, ma sono stata ripresa
così come, forse, mi sarei aspettata:
- Dove corri? mi ha chiesto.
- Nella vita, le ho risposto.
- Cosa credi di ottenere correndo?
- Stavo pensando che otterrò prima ciò che desidero.
- Non va bene ottenere prima, mi ha risposto.
- Perché?
- Perché poi continuerai a correre per ottenere qualcos’altro.
e la tua vita sarà un’eterna corsa. Faresti meglio a fermarti
e a goderti i momenti che hai ricevuto in dono!
Come potevo non essere d’accordo?
Mi sono proposta di ascoltarlo.
Ma non si è fermato qui.
-Lo sai che per soffrire non è necessario essere in compagnia?
Mi ha domandato guardandomi di sfuggita.
- Cosa dici? gli ho risposto.
- Ciò che hai sentito, solo questo, mi ha risposto guardandomi direttamente negli occhi.
Puoi soffrire anche da sola, non è un sollievo essere in compagnia.
La compagnia è fatta per aiutarti a non soffrire.
e se questo non lo fa, puoi rinunciare a essa.
Di nuovo gli ho dato ragione…
Ma non finì ancora di parlare.
- E perché parli con chi non ti vuole capire? Mi ha chiesto poi.
- Con chi non mi vuole capire?
-Sì, con chi non usa le orecchie per sentire i tuoi strilli.
Come aveva di nuovo ragione!
Non ho risposto più niente.
E si è girato senza osservarlo e se n’è andato
come se avesse voluto solo darmi filo da torcere.
Io sono rimasta e ho meditato a ciò che mi disse
e non sono riuscita a fare altro che a dargli ragione un’altra volta.
Poi ho sentito da lontano un’eco. Era sempre lui:
-Ricordati che non ti dissi proprio niente solo per farmi dare ragione!

(da Trepte peste timp, Editura Revistei Timpul, 2023)

 

Ramona Paraiala, nata a Iași - Romania, vive a Torino dal 2007. Nel 2021 pubblica il racconto breve Sole (Robin Edizioni) e la prima silloge poetica, Tra le tue braccia (Albatros il Filo). Nel 2023 pubblica la seconda raccolta di poesie Torno radice (Controluna edizioni). Da inizio 2024 è parte del direttivo dell’associazione culturale Periferia Letteraria.

«Dove si celebra l'amore. Sul labbro inferiore. A stretto giro con le parole. Semplici e semplicemente adeguate al vero cristallino. Si dice "in purezza". Si usano molte attenzioni. Se mi chiedessero cos'è l'amore. Direi che è un viaggio. Un'oscillazione capace di curvare il firmamento. Di capovolgere il mondo. Ed è perciò che la poeta ritorna alla radice. E si dice "in nuce" per esprimere quel concetto fisico di energia potenziale capace di estendersi come dice Spinoza in modi ed estensioni. Ma per tornare occorre tracimare il passato e spolverarlo al vento. Tabula rasa. Terra fertile. Cuore in allarme. Mente che si riprende piede e passo. Un uomo. Una donna? No. Una sacerdotessa capace di officiare l'amore ben riposto nel suo intimo cassetto. Per elargire favori e curare il suo amato con la linfa, la saliva ed i suoi umori.»

(Sebastiano Adernò)

 

Saluto

 Ci sei per un saluto?
Uno veloce veloce, basta che ti affacci alla finestra.
Le dicevi con la paura di rovinare l’incanto.
Mi basti così, non mi avvicinerò troppo
Resta lì, sul tuo balcone
Ho paura che se ti avvicinassi
I nostri cuori potrebbero spezzarsi
E non siamo pronti a ricomporli insieme.
Ci sei per un saluto?
Uno veloce veloce
Tu mi sorridi, io ti saluto
E con ogni saluto diventiamo
Noi.

 

Aspettare il sole

 Sento i tuoni in lontananza e vorrei aspettare
la pioggia su una panchina con te.
Chiudi gli occhi, ricevimi nel cuore
Mi sento solo in questo mondo vuoto
Coprimi gli occhi, accendimi il cuore
Fallo bruciare
Voglio volare
Rendimi vivo
Prega per me.
Sento i tuoni in lontananza
e vorrei aspettare il sole su una panchina con te.

 

Tempo

 Ti lascio il tempo per innamorarti
della vita che ti schiaccia
sotto i pensieri.
Ti lascio il tempo di soffrire,
scendere e salire,
respirare.
Ti lascio il tempo di amarmi quando puoi:
nei tuoi silenzi,
tra un dolore e un respiro,
tra un amore e un altro.
Non confonderti, non confondermi
Siamo amore.

(da Torno radice, Controluna edizioni, 2023)

 

Ricordo un respiro
che tagliava in me
senza toccarmi il cuore.
Saltellando da un giorno all’altro
cadevo a pezzi
senza ricordarmi di te.
Ricambia l’aria tra i due poli
l’amore per me
ritornerà in te.

 

***

respiri il silenzio
tra i raggi del sole e il freddo
di questo inverno
conti le costole
con cui il mondo mi ha creato
trema la terra,
colla il sangue stantio

i saggi non hanno più
una lingua
i denti son aguzzi
indovini chi si disseta
contando i tuoi giorni?

(inediti)

 

Edmond Neagoe, nato a Câmpina, distretto di Prahova, tra il 1981-1985 frequenta la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bucarest, durante la quale partecipa ai lavori dell’Associazione Letteraria «Liviu Rebreanu», prima come membro (1982-1983), poi come presidente (1984-1985). Uno dei membri fondatori del Cenacolo letterario oltre le frontiere, Suceava-Cernăuți, «La macchina dei poeti».  Dal 2022 partecipa agli incontri organizzati dall’Associazione Culturale “Estro Versi” di Bologna. Diplomatico presso il Ministero degli Affari Esteri, attualmente Ministro Consigliere presso il Consolato Generale di Romania a Bologna. Autore del libro Una visione dell’apocalisse (Terra d’ulivi, 2024; Candidato al Premio Internazionale Camaiore - Francesco Belluomini).

«La prima impressione che si riceve dalla lettura di queste poesie è una leggera brezza surreale, come se il poeta avesse passeggiato in un sogno da cui si è svegliato e quindi sta prendendo possesso della realtà che lo circonda. Una bella sensazione, di quelle che si provano tra veglia e sonno, perché soltanto in questa condizione si può scorgere “Il ginocchio della luna” o “L’inverno diventare cervo colpito dalla freccia” o vedere le “ali di neve” o “Il tempo” diventare “cieco dal desiderio di riposo”. Ma non si tratta di visioni, nella poesia di Edmond Neagoe c’è la vita che palpita, che sente il bisogno di uscire dalle strettoie del quotidiano, e c’è la capacità di saper cogliere l’essenza delle cose, senza spreco di parole, senza dilungarsi sugli eventi, puntando dritto al cuore delle situazioni.»

(Dante Maffia)

 

Semantica

 Ti guardo gelare attraverso la finestra di nebbia,
è deforme il tuo corpo nella luce diffusa,
Sento le labbra fredde e lo sguardo gelido,
Dalla tua anima vuota e la volontà confusa.

Come il vento ululante che scatta attraversando le ossa,
invano abbaiano i cani,
Mostrami un segno,
Per chiudere i miei occhi torbidi
dalla nostalgia dell’eternità.

 

Una visione dell’Apocalisse

 Dalla grotta in cui mi trovo
Non ci sono tracce dei tuoi passi sulla sabbia.
Un grido d’impotenza mi fa rabbrividire
Di quelli che disegnano cerchi
E invano cercano di capire il loro segreto.
Vorrei guardarti, ma ho paura.

 Ovunque si sentono persone e animali.
Il fumo delle grotte unisce la preghiera all’impotenza.
Mi piacerebbe conoscerti, ma ho paura.

 Gli sciocchi si aggrappano al limite del tempo con le dita
Chiedendo pietà.
Gridano alle montagne vacillanti
Di nascondere la loro iniquità.
Le torce accese cadono come stelle
E la luna è insanguinata dall’ira dell’agnello.
Verrà il gran giorno della tua giustizia?
Vorrei abbracciarti, ma ho paura.

 Vieni a vedere, continuo a sentire!
Chi può stare fermo?
So che la speranza decade con il crepuscolo degli dei.
Dio mio, per favore,
accogli i Tuoi figli!

 

Primavera in Bucovina

 Richiamo degli uccelli e nuvole colorate,
Scende tremando la rugiada sulle foglie del faggio,
Gli stormi di gru erranti, in ritardo passano
Sentono il rumore della pioggia sulle loro ali.

È arrivata primavera?
Hai chiesto in tono piatto, guardando avidamente
attraverso il bagliore dei fiori.
Si, è arrivata!
Gli rispondono i tordi nascosti tra i rami d’abete,
Volando verso la luce che filtra dalle nuvole.
Tra gli stormi nascosti dall’ombra dei corvi,
Il crudele Inverno lotta sognando l’immortalità,
La primavera piange con i fiori di ciliegio,
Cercando la felicità, come un cieco in ginocchio.

 

Concorrenza

 Come ricordo bene tutto adesso!
Corsi al primo grido di dolore della natura
Sanguinava la nostra carne dalle scogliere troppo ripide
E intrecciava la campana del nostro cuore con il veleno dell’odio
Diverso da chi rubava per arrivare sempre in alto. Invano!
Le strade non portavano da nessuna parte!
Questa stretta caverna sarà la nostra
fine anticipata...

(da Una visione dell’apocalisse, Terra d’ulivi, 2024, traduzione di Daniela Lupi)


A cura di Daniel D. Marin
(n. 4, aprile 2025, anno XV)