Ana Blandiana e l'incessante tempo della poesia: «L'orologio senza ore»

Apriamo il nostro Focus scrittrici romene con Ana Blandiana (nom de plume di Otilia Valeria Coman, n. 1942), esponente di spicco della generazione di poeti degli anni Sessanta, che ha saputo recuperare la grande tradizione della lirica romena novecentesca – Tudor Arghezi, George Bacovia, Ion Barbu, e in particolare Lucian Blaga, a lei molto affine, con i suoi Poemi della luce – per la particolare consonanza espressiva. Dopo la lunga letargia estetica che ha segnato l’«ossessivo decennio» stalinista, la generazione neomodernista di Nichita Stănescu, Ana Blandiana, Ileana Mălăncoiu e Marin Sorescu ha militato per la rifondazione del senso, ripristinando un fertile dialogo con i lettori di poesia autentica.
Il pubblico italiano ha potuto apprezzare la delicata sensibilità della sua scrittura a partire dall'antologia Un tempo gli alberi avevano occhi (Donzelli, 2004), a cura di Biancamaria Frabotta, scomparsa di recente, e di Bruno Mazzoni, seguita da La mia Patria A4 (Aracne, 2015) curata da Mauro Barindi. Nella nostra apposita sezione dedicata ad Ana Blandiana pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore, una selezione di versi dalla successiva raccolta, L'orologio senza ore (Elliot, 2018), a cura di Bruno Mazzoni.

«L’idea di preservare la purezza lirica significava in realtà, per Ana Blandiana, il bisogno di riaffermare la dignità della persona umana. Fin dal suo esordio dichiarava “voglio toni chiari, voglio parole chiare”, e non sarà casuale che Blandiana, a mano a mano che ha proceduto nel suo percorso artistico, abbia teso a essenzializzare sempre più il proprio linguaggio e ad allontanare la già misurata strumentazione retorica. Per lei, compito della poesia è andare al di la della fisicità della forma verbale, per cogliere l’ombra delle parole, la loro essenza: «Non sono mai corsa dietro alle parole. Tutto ciò che ho cercato / È stata la loro ombra… […] E non hanno più ombra, / Le parole che hanno venduto la propria anima» (Caccia).
Alla qualità e all’autenticità d’espressione delle sue prime raccolte, nelle quali ha saputo recuperare e attualizzare la lezione della grande poesia romena interbellica, sono seguiti volumi di versi e di prosa fantastica che ne hanno ulteriormente definito la personalità creativa.
Quest’ultima più recente raccolta, intitolata non a caso L’orologio senza ore (2016), ci offre un’accorata riflessione sul senso della nostra vicenda umana, sul fluire inesorabile del tempo e sul tema ad esso intimamente connesso del trapasso dell’individuo in un aldilà sconosciuto e pure presentissimo alla nostra memoria – addolorata per la perdita della persona amata, a noi prossima quasi come un alter ego tutt’ora presente, a cui ci aveva legato e continua a legarci il vissuto di un’intera, compiuta esistenza terrena.
I suoi versi, proprio perché sembrano invitare a una lettura ingenua e sentimentale, ispirano una fiducia simpatetica: essi ci mostrano una Ana Blandiana immune dalle mode letterarie e insieme lontana da qualunque tentazione di assumere posture e toni declamatori. La sua dimensione artistica e il suo spessore umano diventano in tal modo la migliore testimonianza della sua statura morale» (Dalla postfazione di Bruno Mazzoni).



Da «L'orologio senza ore»


Tempi

Prima del perfetto c’è stato
il piuccheperfetto
e prima del
piuccheperfetto
un altro perfetto
senza inizio
ma vissuto a memoria.

Dopo il futuro verrà
il piucchefuturo
e, a seguire, minaccioso,
un altro futuro
che, per sgomento,
nessuno riesce a immaginare
come se non credesse
che ci possa essere.

Solo questo istante,
in cui cadiamo
erosi dai secondi,
esiste nello stesso tempo pressante
col piucchepresente,
nel cui centro si cela
l’abisso di un altro presente
ancora più attuale.




La nostalgia del paradiso

Il male, quale seme del mondo,
nascosto come in un frutto
nei giardini rinserrati
del paradiso,
continua ancora
a clonare come in trance
foreste sconfinate di alberi
del Bene e del Male
quasi che
non riuscisse a smettere
di sorprendersi
di tanti insulsi successi,
offrendo sfrontato,
suo malgrado, ad ogni raccolto,
un’altra occasione,
che in permanenza
reprime.




E così a seguire…

Non sogno che me stessa.
Benché sia più personaggi
che si fanno paura a vicenda,
io so di essere sempre io,
pronta in qualsiasi momento a sognare sé stessa.

E persino se mi sveglio
io so che non è altro che un sogno
sul risvegliarsi
e aspetto solo di sognare di addormentarmi
per poter sognare che sogno.

Che gioco meraviglioso giocare a essere me stessa!
Che gioco senza fine!
Poiché la fine
sarà anch’essa sognata sempre da me
e così a seguire…



Eretico

Eretico,
preferendo cioè alle verità
le loro ben più instabili
e vane sembianze umane,
senza riconoscere nemmeno agli dei
lode più grande
che una sorprendente
somiglianza
con noi –

così è sempre stato per me
il sospiro dell’aldilà:
sgomento d’immortalità
ben più che di morte.



Dagli specchi

Non sostituirmi,
non mettere al mio posto
un altro essere
che tu possa pensare
che sia sempre io
e non lasciare
che indossi le mie parole.
Abbi pietà di loro
se non hai pietà di me,
non costringermi a sparire
di fronte a un’estranea
che porta il mio nome
senza ritegno,
che almeno mi imiti
quasi come se
non mi avesse mai conosciuto.
Non provare a esigere
che sia io, pur cambiata,
non umiliarmi
cancellandomi dagli specchi,
lasciandomi solo in fotografia.



Malattia

Che sia solo una malattia infettiva?
Il tempo sia magari un virus
che passa di malato in malato
e lascia tracce profonde nella carne che sfiora?

Sarebbe possibile ritrarsi dal percorso dell’epidemia
così che il morbo non penetri nel tuo sangue?
Sarebbe possibile, dunque,
che ci sia ancora un modo
per non ammalarsi
della malattia eterna?

Anche se ci prendiamo cura delle persone care
colpite dal flagello
e anche se sappiamo
che l’immunità è più difficile da sopportare della malattia,
e che alla fine
si conclude allo stesso modo?



I miei cavalli

A un cenno le torme di cavalli assopite sui muri
affondano nella neve, gemono dagli zoccoli,
sullo sfondo del cielo, della notte, del nevischio, del mondo
i miei cavalli, verdi ombre allungate.

Ne accarezzo la lunga criniera, la groppa liscia e il garrese,
le mie carezze si fanno redini, le fisso,
oh, la mia rischiosa slitta nemmeno sfiora la neve,
miei versi declamo per spronarli.

La luna dice: Ma guarda tu, come vola via da sola
quella slitta, forse è sonnambula, potrei magari aiutarla,
la luna non vede i miei cavalli, la luna poverina non sa
che l’hanno superata da tanto.

Il vento dice: Ma guarda tu, come vola via da sola
quella slitta quasi che un vento la sospinga con forza,
il vento non vede i miei cavalli, il vento poverino non sa
che l’hanno superato da tanto.

Ombre verdi, i miei cavalli per tutta la notte galoppano,
all’improvviso ai primi albori ritornano sulle pareti
rimangono docili per tutto il giorno assopiti e buffi
sognando lunghe corse su lande innevate…



Lingue diverse

La sua solitudine ci ha generato,
la sua solitudine ha creato il mondo,
per poterci mettere al mondo
al suo fianco,
per avere con chi parlare.
Sapevamo che siamo stati inventati
ed esistiamo
per potergli rispondere,
ma non sapevamo
– e nemmeno Lui l’onnisciente
l’aveva previsto –
che parliamo lingue diverse.



Facebook

Frasi e gesti galoppanti,
immagini
in cui s’ingarbugliano zoccoli e criniere
in una morsa che può essere
una zuffa o un amplesso.
Conta solo il ritmo del delirio,
ansimante, cercando di tornarci su,
sospinto però
da altri messaggi
convulsi,
tanto più privi di senso
quanto più pressanti…



Coppi

Coppi – quale fragilità! –
attendono di spaccarsi
da anni, da decenni, da secoli,
mentre generazioni di gru
costruiscono con cura i loro nidi
dentro le crepe,
depongono le loro uova,
le uova si schiudono
i piccoli prendono il volo,
ma i coppi rimangono,
rimangono ancora
ad attendere in un brutto sogno
altre generazioni
di fulmini, di grandini,
di uccelli che transitano:
friabile tetto del mondo
che non spera altro
che ridiventare argilla.



L’orologio senza ore

Avevano tolto all’orologio le ore
così come è possibile cavare
gli occhi a un animale
perché non veda più.
Al posto delle 12 cifre
c’erano soltanto ora
12 buchi neri dell’universo
dai quali
era possibile intravvedere la grande
bolgia del meccanismo,
il bilanciere
continuando a far girare
le lancette
che tastano il quadrante all’impazzata,
da un buco all’altro,
senza sapere cosa indicano.

Senza sapere che indicano
un tempo chiamato Mai più.

Estratto da «L’orologio senza ore» di Ana Blandiana, Elliot edizioni
©2018 Lit Edizioni s.a.s. Per gentile concessione


A cura e traduzione di Bruno Mazzoni

(n. 6, giugno 2022, anno XII)