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«Remoti e vivi». Versi di Alessandro Franci
Pubblichiamo una selezione di poesie di Alessandro Franci, tratte dalla raccolta La fragilità dei pesi, edita dalla Società Editrice Fiorentina a dicembre 2020, con una prefazione di Caterina Verbaro. Il libro è finalista al premio «PontedilegnoPoesia 2021» e Menzione d'onore al premio di poesia e prosa «Lorenzo Montano 2021».
Nella poesia il cui titolo è lo stesso del libro, una capriata che sostiene il tetto ne infragilisce il peso, lo neutralizza. E poi il peso assume forme e visioni diverse: «la perdita di peso del mancato, del non speso nel tempo», di tutto ciò, quindi, che nel tempo non è stato, e proprio per questo, pur nel vuoto e nell’assenza, rende fragile un peso possibile che, così, è stato evitato. Un esame spesso visivo distribuito in un percorso immaginario e reale nello stesso tempo, all’interno e all’esterno della «fragilità dei pesi».
Souvenir
La gabbia, scrigno di lacere suture
e fibbie lucenti, le mensole di legno,
ancora le pastiglie Valda nella scatola
di latta, spezie friabili sparse ovunque
in luoghi di torpore e tortura;
una scoperta di rare ombre nel sole
di smeriglio che brilla sugli scaffali
in ferro, sul barattolo di pelati tra le viti
e una lampadina intatta.
Ci si allontana attenti a non scalfire
una quiete in equilibrio sui silenzi in un
poco che tormenta, che vive altrove
nascosto come preda designata.
Contrasti
In controluce come masso nero – opulenza
da monumento di piazze e di contrade –
la polo che indossa si gonfia
al ritmo del respiro, le ossa monito di
scheletri schierati per carni sollevate;
è sasso di lava piombato dai vulcani in
questo andarsene e venire con il flusso
lento, da controcorrente come salmoni,
risalendo le ragioni e i trascurabili fatti,
a seguire tappe di pietrificati istanti
sull’asse che collega
il primo dei passi all’orlo dei crepacci,
dei pozzi, delle tane da poco abbandonate.
Celebrazioni
Le voci tra sagome scolpite, nella storia rievocata,
ammaestratori di cani, prestigiatori,
ozio e impasto di ristoro, zuccheri, bastoncini colorati,
richiami ciclici di specchietti.
I passi di danza sui selciati e nelle corti, sui pavimenti
delle cantine di depositi preziosi, le strade sgombre,
la perdita di peso del mancato, del non speso nel tempo;
qui nel fuori dal mondo davanti al castello di tubi
nella piazza a forma di cuore spalancato,
chiuso ai lati da fiori rossi e dalle luci.
Remoti e vivi
La foto ritratta il tempo
trafigge l’istante e il suo destino, solo
la carta lo deteriora, il suicidio nei contorni
e nelle crepe rinsecchite;
attraversata la soglia il cielo torna
luminoso, carico del suo futuro,
l’osso bianco ritrova la sua carne,
l’aria sfiora l’acqua senza un confine,
su questo pendio lungo l’asse in equilibrio
per noi che siamo in questi anni remoti
e vivi, pietra di colonne pericolanti,
noi stessi codici miniati quasi illeggibili.
La fragilità dei pesi
Ha un colore di osso secolare, brunito,
di reliquia, la capriata che regge il tetto,
prediletta nei sogni, nelle sere di sciami,
di guano, che il fare del caso ripresenta;
eterno approdo delle ore, rifugio
di ombre disposte dai tramonti e
se l’ora ritarda solo di poco gli istanti
se la luce si sofferma ancora,
un lembo oscura, graffia i margini
rimasti tra puntone e staffa,
fruga la fragilità dei pesi, i punti di rottura,
al rintocco di campane dai sentieri
dimenticati, all’urto dei ferri e dei tiranti
e si rivela indubbia la sua forza nel sonno
improvvisato, poco più che il lenire
d’analgesico per l’insaziabile dolore.
Alessandro Franci
(n. 4, aprile 2022, anno XII) |
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