La signora Ceaușescu

«Eroica combattente del Partito per il glorioso destino della Romania», «Madre della Patria», «Fiaccola del Partito», «Grande esempio di devozione e passione rivoluzionaria». Queste sono solo alcune delle innumerevoli definizioni con cui il quotidiano «Scînteia» omaggiò Elena Ceaușescu in occasione del suo 63° compleanno. Una testimonianza dell'importanza che Elena rivestiva in Romania in quegli anni, ma soprattutto della sua necessità di essere continuamente riconosciuta, valorizzata e osannata.

Figlia di pastori, abbracciò la vita politica per fedeltà al marito, ma rimanendo inizialmente anonima e ininfluente all’interno del partito, che, a distanza di pochi anni invece la elogiò come donna ideale tanto per il partito stesso quanto per lo Stato. Poco importava l’essere quasi analfabeta, se la nomina del marito a Presidente del Consiglio di Stato le valse diversi riconoscimenti accademici, tra cui la laurea in chimica e l’elezione a presidente di uno dei più importanti istituti di ricerca in Romania. Riconoscimenti a cui seguirono tanti altri, fino al più importante, ovvero la nomina di vice Primo ministro nel 1980 che di fatto la rendeva la seconda persona più influente in Romania, subito dopo il marito. Tuttavia questo non bastò a placare la sua ambizione e la sua sete di potere. Elena voleva essere amata e apprezzata non solo nella sua nazione e dal suo popolo, ma anche e soprattutto all’estero, e questo la spinse a elemosinare lauree ad honorem nelle università degli Stati e delle città visitate e a pubblicare ricerche sottratte con la forza a illustri ricercatori romeni. La costruzione dell’immagine di donna politica forte e rispettata non poteva non passare anche per la corruzione e manipolazione dei mass media: Elena impose l’obbligo di pubblicare solo foto che ritraevano il marito accanto a lei e di scrivere il suo nome in linea con quello di Nicolae, quasi a volerne eguagliare il potere.

Donna ambiziosa, mai un passo dietro al marito ma sempre accanto perché dotata degli stessi diritti, spietata e determinata come pochi nel raggiungere i suoi obiettivi. Costantemente animata da un desiderio di rivalsa e di riscatto che fu in realtà una condanna per tutte le altre donne romene, che in un attimo divennero invisibili, anonime e insignificanti dinanzi alla virtuosa immagine di Elena. Le donne romene furono private di tutto, a cominciare dalla loro stessa identità di donna. Durante gli ultimi anni della dittatura comunista in Romania, l’8 Marzo, infatti, smise di essere la festa di tutte le donne, per diventare di fatto la festa di Elena Ceaușescu. Nessuna donna era in grado di raggiungere quel così tanto osannato equilibrio trovato da Elena tra l’essere una madre e una lavoratrice, tra il privato e il pubblico. Non si fatica a crederlo. Dietro le lusinghevoli e vuote parole sulla necessità e il bisogno di impiegare donne anche nel settore produttivo del paese, si celava infatti la vera concezione della donna: erano solo corpi da impiegare per la riproduzione. La nazione necessitava di una forza lavoro maggiore ed Elena non esitò un solo istante a suggerire e appoggiare il folle Decreto n.770/1966 che ruotava intorno all'idea secondo cui il feto era proprietà assoluta dello Stato. Le donne erano obbligate quindi a fare un minimo di 4 figli entro i 40 anni per non subire un aumento delle tasse, e mensilmente venivano prelevate dal posto di lavoro o dalle loro abitazioni per essere sottoposte a controlli ginecologici che escludessero l’uso dei contraccettivi, il ricorso a pratiche abortive o l’inizio di una gravidanza. In caso contrario le pene e le violenze erano indicibili: una mancata nascita in seguito a una gravidanza accertata comportava la reclusione della donna, costretta poi a puntare il dito contro colui che aveva praticato l’aborto, che a sua volta sarebbe stato recluso e torturato fino alla morte. Corpi alla mercé di idee politiche e di partito, privati di ogni diritto per essere sempre più deboli e inoffensivi affinché Elena fosse l’unica a primeggiare sul palcoscenico.

E mentre la first lady sfoggiava le sue preziosissime pellicce durante i lussuosissimi banchetti organizzati, le donne invisibili combattevano la fame, costrette a fare file interminabili per prendere del latte per i propri figli, accompagnarli a scuola e poi raggiungere la sede di lavoro. Costrette a patire il freddo, a riscaldare il letto dei propri figli con bottiglie di acqua calda o a lavarsi in bacinelle riempite con acqua bollita. Nessuna vergogna in questo, anzi. Questa è la dignità di chi sa che deve lottare al mondo per sopravvivere, per proteggere ciò che ha di più caro al mondo, anche a costo della propria vita. Questa è la dignità di chi ogni santissimo giorno lavora per un pezzo di pane, in silenzio, senza chiedere più del dovuto. Elena non cercò mai di fermare tutta questa violenza, psicologica e fisica, pur essendo una donna. Quasi volesse essere l’unica, irraggiungibile, impareggiabile. Una donna nemica delle donne, e, oserei dire, nemica addirittura di sé stessa. Mai un rimorso, mai un ripensamento.
Ed è proprio questa sua durezza d’animo, oltre che le sue idee e azioni, ad averla resa bersaglio facile dell’odio e del disprezzo da parte del suo popolo. Proprio lei, che per tutta la vita aveva cercato conferme e apprezzamenti dagli altri, si ritrovò alla fine a essere la meno amata e a essere giustiziata dal suo stesso popolo.




Valentina Elia
(n. 3, marzo 2021, anno XI)