«La scomparsa di Majorana»: gli interrogativi di Sciascia tra scienza ed etica

Nel 1975, anno in cui Sciascia partecipa direttamente alla vita politica all’insegna della fiducia – di breve durata – e dell’impegno, esce presso Einaudi un altro romanzo-inchiesta, in una circostanza precisa, cioè «dopo aver casualmente sentito un fisico parlare con soddisfazione, ed entusiasmo persino, della sua partecipazione alla costruzione delle bombe che avevano distrutto Hiroshima e Nagasaki. Per l’indignazione, dunque: e tra documenti e immaginazione – i documenti aiutando a rendere probante l’immaginazione – avevo fatto di Majorana il simbolo dell’uomo di scienza che rifiuta di immettersi in quella prospettiva di morte cui altri – con disinvoltura, a dir poco – si erano avviati».

È La scomparsa di Majorana. Ettore Majorana è stato un giovane e geniale fisico siciliano che negli anni ’30 aveva lavorato nel gruppo di ricercatori di Enrico Fermi, celebre – grazie a un noto film girato dopo la guerra – come «i ragazzi di via Panisperna», che studiavano la possibilità della fissione nucleare. Nominato, giovanissimo, professore di fisica presso l’università di Napoli, Majorana, appena compiuti i 32 anni, scompare misteriosamente il 26 marzo 1938 – cioè un po’ prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale conclusa con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Sebbene l’inchiesta sia seguita con interesse da Mussolini stesso e da Giovanni Gentile, filosofo ed ex-ministro della Pubblica Istruzione, la polizia chiude rapidamente le indagini con il verdetto di suicidio causato da una forte nevrosi. Un suicidio senza cadavere, senza prove, senza motivazione. Questa scomparsa era e rimane tuttora un mistero. Ed è il mistero che incita Sciascia ad avviare la propria inchiesta e a conferire un senso, «il» senso, a tale scomparsa.

Sciascia procede con l’acribia di sempre: riesce a raccogliere le lettere, le fotografie, le altre testimonianze della famiglia, i pochi documenti pubblici trovati negli archivi delle università, la biografia pubblicata dall’Accademia dei Lincei, le testimonianze dei conoscenti e gli scritti scientifici del fisico. Studia tutti questi documenti con l’intuizione e l’esperienza del detective, rintracciando i piccoli gesti e dettagli, il senso nascosto fra le righe, opponendo alla «storia scritta e limpida» che conosciamo o ci illudiamo di conoscere, i «fatti larvali», le «oscure epifanie». Inoltre cerca di mettersi nei panni del personaggio per capire come avrebbe agito se fosse stato in lui. Con una minuziosa ricostruzione della psicologia e del pensiero di Majorana, Sciascia arriva a elaborare un’ipotesi conturbante, che, fra l’altro ha innescato una polemica accesa con gli ex «ragazzi di via Panisperna».

Il giovane fisico era indubitabilmente un genio – lo sostengono le dichiarazioni di Fermi e degli altri scienziati, lo dimostra l’intitolazione a suo nome del Centro di cultura scientifica Ettore Majorana di Erice (conosciuto a livello internazionale come ILSEAT, ossia International Laboratory for Science Engineering and Advanced Technology, famosa organizzazione scientifica nata per studiare le emergenze planetarie, che comprende 123 Scuole post-universitarie in tutti i campi della ricerca scientifica moderna). La supposizione che Majorana avesse intuizioni che non guardavano solo ipotesi puntuali della scienza, ma anche un significato globale e perciò filosofico della realtà e della conoscenza umana – per Sciascia una certezza – era suffragata, per altro, anche dal fisico Erasmo Recami, che vedeva in Majorana quel tipo di scienziato «che sapeva scorgere nella natura l’entusiasmante perfezione e l’eccelsa bellezza e profondità delle sue leggi». Ma Sciascia aggiunge a questa certezza un suo intuito riguardante una caratteristica indimostrabile di un tale genio e ci costruisce sopra la propria interpretazione.
 
«Tra il gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” e lui, c’era una differenza profonda: che Fermi e “i ragazzi” cercavano, mentre lui semplicemente trovava. Per quelli la scienza era un fatto di volontà, per lui di natura. Quelli l’amavano, volevano raggiungerla e possederla; Majorana, forse senza amarla, “la portava”. Un segreto fuori di loro – da colpire, da aprire, da svelare – per Fermi e il suo gruppo. E per Majorana era un segreto dentro di sé, al centro del suo essere; un segreto la cui fuga sarebbe stata fuga dalla vita, fuga della vita. Nel genio precoce – quale appunto era Majorana – la vita ha come una invalicabile misura: di tempo, di opera. […] Oscuramente sente in ogni cosa che scopre, in ogni cosa che rivela, un avvicinarsi alla morte; e che “la” scoperta, compiuta rivelazione che la natura di un suo mistero gli assegna, sarà la morte».

Sciascia ne deriva due conclusioni: la prima, che a un certo momento per Majorana era diventato chiaro che, per evitare la morte, doveva sfuggire al suo destino di genio della scienza e, la seconda, che, in virtù di questa genialità sui generis, egli ha intuito quello che nessuno a quel tempo, nel 1938, poteva intuire, cioè la possibilità, anzi, l’inesorabilità della costruzione della bomba atomica. In altre parole, Majorana avrebbe anticipato non solo la direzione in cui si incamminò di lì a poco la scienza, una direzione funesta e apocalittica, ma anche la sua ineluttabilità: come a dire che, una volta innescato, il processo della conoscenza scientifica avesse un cammino proprio su cui gli uomini hanno scarso controllo. Partendo da queste premesse, Sciascia avanza l’ipotesi per cui Majorana non si sarebbe ucciso, ma, rifiutando di contribuire all’apocalisse che si prefigurava, sarebbe sfuggito alla scienza e alla propria morte ritirandosi, all’insaputa di tutti, in un monastero. Questa ipotesi, una volta formulata, è sostenuta da Sciascia attraverso numerose prove concrete che sono difficili da confutare e che non riportiamo qui. Del resto, anche lo scienziato Erasmo Recami era arrivato a una simile conclusione supponendo, però, che Majorana fosse fuggito in Argentina.

Altrove ho approfondito tanto la polemica con gli scienziati scatenata dal libro quanto gli affascinanti collegamenti mentali e le sottili corrispondenze coll’universo delle letture preferite di Majorana, quelle di Pirandello e di Shakespeare, che conducono Sciascia non solo all’ipotesi ma addirittura all’individuazione del monastero dove si sarebbe ritirato il grande fisico. Qui invece mi preme sottolineare che Sciascia non colloca la discussione sul piano epistemologico, ma su quello morale: quello che faceva affermare a Theodor Adorno che dopo Auschwitz non si potevano più scrivere poesie d’amore fa affermare a Sciascia che dopo Hiroshima non si poteva più fare ricerca scientifica moralmente e politicamente neutra. Il nocciolo del discorso era però un altro ed era proprio ciò che aveva irritato di più gli scienziati: immaginando che Majorana si fosse ritirato di sua spontanea volontà in un monastero, Sciascia supponeva che il corso della scienza verso la bomba di Hiroshima inesorabile non era e che gli scienziati, volendo, avrebbero avuto la possibilità di dirottare la propria ricerca scientifica. Qui, come in tutti gli scritti di Sciascia, scatta il meccanismo della responsabilità individuale. L’irritazione dei fisici veniva proprio dal riconoscimento tacito che i «ragazzi di via Panisperna» e Fermi stesso si erano tinti di una colpa che non poteva essere cancellata neppure dalla considerazione che alla fine, e non per ragioni esclusivamente etiche, erano passati dal campo dei «cattivi» a quello dei «buoni» (due etichette che la storia convalida solo con la vittoria militare). E all’accusa rivolta dagli scienziati a Sciascia di «non fare altro che letteratura». Ossia finzione, risponderei, per farla breve, solo che per Sciascia la verità non è un mero  rispecchiamento della realtà, ma è una ricostruzione di essa attraverso l’intelligenza e la morale, e perciò (come afferma in Nero su nero) «la più assoluta forma che la verità possa assumere» è la letteratura. È come dire che la «verità assoluta» della scomparsa di Majorana sta nella possibilità e nel dovere degli scienziati di eludere un orientamento della sicenza se malefico.


Smaranda Bratu Elian
(maggio 2017, anno VII)