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Esce la prima traduzione romena delle «Lettere» di Niccolò Machiavelli
La collana bilingue «Biblioteca Italiana» dell'editrice Humanitas di Bucarest sta per pubblicare la prima traduzione romena delle lettere di Niccolò Machiavelli, le celebri lettere che, ai suoi tempi, sarebbero state chiamate familiares. Non si tratta delle numerose relazioni e lettere scritte in qualità di Segretario della seconda Cancelleria della Repubblica Fiorentina o del Consiglio dei Dieci o delle varie missioni diplomatiche e militari (le altrettanto celebri Legazioni). Alcuni degli studiosi che, dedicandosi a questo personaggio eccezionale, hanno studiato, come è naturale, anche queste lettere private, le considerano il più bell’epistolario del Rinascimento. Non so se tale qualificativo sia rilevante, ma rilevante è sicuramente il fatto che questo epistolario offre tuttora un’immagine estremamente viva dei tempi del Segretario fiorentino e un ritratto complessivo dell’uomo Machiavelli.
Se tentassi una sistemazione di queste lettere, terrei conto, piuttosto che dei destinatari – parenti, amici, alcuni detentori di importanti funzioni pubbliche – o della cronologia, della tematica. Perché, secondo me, esse sono raggruppabili in tre grandi tematiche: l’analisi degli eventi politici in corso; problemi e fatti della vita quotidiana; interventi, tentati o suggeriti, presso terzi per aiutare certi conoscenti (oggi si chiamerebbero «raccomandazioni»). Tutte le lettere, quale che sia la tematica, condividono la stessa precisione e vivacità, la stessa attenzione per la realtà fattuale e, il più delle volte, un intreccio di registri stilistici che rivela, anch’esso, l’unità del suo pensiero.
Le analisi politiche, in genere suscitate dagli interlocutori, lasciano trapelare, oltre la stringenza logica, l’equidistanza e la concretezza dei trattati del Segretario fiorentino, che rendono la sua matematica politica simile a quella del gioco degli scacchi, anche alcuni temi forti della sua dottrina: il rapporto essenziale tra virtù e fortuna, tra la natura di ogni uomo e quella dei tempi in cui esso vive, la conflittualità quale dato primario e inevitabile della politica ecc. Ma soprattutto esse rivelano la drammatica situazione politica, italiana e internazionale, in cui nasce e matura il suo pensiero politico: la crisi del sistema politico italiano, particolarista, policentrico e militarmente impreparato, alle prese con i grandi e aggressivi stati centralizzati europei.
I problemi e i casi della vita quotidiana spaziano dagli affari di famiglia ai commenti a certi accaduti burleschi, propri o dei suoi amici, a confessioni e consigli sentimentali, a testimonianze sulle proprie occupazioni e sui propri scritti ecc. La caratteristica di questa tematica è l’accuratezza delle osservazioni, il distacco ironico e, forse paradossalmente, un inconsueto pudore: paradossalmente perché, mentre da un lato Machiavelli si compiace di raccontare scostumatezze che rasentano l’oscenità, da un altro lato è discreto e riservatissimo nei riguardi delle proprie sofferenze (l’episodio dell’incarcerazione e della tortura).
La terza categoria di lettere, in cui prega gli amici di intervenire a favore di altri amici o parenti oppure si impegna a mediare accordi matrimoniali, ha anch’essa alcune caratteristiche degne di attenzione: una sarebbe che Machiavelli simili «raccomandazioni» non le mette mai in moto per se stesso; un’altra, che, chiedendo o suggerendo un certo favore, Machiavelli non soltanto lo formula, bensì ne costruisce una strategia precisa che presenta all’interlocutore, una strategia che tiene conto delle condizioni concrete dell’azione ma anche della psicologia dei personaggi da coinvolgere. Ma forse ancora più interessante per noi oggi è constatare che il sistema delle raccomandazioni, delle relazioni personali e del cointeressamento materiale del mediatore sembra essere immortale, e meditare su quanto la visuale antropologica, piuttosto tetra, sulla quale il Segretario fiorentino costruiva la propria teoria politica, fosse legata all’esperienza diretta della vita, alla verità effettuale, di allora e di sempre.
La traduzione, oltre il piacere offerto dall’intelligenza, dalla precisione e ironia che caratterizzano la quasi totalità dei testi, mi ha creato anche non pochi grattacapi. Essi derivavano dalla distanza storica che ci separa dalla lingua del Cinquecento, dalla spiccata personalità del linguaggio dell’autore, dalla comprensione corretta dell’interpretazione che Machiavelli da ai fatti, politici o quotidiani che siano, in parte espressa tramite allusioni e riferimenti trasparenti solo al destinatario, dalle formule (sia latine che italiane) di apertura e chiusura delle lettere, estranee ai romeni, dalle denominazioni di alcune funzioni o istituzioni pubbliche difficilmente traducibili in un’altra lingua dopo tanti secoli. Parte di queste difficoltà sono state risolte solo nell’apparato critico, necessariamente ampio.
Offriamo al lettore italiano della nostra rivista un breve frammento della celebre lettera dei «ghiribizzi» politici, scritta fra il 13 e il 21 settembre 1506 a Giovan Battista Soderini, dove Machiavelli sfiora alcuni dei temi basilari della sua teoria politica (le parentesi quadre riproducono i commenti scritti dall’autore in margine al proprio testo). Questo frammento è presente in anteprima nell'edizione romena di questa rivista.
Smaranda Bratu Elian
Dalle «Lettere» di Niccolò Machiavelli
«...io vedo, non con lo spechio vostro, dove non si vede se non prudentia, ma per quello de’ più, che si habbi nelle cose a giudicare il fine come le son fatte, et non il mezzo come le si fanno. [Ciascuno secondo la sua fantasia si governa]. Et vedendo con vari governi conseguire una medesima cosa, come per vari cammini si perviene ad un medeximo luogo, et molti diversamente operando conseguire uno medesimo fine; et quello che mancava ad questa opinione, le actioni di questo pontefice et li effetti loro vi hanno adgiunto. [Non consigliar persona, né pigliar consiglio da persona, eccetto che un consiglio generale; che ognuno faccia quello che gli detta l’animo et con audacia]. Annibale et Scipione, oltre alla disciplina militare, che nell’uno et nell’altro excelleva equalmente, l’uno con la crudeltà, perfidia, irreligione mantenne i suoi exerciti uniti in Italia, et fecesi admirare da’ popoli, che, per seguirlo, si ribellavano da’ Romani; l’altro, con la pietà, fede et religione in Spagna, hebbe da quelli popoli el medeximo séguito; et l’uno et l’altro hebbe infinite vittorie. Ma, perché non si usa allegare i Romani, Lorenzo de’ Medici disarmò el popolo, per tenere Firenze; messer Giovanni Bentivogli per tener Bologna lo armò; i Vitelli in Castello et questo duca d’Urbino nello stato suo disfeciono le fortezze, per tenere quelli stati; il conte Francesco in Milano et molti altri le edificorno nelli stati loro, per assicurarsene. [Tentare la fortuna, che è amica dei giovani, et mutare secondo truovi. Ma non si può havere le fortezze et non le havere, essere crudele e pio.] Tito imperadore, quel dì che non beneficava uno, credeva perdere lo stato; qualcuno altro, lo crederrebbe perdere el dì che facesse piacere a qualcuno. A molti, ponderando et misurando ogni cosa, riescono i disegni suoi. [Come la fortuna si stracca, così si rovina. La famiglia, la città, ognuno ha la fortuna sua fondata sul modo del procedere suo, et ciascuna di loro si stracca, et quando la è stracca bisogna racquistarla con uno altro modo.]»
(dicembre 2016, anno VI)
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