Il dono di Domenico Caselli

Le grandi fiere del libro, come Gaudeamus di Bucarest (la più recente edizione 4-8 dicembre 2024), presentano, oltre al vantaggio di lanciare tutte le novità editoriali, anche quello di offrire a ciascuna casa editrice l’opportunità di esibire ciò che ha ancora in stock. È così che quest'anno, all'ultimo momento della fiera, quando gli editori stavano per smontare i propri stand, passando io davanti alla casa editrice Vremea mentre i libri cominciavano a scomparire negli scatoloni, un libricino ha attirato la mia attenzione. Mi sono precipitata a comprarlo prima che sparisse in un scatola. Mi ha colpito il nome dell'autore, un italiano di cui non avevo mai sentito parlare, e la cosa strana che l'italiano scriveva di un argomento specificatamente romeno. Arrivai a casa pensando di leggiucchiarlo ma ho scoperto subito che non potevo lasciarlo di mano. Per questo provo qui a farne una breve presentazione e a raccomandarlo ad altri profani come me. L'autore si chiama Domenico Caselli e il titolo (dato dai curatori) del libricino è Măcelărirea bucureștenilor pe vremea lui Chehaia Bei și alte minunate povestiri din Bucureștii de la începutul veacului al 19-lea (La strage dei bucarestini ai tempi di Chehaia Bei ed altre meravigliose storie della Bucarest dell'inizio del XIX secolo).  Pubblicato nel 2015 nella collana «Pianeta Bucarest» della casa editrice Vremea, il volume è stato curato da Silvia Colfescu - scrittrice, editrice e illustratrice, lei stessa innamorata della storia di Bucarest. La prefazione del libro - fondamentale per capire cosa avevo tra le mani – si deve a Dan Roșca, insigne ricercatore della storia della vita quotidiana a Bucarest, autore di ben dodici preziose monografie tematiche sulla nostra capitale, dunque illustre conoscitore della materia di cui si è occupato anche il nostro italiano. Le seguenti informazioni le devo a Dan Roșca, cui aggiungerò le mie impressioni personali su questo piccolo libro.
Innanzitutto chi era Domenico Caselli? Era un italiano, giornalista, pubblicista e scrittore, nato a Bucarest nel 1875, figlio di una delle non poche famiglie di immigrati italiani stabilitisi in Romania alla fine del XIX secolo, in maggioranza costruttori o operai nei vari rami dell’edilizia, i quali, attratti dallo slancio economico del nuovo Regno di Romania, si stabilirono nel nostro paese alcuni facendo gran carriera. Essendo la famiglia Caselli di condizioni economiche non agiate, Domenico fu costretto a lavorare fin dall’adolescenza presso la tipografia «Universul» dell'omonimo giornale fondato a Bucarest da un altro italiano, ben più famoso, Luigi Cazzavillan. Il nome di Cazzavillan, ex garibaldino, imprenditore di grande successo, filantropo, poi presidente della colonia  italiana di Romania, denomina ancora oggi - come tutti i bucarestini sanno - una via, una piazza e un palazzo nel centro della capitale. Caselli passò, ancora giovane, dalla tipografia al giornalismo, come segretario di redazione del famoso quotidiano. Dopo poco, ormai giornalista di professione, fondò nel 1895 un proprio giornale, il settimanale enciclopedico «Enciclopedia Populară» (Enciclopedia popolare), e poi, nel 1898, la rivista di letteratura, arte e scienza «Vieața noua» (La vita nuova) alla quale collaborarono scrittori che sarebbero divenuti famosi (come N.D. Cocea, Gala Galaction, Mihail Sadoveanu - Dan Roșca ci offre anche un gustoso ricordo di Sadoveanu a proposito di questa rivista); seguirono, negli ultimi anni dell’Ottocento, la rivista enciclopedica «Actualitatea» (L’attualità), di cui fu direttore, e il giornale politico «Independentul» (L’indipendente), di cui fu redattore, collaborando nel frattempo anche con altri periodici.
Il suo periodo più fruttuoso – ci dice Dan Roșca – iniziò dopo il 1900 quando Caselli si dedicò definitivamente alla storia, leggendo con avidità e acribia opere di storici romeni e stranieri, frugando nell'Archivio di Stato alla ricerca di documenti autentici, manoscritti o stampati. Il risultato fu un gran numero di opere che riportarono alla luce dettagli dimenticati del passato, spiegazioni di eventi o di scelte umane, storie di luoghi, di case o (in quanto buon conoscitore dell'arte bizantina) di chiese, nonché racconti del passato o di usanze dimenticate – soprattutto di Bucarest – che pubblicò in una lunga serie di studi, racconti storici e soprattutto articoli, alcuni dei quali costituiscono veri serial appassionanti. La precisione e l'onestà delle informazioni nonché l'intelligente commento delle proprie fonti hanno fatto sì che le decine di opere di carattere storico ed etnografico di Caselli (dedicate non solo a Bucarest ma anche alla Valacchia e ai suoi vicini balcanici) siano considerate una valida documentazione per storici illustri come Nicolae Iorga o Contantin C. Giurescu, oppure per insigni letterati e linguisti come Sextil Pușcariu e George Călinescu. Grazie a Dan Roșca sappiamo anche che Domenico Caselli, amico del pittore Ary Murnu, realizzava spesso le proprie illustrazioni per i suoi testi.   
Il libricino di cui sto parlando (scoperto da molti altri prima di me, ovviamente, e commentato dagli storici al momento della sua pubblicazione) comprende quarantun articoli dedicati alla storia, ai costumi e alla configurazione di Bucarest, pubblicati tra il 1936 e nel 1937 nella rubrica «Com’era una volta Bucarest» del settimanale «Gazzetta Municipale». Si trattava di un periodico che usciva la domenica e che uscì tra il 1932 e il 1947, essendo considerato il «cane da guardia» del municipio di Bucarest perché commentava tutte le decisioni del sindaco, ma presentava anche i principali avvenimenti recenti e dedicava molte pagine alla storia della città. Gli articoli di Caselli sono brevi, ricchi di informazioni e pieni del sapore della lingua dei tempi passati, ciascuno basato su fonti autentiche  e spesso intervallato da citazioni da quelle fonti. Una prima impressione personale è dovuta proprio al fascino speciale della lingua romena di Caselli, che si aggiunge a quella delle citazioni, ma anche al sottile tono umoristico con cui presenta il pittoresco di molti episodi del passato della città o le impressioni dei viaggiatori stranieri. A ciò aggiungo il continuo stupore nel riscoprire i luoghi della mia città in altre vesti, con la loro deliziosa toponomastica che traspare sorprendentemente nella nomenclatura delle vie odierne, troppo spesso opaca per molti di noi oggi. 
Cosa veniamo a sapere da questi articoli? Veniamo a sapere che nell'Ottocento ampie porzioni della capitale di oggi erano ancora ricoperte da vigneti, scopriamo come apparivano i vari quartieri un secolo fa, le case nobiliari con la loro vita, i monumenti, ma anche le viuzze di periferia; come appariva e come funzionava il primo teatro romeno, quello della principessa Ralu, figlia del principe Caragea, prima nel palazzo reale, dove venivano rappresentati Alfieri e Voltaire in greco, poi in un vero teatro dove, nel 1818, a soli cinque anni dalla sua composizione, l'Italiana in Algeri di Rossini veniva eseguita dalla compagnia melodrammatica portata da Vienna dalla principessa stessa, il cui repertorio era completato da altre opere di Rossini e di Mozart. Conosciamo i luoghi e i costumi di Bucarest così come venivano raffigurati alla fine del XVIII secolo da un pittore italiano presente alla corte del principe Alexandru Moruzi, o nel 1802 da un mercante inglese sensibile ai paesaggi romeni e ai meravigliosi giardini di Bucarest, oppure nei disegni del 1837 del pittore francese Raffet che accompagnava nella capitale il conte russo Anatol Demidoff. Apprendiamo, in un’appassionante serie a puntate, la storia vista da vicino della zavera, ossia la rivolta antiottomana del 1821 dei greci guidati da Alessandro Ipsilanti, dei suoi complicati rapporti con la rivoluzione romena di Tudor Vladimirescu, con il suo svolgimento e con i dettagli orrendi del loro soffocamento da parte dei capi ottomani. Ma per concludere ricorderei solo il grazioso elzeviro dedicato all'ultimo postiglione di Bucarest che distribuiva la posta con la vecchia carrozza delle poste, assicurando, malgrado le strade sfondate, la comunicazione veloce ed efficace delle notizie nei principati romeni: una storia commovente, dedicata a Ion Dincă, vissuto 127 anni (ci assicura Caselli, e noi gli crediamo), ma soprattutto alle poste e alle strade romene di un secolo e mezzo fa: un intervallo in cui al trono si sono succeduti né più né meno di ventotto governi - la cui enumerazione fa storia a sé.          
Chiudo ricordando che il presente articolo, che non è altro che l'espressione di un'entusiastica scoperta personale, spera di suscitare curiosità per questi deliziosi quadri d’epoca in altri lettori romeni, mentre, ai lettori italiani, rivelare, anche per questa via, i doni dimenticati che alcuni italiani del passato, amanti del nostro paese, hanno fatto alla nostra cultura, doni che andrebbero riconosciuti e rivalutati con gratitudine.



Smaranda Bratu Elian
(n. 1, gennaio 2025, anno XV)