Canto d’addio per Marco Santagata

Poco tempo fa, in settembre, la nostra rivista dedicava ai suoi lettori romeni un ampio materiale che presentava in anteprima la traduzione del volume Dante. Il romanzo della sua vita di Marco Santagata. A quel momento il coronavirus infuriava già in tutto il mondo e il nostro intento fu proprio quello di distogliere le menti da una preoccupazione che minacciava di diventare unica e soverchia e di restituirgli, grazie all’elevatezza spirituale di un libro, il pensiero purificatore ai grandi valori classici. Il male presente si sarebbe invece vendicato della nostra vanagloria di sfuggirlo e di rifugiarci nell’eternità: il 9 novembre Marco Santagata moriva all’ospedale di Pisa proprio a causa del Covid 19 che aveva attaccato il suo fisico già fragile.
Noto romanziere, vincitore di importanti premi letterari (fra cui il premio Campiello nel 2003 con Il maestro dei santi pallidi e il premio Stresa nel 2006 con L'amore in sé) e membro di prestigiose giurie letterarie, Marco Satagata era conosciuto in tutto il mondo come insigne specialista della poesia italiana delle origini. I suoi studi storici e critici in questo campo, nonché le biografie dedicate a Petrarca e a Dante, estremamente documentate e accurate, fanno ormai parte della bibliografia basilare sui padri fondatori della letteratura italiana. A questi interessi se ne sono aggiunti nel tempo molti altri, sulla poesia aragonese nella Napoli del Quattrocento, su Leopardi o su Pascoli, arrivando fino alla poesia dei nostri giorni. Tutte queste ricerche fanno di Marco Santagata uno dei massimi studiosi letterari italiani del nostro tempo. In più Santagata è stato fondatore e direttore di riviste e associazioni letterarie e si è impegnato, tramite interventi, articoli e mansioni, nella riforma dell’insegnamento italiano. Ma prima di tutto Santagata era un professore, un maestro: le sue lezioni di letteratura italiana all’Università di Pisa erano frequentatissime e sono rimaste nella mente e nell’anima di tante generazioni di studenti. Il rettore della sua università, Paolo Maria Mancarella, lo ha ricordato in questi termini: «Con Marco ci lascia un grande intellettuale e un amico generoso e di lui, oltre al grande sapere, ci mancheranno l'infinita curiosità, il desiderio di conoscere e la sottile ironia. È stato uno dei grandi maestri del nostro ateneo e il vuoto che lascia difficilmente sarà colmabile».
Quando a settembre presentavamo la sua biografia dantesca, Marco Santagata era già conosciuto ai lettori romeni: il suo romanzo Il copista era apparso in romeno nel 2008, presso la casa editrice Humanitas di Bucarest nell’eccellente traduzione di Doina Condrea Derer, romanzo che esamina con sensibilità e intelligenza la vecchiaia di Petrarca, mentre nel 2011; la stessa casa editrice ha pubblicato nella collana bilingue Biblioteca Italiana una nuova edizione del Canzoniere petrarchesco, arricchendola con la bella prefazione di Marco Santagata.
Percorrendo questi giorni, con cordoglio, i saluti e i ricordi dedicati dalle università e dai giornali al maestro, ci siamo imbattuti in un suo contributo molto particolare che vogliamo condividere qui con i nostri lettori. L’11 maggio 2005 Marco Santagata pronunciava nell’Aula Magna della IULM di Milano, in occasione del conferimento della laurea honoris causa in scienze della comunicazione, la laudatio a Vasco Rossi, il celebre cantautore rock. Come mai questo elogio da parte di un grande dotto a una rockstar, a uno definito per di più come «sballato, scapestrato, sbudellato, teppista, scoppiato ecc.», insomma a un artista maledetto?
Per capire questo mistero bisogna prima ricordare che quando la IULM decise di riconoscere con quella suprema onorificenza il valore culturale dell’arte di Vasco Rossi, l’antologia della poesia italiana novecentesca curata da Alberto Bertoni aveva già aggiunto a poeti come Montale, Bertolucci, Pasolini ecc. i testi di Fabrizio De André, Roberto Vecchioni, Francesco De Gregori, tutti facenti parte della grande famiglia dei cantautori, fra cui anche Vasco Rossi; e un critico e poeta come Guido Mazzoni aveva già sostenuto la tesi che la moderna canzone rock si appaia alla poesia moderna: al pari di questa lo studioso considerava che la verità abiti in esperienze asociali, in attimi isolati dove il senso della vita possa essere racchiuso in un momento di assoluta pienezza. Ma la partecipazione di Marco Santagata alla suaccennata cerimonia accademica ci è svelata anche da un soprannome di Vasco, uno diverso dagli altri, ossia «il rocker di Zocca». Zocca, piccolo comune del modenese, che ha dato i natali a Vasco, e cinque anni prima li aveva dati anche a Marco Santagata. Marco e Vasco erano perciò compaesani, da ragazzi battevano le stesse strade, frequentavano gli stessi negozi, gli stessi caffé. Proprio come in questi giorni avrebbe scritto Vasco su Instagram: «Lì ci si conosce tutti, ci si incontra in piazza il sabato e la domenica, stessa piazza stesso bar». Si conoscevano, eccome, e, in virtù del noto campanilismo italiano, si sentivano ed erano amici. Perciò nella laudatio a Vasco Rossi Santagata mette non solo tutta la sua raffinatezza di critico letterario ma anche la sensibilità e l’affetto di un amico.
La domanda fondamentale da cui parte Santagata, il critico, nella caratterizzazione della creazione di Vasco Rossi è questa: «Stiamo per laureare un esponente dello star-system mediatico o un artista?» E dopo averci svelato le valenze dello star-system mediatico (perché, non dimentichiamo, si trattava di un dottorato honoris causa in scienze della comunicazione), ossia il carattere plurigenerazionale della sua arte, il carisma del personaggio, le migliaia di fans e l’enorme successo dei suoi concerti quando «nel parterre degli stadi si accalcano gomito a gomito manager aziendali, commesse dei magazzini, studenti, idraulici, professori, avvocati, operai, intellettuali», Santagata arriva al sodo: che cosa rende Vasco Rossi un classico, se per classico intendiamo un testo nel quale ciascuno può ritrovare qualcosa di sé? E così veniamo a sapere che nei suoi testi Vasco comunica solo se stesso, lui canta per sé e di sé, «di sé adesso, oggi, e in tutta la successione di oggi che è stata la sua vita» e lo fa con «un timbro inconfondibile di vissuto». Le canzoni di Vasco, considera Santagata, non sollecitano, come le altre, il coinvolgimento emotivo dell’ascoltatore e il suo assenso razionale, ma provocano un «effetto di rispecchiamento». Il loro ascoltatore si rispecchia in esse perché riconosce nelle esperienze di cui Vasco parla le sue stesse esperienze. «Le sue canzoni vissute vogliono un ascoltatore che le riviva».
Partendo proprio da questa caratterizzazione e dall’affetto reciproco che legava i due compaesani di Zocca, crediamo che più dei fiori mandati al funerale, più delle parole dedicate al professore su Instagram, è una canzone di Vasco che rispecchia meglio lo smarrimento nostro di fronte alla scomparsa di Marco Santagata. Eccola:

«Voglio trovare un senso a questa sera
anche se questa sera un senso non ce l'ha

voglio trovare un senso a questa vita
anche se questa vita un senso non ce l'ha

voglio trovare un senso a questa storia
anche se questa storia un senso non ce l'ha

voglio trovare un senso a questa voglia
anche se questa voglia un senso non ce l'ha

Sai che cosa penso
che se non ha un senso
domani arriverà
domani arriverà lo stesso
Senti che bel vento
non basta mai il tempo
domani è un altro giorno, arriverà

voglio trovare un senso a questa situazione
anche se questa situazione un senso non ce l'ha

voglio trovare un senso a questa condizione
anche se questa condizione un senso non ce l'ha

Sai che cosa penso
che se non ha un senso
domani arriverà
domani arriverà lo stesso…

Senti che bel vento
non basta mai il tempo
domani è un altro giorno arriverà
domani è un altro giorno, ormai è qua...»

  (da Vasco Rossi, Un senso)





Marco Santagata e Vasco Rossi




Smaranda Bratu Elian
(n. 12, dicembre 2020, anno X)