Sandro Veronesi vince per la seconda volta lo Strega

Il 2 luglio a.c., alle 11 di notte, mezzanotte in Romania, inizia su RAI 3 l’attesa (anche da me) cerimonia del conferimento del massimo premio letterario italiano, lo Strega, edizione 2020: il secondo scrutinio con la votazione online trascritta sul tabellone dei finalisti. Ma subito si rivela che l’edizione 2020 è speciale. E ciò per almeno due ragioni: la prima è che invece della famosa cinquina dei finalisti, quest’anno sono in gara sei libri – dato che, secondo il regolamento, fra i finalisti deve necessariamente figurare anche una casa editrice piccola o media (per ostacolare in questo modo il predominio dei grandi gruppi editoriali). Il gruppo dei sei è formato da quattro scrittori decisamente affermati: Sandro Veronesi con il romanzo Il colibrì (La nave di Teseo), Gianrico Carofiglio con La misura del tempo (Einaudi), Valeria Parrella con Almarina (Einaudi) e Daniele MencarelliTutto chiede salvezza (Mondadori) – che pochi giorni prima aveva vinto lo Strega-Giovani; gli altri due sono invece esordienti, ma quanto mai diversi l’uno dall’altro: Gian Arturo Ferrari, ex professore universitario, ex editore presso case editrici italiane di primo piano, ex direttore generale del gruppo Libri Mondadori nonché editorialista del «Corriere della Sera» che, per anni, ha lanciato scrittori, e ora è presente con il suo primo romanzo, Ragazzo italiano (Feltrinelli); l’altro, il sesto, Jonathan Bazzi, giovanissimo, cresciuto nell’estrema periferia milanese fra aggressioni, complessi e traumi, è presente con Febbre (Fandango Libri), il suo romanzo autobiografico che l’ha aiutato ad accettarsi e a redimersi. La seconda ragione per cui è speciale quest’ultima edizione viene dal fatto che il covid ha modificato gran parte dei rituali del concorso, trasportando tutto il trasportabile online, e cambiando molto la cerimonia di premiazione: collocata nella stessa scenografia di Villa Giulia, gioiello romano del Rinascimento, ma non nell’ampio cortile, tradizionalmente affollato, rumoroso, movimentato e illuminato a giorno, ma in fondo al cortile, sul balcone del ninfeo, fra scenografici fasci di luce che accentuano il buio circostante, e con poche persone (non più di tre alla volta) che, per  evitare la mascherina, stanno a distanza di due metri l’una dall’altra. E poi il silenzio disumano che avvolge le poche allocuzioni. Eppure il rituale è rispettato: sul noto tabellone si scrivono man mano i voti; e la vittoria, netta, è annunciata urbi et orbi sullo schermo televisivo: Sandro Veronesi con Il colibrì. Ma è in tale momento che salta fuori una terza ragione per cui questa edizione è speciale: Sandro Veronesi vince oggi lo Strega per la seconda volta, dopo che, nel 2006, l’aveva vinto con Caos calmo (Bompiani) – situazione che si era registrata una sola volta, e non di recente, con due romanzi di Paolo Volponi. La cerimonia finisce, fra gli sparuti applausi dei pochi presenti, con la tradizionale bottiglia di Strega aperta e tracannata dal vincitore.

Lascio da parte il velo di tristezza che il covid ha steso sull’evento, spegnendone l’allegria e la festosità, per accennare brevemente al romanzo premiato, che ho la fortuna di avere in mano. È la storia di un personaggio, intrecciata a quella dell’Italia recente – di un uomo qualsiasi colpito dagli imprevisti della vita: la cattiveria di alcuni, l’incomprensione di altri, lutti dei cari, un divorzio inaspettato e un amore platonico che lo nutre di purezza e di innocenza. Il riferimento al colibrì, da cui proviene il titolo del romanzo, nasce da un fatto reale: nell’infanzia il protagonista era più basso di statura dei suoi coetanei così che, da bambino, sua madre lo soprannominava colibrì; ma alla fine questa metafora riassume tutto il percorso esistenziale del personaggio perché ha la forza di restare fermo e di resistere ai colpi di fortuna, come il colibrì, che sta fermo contro i venti, con un enorme consumo di energia: un esempio perfetto di resilienza psicologica, tema che appassiona oggi i ricercatori di tanti campi dello scibile. Ma questo tema, sostanzialmente positivo e incoraggiante, è reso da Veronesi tramite un continuo gioco di tecniche e di registri stilistici: un gioco sorprendente, a volte accattivante a volte spiazzante ed eccessivo. I capitoli, in genere brevissimi (tecnica recente, e ormai logora, per adescare il lettore), alternano dialoghi vivaci e quasi teatrali, con lettere, elenchi di vari oggetti, ricordi del passato, messaggini sms e continui salti temporali, e tutto ciò rende la lettura volutamente frammentaria e discontinua – un gioco che attrae e diverte ma che verso la fine, ormai sentito come manieristico, può anche annoiare. Però più eloquenti delle mie considerazioni mi sembrano le reazioni dei lettori italiani: infatti, il libro, già da parecchi mesi presente nelle librerie, è stato già recensito e, da quando si è candidato allo Strega, abbondantemente commentato in rete. Più riassuntive e neutre le recensioni dei professionisti; più radicali e appassionati i commenti dei lettori: chi esprime un’ammirazione totale («Libro intenso, forte, drammatico, travolgente. In ogni pagina Veronesi riesce a farti innamorare. Immenso».), chi ne esce frustrato («È un romanzo strano. Non si può dire che sia un brutto libro, però la vicenda si dipana senza mai decollare, senza coinvolgere emotivamente, mantenendosi in una sorta di attesa nel racconto di una vita spesa per gli altri, senza mai raggiungere un finale, un traguardo.»),  chi invece lo stronca irrimediabilmente («Questo è un libro che vuole dare l'impressione al lettore che tutte le banalità che racconta siano scaturite da profonde riflessioni e invece tutto è superficiale, scontato e riciclato; un libro nato per concorrere e vincere lo Strega (e forse ci riuscirà anche) spacciandosi per opera d'arte.»).

Ho voluto fare questi esempi perché essi dimostrano, secondo il mio parere – al di là della capacità di tanti lettori di valutare, in modo personale e indipendente un libro, che è già un gran bene, dell’interesse del pubblico e dell’incentivazione alla lettura destati dalle candidature allo Strega –, il vero potere e il vero valore del premio. Cosa sintomatica però, nell’intervista rilasciata il 3 luglio a Emilia Costantini del «Corriere della Sera», Sandro Veronesi non sembra cogliere la bellezza e l’utilità di questo effetto. Invece riconosce, alquanto cinicamente, il suo interesse per il meccanismo del mercato e si aggancia solo al valore commerciale del premio, guardando con disincanto (e forse in coscienza) persino il proprio operato. Ecco la sua dichiarazione: «Il libro è uscito a ottobre, e un libro per quanto vada bene, non è che può durare nell’attenzione del pubblico dei lettori e in quella mediatica tanti mesi. Allora l’editore e io abbiamo pensato che ritentare lo Strega era un modo per dare più lunga vita al romanzo, facendolo arrivare fino a luglio». Come a dire che lo Strega assicura un successo breve, ma non è una garanzia del valore del libro. Infatti, valutata annualmente, la produzione narrativa nazionale raramente può sfornare capolavori. E non è detto che quei capolavori siano poi azzeccati dallo Strega. 




Veronesi con il trofeo



I finalisti
Gianrico Carofiglio, Gian Arturo Ferrari, Daniele Mencarelli, Valeria Parrella, Jonathan Bazzi e Sandro Veronesi
(da sinistra a destra)




L’atmosfera tipica delle precedenti 73 premiazioni

(foto dal sito www.premiostrega.it)



Smaranda Bratu Elian
(n. 7-8, luglio-agosto 2020, anno X)