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L’eternità raggiunta dal papà di Montalbano
Poco tempo prima che Andrea Camilleri ci lasciasse (il 17 luglio 2019), lui, regista, sceneggiatore, drammaturgo, scrittore prolifico e raccontatore instancabile, conosciutissimo e amatissimo in Italia e nel mondo, ha voluto lasciare di sé un ricordo unitario, una sintesi vivente di sé presentata da lui stesso: il monologo Conversazione con Tiresia, scritto e interpretato da lui nel memorabile spettacolo del giugno 2018 nel teatro greco di Siracusa, di fronte a diecimila spettatori; lui vecchio (di 92 anni, allora) come il mitico Tiresia, cieco ormai come lui, in un’ora e mezzo, da solo, sul palcoscenico di cui si era servito Eschilo, ha percorso il lungo viaggio di Tiresia attraverso i secoli della letteratura del mondo, da Omero a Ezra Pound, da Dante a Pasolini, mescolandoci la propria esperienza di artista e di scrittore, la propria vita di uomo. Uno spettacolo commovente e indimenticabile, che per fortuna possiamo vedere in un filmato. Il 15 luglio, dunque due giorni prima della morte, il grande vecchio, stava per offrire al pubblico un secondo spettacolo simile al primo, un’altra grandiosa sintesi di cultura e di vita, l’Autodifesa di Caino, alle terme di Caracalla, a Roma. Forse la divinità non ha apprezzato questa sua scelta.
Eppure, a dispetto di questa nuova e ultima ipostasi artistica e creativa del vecchio patriarca, le riviste e i giornali gli hanno rivolto l’ultimo commosso saluto nominandolo «il papà di Montalbano». Lo facciamo anche noi qui, per solidarietà di mestiere ma anche perché, a detta di Camilleri stesso, Montalbano è stato quello che gli ha assicurato il successo mondiale, trascinandosi dietro il resto dell’ingente sua opera letteraria. Ingente sì: 100 titoli fra romanzi polizieschi, romanzi storici, racconti fantastici, racconti per bambini, opere scritte a quattro mani con altri scrittori o giornalisti, saggi, cronache ecc. e tutto questo in meno di 30 anni. Perché Camilleri comincia a dedicarsi veramente alla letteratura soltanto a partire dal 1992 (ossia a 67 anni, quando in genere ci si mette a riposo), anno in cui comincia la sua lunga e splendida collaborazione con quella donna meravigliosa che è stata Elvira Sellerio e con l’omonima casa editrice palermitana. E prima? Prima sono stati quasi settant’anni di lavoro ininterrotto ed entusiastico: da quando quasi adolescente girovagava per la Sicilia sconvolta dalla guerra e scriveva novelle e poesie, alcune raccolte in un’antologia curata da Ungaretti; poi fa il regista da dilettante e, dopo la laurea presso l’Accademia nazionale d’arte drammatica, da professionista, mette in scena nei teatri di Roma più di cento opere, fra cui quelle di Strindberg, Adamov, Ionesco, Beckett, Majakovskj, T.S. Eliot e soprattutto di Pirandello; nel frattempo svolge anche una lunga carriera come docente di regia presso la stessa accademia e presso il Centro sperimentale di cinematografia di Roma; e dal 1957 in poi, parallelamente all’attività teatrale, collabora intensamente con la televisione: qui lavora con Eduardo De Filippo portando le sue commedie sul piccolo schermo – impresa che merita la gratitudine di tutti noi, superstiti, dopo la scomparsa del grande napoletano – e, in quanto delegato alla produzione, cura parecchie serie televisive, fra cui i gialli del tenente Sheridan o Le inchieste del commissario Maigret tratte dai romanzi di Georges Simenon. Quando decide di dedicarsi alla letteratura aveva, dunque, alle spalle una formidabile esperienza teatrale e cinematografica: possedeva la sapienza del dialogo vivace e autentico, la finezza di costruire i personaggi legandoli intimamente al contesto e all’ambiente, la tecnica del montaggio e della suspense ecc.
Secondo la propria versione, la sua carriera di narratore è cominciata al capezzale del padre malato, in ospedale, quando, volendo assisterlo e alleggerirgli la sofferenza, gli raccontava storie così come gli venivano, mescolando realtà e finzione, lingua e dialetto. E una gli era venuta così bene che il padre gli fece promettere che l’avrebbe scritta. Ma scriverla come, domandò il figlio; scriverla esattamente come l’hai raccontata, disse il padre. E il figlio promise, e fu una promessa in punto di morte, dunque da rispettare. Forse non dobbiamo credere del tutto a Camilleri quando racconta la propria vita – lo faceva volentieri, in lunghe e succose interviste – ma fatto sta che quando decide di diventare scrittore, fa proprio ciò che aveva promesso: mescola vita e finzione, lingua e dialetto. E bisogna dirlo subito: il fascino dei romanzi di Camilleri sta in gran parte nella lingua, specie nella famosa serie del commissario Montalbano. Il primo romanzo della serie è stato pubblicato dalla Sellerio nel 1994 e fu subito un successo; e così seguirono poi gli altri, su per giù uno all’anno (ma parallelamente ad altri numerosi scritti di vari altri generi) e, contando anche quelli di prossima pubblicazione, una trentina. Ma il successo dei libri si è decuplicato a partire dal 1999 grazie alla serie televisiva tratta da questi romanzi, avendo per protagonista l’attore Luca Zingaretti, affiancato da quell’élite di attori che costituiscono l’équipe e le persone vicine al protagonista e che incarnano personaggi diventati amici di famiglia di tutti gli italiani. E per dimostrare tale successo bastano poche cifre: trenta milioni di copie vendute solo in Italia, la traduzione in più di cento lingue, e più di un miliardo di telespettatori di tutto il mondo.
La serie Montalbano è arrivata, naturalmente, anche in Romania. E qui vorrei rivolgere un ringraziamento alla casa editrice Nemira di Bucarest che ha avuto l’intuito, l’intelligenza e il coraggio di offrire al pubblico romeno un’eccellente selezione dei romanzi della serie Montalbano, e alla televisione romena (canale TVR2) di aver trasmesso la maggior parte dei suoi sceneggiati in lingua originale con sottotitoli in romeno. Perché intelligenza e coraggio? Perché una delle caratteristiche, dei pregi ma anche delle difficoltà dell’opera di Camilleri consiste nel suo linguaggio assolutamente personale e inconfondibile: un italiano misto di dialetto, ma un dialetto che è a sua volta un misto di varie parlate siciliane, un impasto tutto suo, che richiede fiuto linguistico e pazienza, e che nel lettore desta, all’inizio, perplessità e poi una grande simpatia e complicità, e al traduttore è richiesto uno sforzo non indifferente di comprensione e di inventiva. E bisogna riconoscere che questi sforzi, nel caso del traduttore romeno, Emanuel Botezatu, hanno avuto esiti eccellenti: perché ha saputo rendere le due caratteristiche imperdibili del linguaggio di Camilleri, la naturalezza dell’oralità dei dialoghi e la caratterizzazione linguistica di ciascuno dei suoi indimenticabili personaggi.
Il vecchio patriarca, che a noi sembrava eterno, e che lui eterno invece non si sentiva – come confessava il suo Tiresia – aveva una grande curiosità di quella eternità che si avvicinava. Come l’avrà trovata lui, non sappiamo, ma per noi l’ha rintracciata nel cimitero acattolico di Roma, dove la sua tomba sta fra molti grandi della letteratura e dell’arte di tutto il mondo.
Smaranda Bratu Elian
(n. 9, settembre 2019, anno IX)
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