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Con Sandrone Dazieri il giallo italiano va in scena a «Gaudeamus 2017» di Bucarest
Svoltasi tra il 22 e il 26 novembre scorso nel corpo centrale del complesso Romexpo, la Fiera del Libro Gaudeamus 2017 ha conosciuto anche questa volta la partecipazione di un numero impressionante di editori con offerte altrettanto impressionanti, nel corso di eventi che si susseguivano ogni quarto d’ora e un’affluenza di pubblico che nel weekend diventava una massa quasi compatta e impossibile da attraversare.
Delle numerose manifestazioni cui ho assistito desidero occuparmi qui di un evento preciso che ha portato in primo piano non solo uno scrittore italiano ma anche un genere letterario e un editore non comuni. Il genere è quello del giallo, più esattamente del giallo italiano, cui mi ero affezionata grazie alla mia lunga frequentazione dell’opera di Leonardo Sciascia. La casa editrice – giovane, in quanto costituita solo nel 2014 – è la Crime Scene Press, l’unica in Romania dedicata esclusivamente a questo genere – con cui ho ugualmente un rapporto personale grazie alla famiglia Arion che l’ha creata e che in gran parte le da vita: George Arion senior, mio ex-compagno di liceo, divenuto nel frattempo un noto scrittore e il più illustre della Romania nel campo del suspense, fondatore e direttore della casa editrice, e George Arion Junior, giovanissimo italianista, mio fedele collaboratore alle Serate Italiane organizzate quasi mensilmente in Bucarest, alle librerie Humanitas. Ma al di là dell’affetto per queste due persone, il mio apprezzamento proviene anche della qualità della scrittura e della sostanziosità della problematica dei romanzi di George Arion senior e il suo alto concetto di questo genere letterario, troppo spesso visto solo come letteratura di consumo.
Allo stand Crime Scene Press di quest’anno, allusivo con la sua penombra, le dominanti di nero e rosso e le comode potrone che sembravano invitare i presenti alla riunione in cui Hercule Poirot svelerà il suo ragionamento, ho partecipato, in presenza dell’autore, alla presentazione del secondo triller dell’italiano Sandrone Dazieri pubblicato in romeno dalla stessa casa editrice, L’Angelo. Nel 2016 la stessa casa editrice aveva pubblicato in romeno il suo romanzo Uccidi il Padre che in un certo senso fa da introduzione a questo secondo. Si deve dire dall’inizio che Dazieri non è una scoperta di questa casa editrice – che, fra l’altro, ha dimostrato anche di saper lanciare nuovi autori. No. Entrambi questi libri sono già stati tradotti in molte lingue dove sono subito diventati dei bestseller.
Prima di parlare del libro lanciato a questa edizione della fiera, è bene presentare un po’ il suo autore perché è un personaggio a parte: tanto come presenza (è barbuto, panciuto, con una camicia fancy e bretelle, con molti anelli sulle dita tozze, cordiale e – vengo a sapere da quanto presentato in copertina – sposato, vegetariano e pacifista) quanto come esperienza di vita, perché – sempre dalla copertina – sappiamo che, contemporaneamente all’ininterrotta lettura di gialli, ha fatto il cuoco, lo studente in scienze politiche tanto povero da vivere quasi come un homeless, l’attivista per l’ambiente, per il diritto all’alloggio e per i centri sociali, una volta arrestato, poi il facchino, il correttore di bozze, il pubblicista, e, dopo la pubblicazione del suo primo romanzo, Attenti al Gorilla, il direttore della collana Gialli Mondadori e poi di tutta la sezione tascabili; ma siccome nel frattempo scrive romanzi e racconti sempre più apprezzati, nel 2006 decide di dedicarsi principalmente allo scrivere, senza però smettere di collaborare con la Mondadori, con Fabbri Editori, e di scrivere copioni per vari serial TV. Però il successo internazionale gli è venuto con questi due romanzi pubblicati anche dalla Crime Scene Press.
Il romanzo L’Angelo si svolge nei nostri giorni ed è, come dovuto, la storia di una serie di delitti e delle loro complicate e ingegnose inchieste che in parte riescono a farci luce. Si tratta di crimini odiosi e di massa, che accadono in varie parti del mondo, commessi uno dopo l’altro da un personaggio misterioso che si crede e agisce come un Angelo della morte, in realtà una donna che così vendica la propria orrenda infanzia passata in una prigione-bunker in Ucraina e, più tardi, l’uccisione della sua serafica compagna musicista. Ma siccome per far confondere le tracce, l’assassina circonda il cadavere della vittima presa di mira con un’ecatombe di innocenti, si sospetta che si tratti delle organizzazioni terroristiche contemporanee, motivo per cui l’inchiesta coinvolge le alte istituzioni dello stato e, iniziata in Italia, diventa man mano di portata internazionale. Nei limiti del suo genere, il romanzo dimostra alcune qualità importanti, come quella di leggerlo tutto d’un fiato; seguono poi la complessità e la finezza psicologica nella costruzione dei due investigatori protagonisti, gli stessi del romanzo precedente che suggeriscono anche un probabile seguito: Colomba Caselli, una poliziotta afflitta da depressioni e incubi, ma dedicata alla verità e all’ostruzione del male fino a sacrificare la propria salute e persino la vita; e il suo partner, Dante Torre, ex-poliziotto, oppresso da terribili ricordi d’infanzia, un genio dell’investigare, che intreccia una formidabile intuizione con i più moderni mezzi informatici, con la capacità di ricorrere alla persona giusta nel momento giusto, con la velocità di prendere decisioni e con una raffinata ermeneutica dei gesti dell’assassina. Date e Colomba sono legati da una non incrinata fiducia nella competenza e integrità dell’altro e da una profonda affezione che nessuno dei due riconosce fino in fondo. Questi due personaggi, secondo me, sono il motivo e la garanzia del successo del libro. Ma ad essi si aggiungono le qualità di narratore di Dazieri, la precisione e suggestività delle descrizioni, la cordiale fluenza della frase, la vivacità e autenticità dei dialoghi, l’inventività dell’intreccio e soprattutto una certa ironia con cui l’autore guarda le proprie invenzioni.
Secondo me le qualità del romanzo si fermano però qui. Perché, altrimenti, Dazieri fa uso di molti dei clichés dei romanzi o film (soprattutto dei film) gialli recenti e non proprio apprezzabili: dei metodi rischiosi e non permessi dei principali investigatori, della relazione tesa con le istituzioni cui appartengono, del piacere morboso di descrivere la violenza e lo spettacolo delle stragi, del riferimento a troppe situazioni politiche nazionali o internazionali di sicuro interesse in questo momento, dei molti qui pro quo e personaggi a doppia faccia, della conclusione ambigua (anche se autoironica) che agevola la continuazione del serial. A tutto questo potrei aggiungere, per cattiveria, l’inverosimiglianza di alcune situazioni, massime quelle in cui agisce il personaggio malefico, l’inutile alternanza cronologica fra passato e presente che rimane al livello di mero artifizio letterario, le coordinate storiche pretestuose e così svuotate di senso e di credibilità. Tali difetti diventano ancora più visibili se comparati con le soluzioni di gran classe offerte da altri autori italiani del genere. E qui farei una piccola parentesi per elogiare il patrimonio italiano nel campo del giallo: che sin dall’Ottocento si è sincronizzato con le principali tendenze europee, che ha dato una produzione initerrotta in tale genere, ha sperimentato tutte le sue ramificazioni, ha conquistato alcuni grandi scrittori del Novecento (ricorderei solo Buzzati, Sciascia, Gadda, Eco, Bufalino, Camilleri), ha sviluppato il giallo storico con successi incontrovertibili, ha creato grandi prototipi e investigatori, e che, pregio importantissimo, ha trasformato l’inchiesta in una precisa radiografia di un certo periodo o un certo luogo o di una certa società. Per il momento Dazieri ha dato prova delle sue qualità di scrittore attraente, ma – se fa attenzione non solo ai grandi scrittori italiani del genere ma anche ad alcuni gialli dei romeni George Arion senior oppure Stelian Turlea – fa ancora in tempo a diventare uno di valore.
Ma se il romanzo mi ha sedotta senza piacermi del tutto, il vero piacere me l’ha dato la traduzione. Contrariamente a quello che credono i più, la traduzione di un tale libro non è affatto semplice: essa richiede precisione nei dettagli, scorrevolezza nel racconto, vivacità e autenticità nei dialoghi. Io non so se ce l’avrei fatta così bene come il traduttore di cui parlo, con mia sorpresa George Arion Junior, nostro ex-studente. Perciò posso concludere affermando che questo Gaudeamus ha offerto a noi, che amiamo l’Italia, due speranze inaspettate: il contatto con uno scrittore italiano che promette bene e la scoperta di un traduttore già compiuto, frutto della scuola bucarestina di italianistica.
Smaranda Bratu Elian
(gennaio 2018, anno VIII)
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