Cosa chiedereste di più a una poesia?

Cosa chiedereste di più a una poesia? E a un poeta? Ripercorrere i luoghi, i valori, i battiti, i segreti gentili del cuore, come un antico poeta medievale? Viaggiare sulle tracce evanescenti dei ricordi, delle ungarettiane, moribonde dolcezze degli autunni? Scendere dentro sé stessi sul filo incerto della più struggente nostalgia? Un sogno e un sospiro, direbbe De Sanctis, la luce della malinconia del tempo... «Allorché svolgo una psicoanalisi, io miro a: stare vivo; stare bene; stare sveglio. Miro a essere me stesso e a comportarmi di conseguenza» (Winnicott, Sviluppo affettivo e ambiente). Lo potrebbe dire un poeta? «Wo Es war, soll Ich werden», diceva Reich capovolgendo Freud, «Dove c’era l’Io, ci sarà l’Es»: liberare il buio del ‘mondo interno’ moreniano, il ‘lato oscuro’ dell’essere per portarlo alla luce della reminiscenza platonica, dell’εἶδος che si fa parola unica e assoluta. È l’Ash Wednesday eliotiano (III, 1-6), della furibonda lotta col demonio lungo la scalinata che porta giù nel profondo dell’anima, dell’inferno e del paradiso che coabitano nel Tutto inscindibile: «At the first turning of the second stair / I turned and saw below / The same shape twisted on the banister / Under the vapour in the fetid air / Struggling with the devil of the stairs who wears / The deceitful face of hope and of despair». Eppure «April is the cruellest month, breeding / Lilacs out of the dead land» recita l’incipit famoso della Waste Land. Ma la poesia è come l’ombra, ci dice Juan Ramón: «Siempre yo penetrándote, / pero tú siempre virgen, / sombra; como aquel día / en que primero vine / llamando a tu secreto, / cargado de afán libre» (Jiménez, Ante la sombra virgen). È qui la poesia, è questo che insegue eroico il poeta: «Allora tu, la cui ombra le ombre illumina, / quale spettacolo felice formerebbe la forma della tua ombra / al chiaro giorno con la tua assai più chiara luce, / quando ad occhi senza vista la tua ombra così splende! […] Tutti i giorni sono notti a vedersi, finché non vedo te, / le notti giorni luminosi, quando i sogni si mostrano a me» (Shakespeare, Sonetto 43).

La poesia risveglia le coscienze, accende una luce nel buio della modernità, nella marea dell’ignoranza e della bêtise barthesiana che montano giorno dopo giorno in mezzo a noi; liquame immondo che c’invade e ci sommerge, notte dopo notte nei giornali e nelle televisioni, nelle scuole, nella università, nelle aziende, nelle pubbliche amministrazioni imbestiate dalla burocrazia, dal clientelismo e dalla corruzione dell’antiplatonico governo dei peggiori, degli astuti buffoni al potere. Pier Paolo lo aveva detto, per primo come sempre: «tutti sanno cosa sia diventata una carriera politica in Italia, e come gli avvocatucci provinciali e volgari eletti deputati fino a una diecina di anni fa, siano dei giganti rispetto ai loro possibili successori di oggi» (15 febbraio 1975. I Nixon italiani, in Scritti corsari).
Come scrisse Eugenio Montale a Giovanni Grazzini (30 gennaio 1973), con la profeticità propria dei grandi artisti – come il Tiresia omerico vedono nel futuro con occhi altri da quelli fisici: «Fra qualche anno l'Italia sarà piena di disoccupati intellettuali, forniti di titoli di studio che non varranno più nulla... Nessuno si rassegna più alla propria condizione, l'autorità religiosa e del pater familias diminuisce ogni giorno, la filosofia è morta, siamo guidati da gente mediocre, la società ha bisogno di uomini di modesta levatura che sappiano fare un mestiere e basta...».
È l’ora della rivolta. Ritorna, indomabile, l’ouverture camusiana: «Qu’est-ce qu’un homme révolté? Un homme qui dit non. Mais s’il refuse, il ne renonce pas: c’est aussi un homme qui dit oui, dès son premier mouvement. Un esclave, qui a reçu des ordres toute sa vie, juge soudain inacceptable un nouveau commandement» (L'Homme révolté. Essais, 1951).

«La poesia è poesia quando porta in sé un segreto», diceva Ungaretti. «La notte è profonda, / la casa silenziosa, / i nidi degli uccelli / tacciono nel sonno. / Rivelami tra le lacrime esitanti, / tra sorrisi tremanti, / tra dolore e dolce vergogna, / il segreto del tuo cuore», dice Tagore (Non nascondere il segreto del tuo cuore). Lo diceva anche Juan Ramón: «¡Inteligencia!, dame / el nombre exacto de las cosas! / …Que mi palabra sea / la cosa misma, / creada por mi alma nuevamente». È El poema di Piedra y cielo: «¡No le toques ya más, / que así es la rosa!».
«Who watched the procession/ His eyes full of light» (Zacchaeus in the Leaves): «con gli occhi pieni di luce», come il grande indimenticabile poeta di Swansea, Galles, Vernon Watkins. Perché la poesia è per sempre. «Books are like water. Silver, laughing river / From Venice, making light play after two hundred years; / Yes, here are Dante and Guido, the companions, / Fountain ascending» (A Book from Venice). Dante e Guido, gli amici… «They rise from sandgrains where they seemed forgotten. / Sound here through leaf-light hooves of early singing, / These Tuscan poets. Fresher breaks their morning, / Found at the sea’s edge» — lievi come foglie quei poeti toscani risuonano nel canto mattutino. E la loro mattina s’apre più fresca, in riva al mare…
John Keats, «uno il cui nome fu scritto sull’acqua» (come recita il suo epitaffio immortale), lo aveva sentito nella sua tenera anima romantica: «Away! away! for I will fly to thee, / Not charioted by Bacchus and his pards, / But on the viewless wings of Poesy, / Though the dull brain perplexes and retards: / Already with thee! tender is the night, / And haply the Queen-Moon is on her throne, / Cluster'd around by all her starry Fays; / But here there is no light» (Ode to a Nightingale, IV, 31-38). Via! Via! perché volerò da te, sulle ali invisibili della Poesia! Tenera è la notte… la Luna Regina è sul suo trono, circondata dalle sue fate stellate. Ma qui non c’è più luce…
Come ha scritto il poeta rivoluzionario americano Everett LeRoi Jones, alias Amiri Baraka, icona della rivolta afroamericana: «È quello che Keats e Du Bois chiedevano ai poeti di fare: portare Verità e Bellezza. Illuminare la mente umana, dare luce al mondo».
Perché la poesia è una luce nel buio.
Perché «A thing of beauty is a joy for ever» (Keats, Endymion, v. 1), una cosa bella è una gioia per sempre.
Perché (William Blake, Eternity) «who kisses the Joy as it flies / Lives in Eternity's sunrise»: «chi bacia la gioia in volo / vive nell’alba dell’eternità».



Roberto Pasanisi
(n. 11, novembre 2021, anno XI)