«La storia dev'essere spazzolata contropelo». Una Weltanschauung dalla parte degli sconfitti

«When the last tree is cut down, the last fish eaten,
and the last stream poisoned,
you will realize that you cannot eat money».
Toro Seduto [1]

Il genocidio degli Indiani d'America, i Native Americans, da parte degli Statunitensi, insieme a quello degli Indios centro e sudamericani ad opera dei Conquistadores spagnoli, anche se meno estremi – ma solo riguardo a certi aspetti –, non sono stati meno radicali e crudeli di quello ebraico ad opera dei Nazisti – e, a differenza degli Ebrei, senza nessun risarcimento e riconoscimento postumi, come quello della costituzione di un proprio Stato per Israele. È stata una Birth of a Nation, per citare l’indimenticabile movie di Griffith [2], che ancóra gronda di sangue, basata sulla predazione indiscriminata del Manifest destiny [3] e sulla violenza spietata e irredimibile delle armi – fucili a ripetizione contro archi e frecce –; né mai hanno smesso: oggi, sotto le mentite spoglie del peace-keeping di una nuova pax americana, continuano ad esportare nel mondo una democrazia fatta di bombe sofisticate e terribili e di ‘armi intelligenti’. E non hanno avuto ritegno – attraverso la longa manus della CIA – ad affogare in un sangue che ancóra reclama vendetta il coraggioso socialismo democratico e dal volto umano di un eroe del nostro tempo, Salvador Allende, in Cile, rimasto solo quell’11 settembre (quello vero, quello cileno, non quello americano) come solo gli eroi veri rimangono, appoggiando in maniera decisiva l’ascesa della feroce e vile dittatura del barbaro Pinochet.
È la storia di grandi e antiche civiltà rase al suolo e fatte scomparire per sempre dalla storia dalla cupidigia e dalla violenza totalitaria dell’Occidente capitalistico e imperialistico: «interiere sine vestigiis» [4], come diceva Plinio delle cinquanta città perdute del Latium vetus. Israele, almeno, oggi è uno Stato. Oggi, invece, gli Indios e i Nativi Americani sopravvissuti, usurpati delle loro terre e della loro storia, o si sono maladattati alla Herrenrasse, la bianca e ariana ‘razza superiore’; o vivono in una condizione di degrado e disperazione sociale, pauperizzati e alcolizzati – espulsi ai margini della «società opulenta» e dei suoi vuoti e marci bagliori, come direbbe Marcuse [5].
La storia, si sa, la scrivono i vincitori: la ‘cattiva coscienza’ dell’Occidente totalitario e consumistico, nel linguaggio anglo-americano e filo-occidentale del politically correct, sancisce il dominio assoluto del denaro e di una ragione che «al culmine del processo di razionalizzazione è diventata irrazionale e stupida» [6], producendo gli orrori di una democrazia totalitaria i cui ‘ultimi fuochi’ [7] prima dell’autodistruzione e del Medioevo prossimo venturo [8] hanno presagito, col nietzschiano profetismo che da sempre li contrassegna, gli artisti, da Orwell a Huxley a Bradbury [9].
E come un carro armato è passato sulla spiritualità antica e profonda e sulla fierezza guerriera del popolo indiano la storia, lungo un ‘paradigma indiziario’ che, per citare Ginzburg [10], se risale a sterminî eponimi come il Massacro di Fort Parker (1836) o quello di Sand Creek (1864) o quello di Wounded Knee (1890), scorre fino a oggi attraverso il fil rouge che trasforma l’iniziale genocidio di un popolo nel suo più moderno etnocidio [11]: una sorta di Endlösung der Judenfrage, di ‘soluzione finale dei Nativi’, questa volta culturale.
Come disse Hernán Cortés al re azteco Montezuma, in una frase che resta come un epigramma per la storia del civile e selvaggio Ovest del mondo, «Io e i miei compagni soffriamo di una malattia di cuore che può essere curata solo con l'oro» [12] –: era già l’Occidente alla conquista del mondo, prima razziando terre e uomini e sterminando civiltà nobili e antichissime, poi imponendo nel mondo la legge del denaro al suo culmine, la globalizzazione del capitalismo neocoloniale che non ha più bisogno di una ‘bomba’ da amare come quella del mitico dottor Stranamore [13], ma soltanto di muovere i flussi finanziarî da un attimo all’altro da un padrone all’altro da un continente all’altro.  Negli Stati Uniti del remoto Ovest, nel mito di cowboy e pionieri e gold-digger divorati dalla Gold Rush, era la ‘febbre dell’oro’ di Dreamers che si muovevano oltre quella frontiera – la outer reach di un Big Country dove i Nativi – gli unici veri Americani – erano di troppo.
Come non richiamare qui la vertiginosa bellezza dei Cantos poundiani, e specialmente del XLV, nel quale il cupo Leitmotiv dantesco «with usura» scandisce come una litania il canto funebre alle origini della modernità e della sua indelebile tabe, sull’altare grondante di sangue del dio denaro? «With usura hath no man a house of good stone» [14], recita l’indimenticabile incipit. E la celebre frase del grande poeta americano nemico della modernità ne è l’inevitabile corollario: «politicians are just the bankers' waiters».
La radice di ogni pur cursoria indagine storiografica non conformistica, che non sia scritta sotto dettatura dei vincitori, non può che sempre risalire a Walter Benjamin e alle sue meravigliose Tesi Sul concetto di storia: «I momenti distruttivi: demolizione della storia universale, eliminazione dell'elemento epico, nessuna immedesimazione con il vincitore. La storia dev'essere spazzolata contropelo. La storia della cultura come tale viene a cadere: dev'essere integrata nella storia delle lotte di classe» [15].
Spazzolata in contropelo, la storia americana diventa la storia di un’avanguardia spietata per il dominio totalitario del mondo, là dove la storia e la politica sono un’immensa ‘società d’affari’ che coincide coi confini della terra e la democrazia una plutocrazia che lascia sul campo soltanto morti e feriti, senza fare prigionieri – i Native Americans lo impararono per primi –: il sogno delirante e superomistico del ‘Destino manifesto’ diventa una colonizzazione economica, culturale, linguistica, militare che inizia con il genocidio indiano, si trasforma nel suo etnocidio, si estende infine al modello globale e totalizzante di un pensiero unico e dittatoriale, quello dell’American way of life per tutti, dappertutto, per sempre.



Roberto Pasanisi
(n. 10, ottobre 2023, anno XIII)



NOTE

[1] Celebre frase attribuita nella vulgata della communis opinio a Toro Seduto (Tatanka Yotanka o Tatanka Iyotake). L’Oxford Dictionary of Proverbs (2009) la definisce semplicemente «Native American saying»; «Osage saying», invece, Harvey Wassermann in America Born and Reborn, New York, Collier Books, 1983.
[2] David Wark Griffith, Nascita di una nazione (The Birth of a Nation), USA, 1915.
[3] Secondo il noto inquietante sintagma coniato per primo da John O'Sullivan in Annexation, in "United States Magazine and Democratic Review", 17, 1, July-August 1845, pp. 5-10.
[4] «Scomparvero senza lasciar traccia». Plinio il Vecchio, Naturalis historia, III, 68-70.
[5] Cfr. Carlo Sigismondi, Marcuse e la società opulenta, Roma, Cremonese, 1974.
[6] Max Horkheimer, Eclisse della ragione, Torino, Einaudi, 1969, p. 113.
[7] Francis Scott Fitzgerald, Gli ultimi fuochi, Milano, Mondadori, 1959.
[8] Roberto Vacca, Il medioevo prossimo venturo, Milano, Mondadori, 1971. Ma cfr. anche la sua versione narrativa: La morte di Megalopoli, Milano, Mondadori, 1974.
[9] Cfr. anche l’apologo chapliniano di Modern Times (1936), nonché quelli – letterarî – di Aldous Huxley (Brave New World, 1932), George Orwell (1984, 1950), Ray Bradbury (Fahrenheit 451, 1953), Roberto Vacca (La morte di Megalopoli,1974) e – cinematografici, epocali espressioni dell’‘immaginario collettivo’ – di Stanley Kubrick (A Clockwork Orange,1971), Douglas Trumbull (Silent running, 1971), Boris Sagal (The Omega Man, 1972), Richard Fleischer (Soylent green, 1973) e Norman Jewison (Rollerball, 1975).
[10] Carlo Ginzburg, Spie. Radici di un paradigma indiziario, in Crisi della ragione, a c. di Aldo Gargani, Torino, Einaudi, 1979, pp. 57–106.
[11] Giulia Lenzi Castoldi, I Pellirosse, lotta per la sopravvivenza, Roma, Pagine, 2000, pp. 80-85 (La politica dell’etnocidio).
[12] AA.VV., Il libro della storia, traduzione di Roberto Sorgo, Milano, Gribaudo, 2018, p. 149. «Cortés le preguntó si Montezuma tenía oro. Y como respondió que sí, “envíeme”, dice, “de ello; pues tenemos yo y mis compañeros mal de corazón, enfermedad que sana con ello» (Francisco López de Gómara, Historia de la conquista de México, México D.F., México, Editorial Océano, 2003 [1552], p. 92).
[13] Altri tempi da quelli del cult-movie fanta-politico kubrickiano del ’64: Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb (Gran Bretagna, 1964)!
[14] «With usura hath no man a house of good stone / each block cut smooth and well fitting / that delight might cover their face, / with usura / hath no man a painted paradise on his church wall / harpes et luthes / or where virgin receiveth message / and halo projects from incision, / with usura / seeth no man Gonzaga his heirs and his concubines».
[15] Walter Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Torino, Einaudi, 1997, Materiali preparatori delle tesi, Ms 446, p. 76.

BIBLIOGRAFIA

Pierre Chaunu, Conquête et exploration des nouveaux mondes (XVIe siècle), Paris, Presses Universitaires de France, 1969

Geronimo (Go-khlä-yeh), Geronimo’s Story of His Life, a c. di S.M. Barrett, New York, Duffield & Co., 1906

Charles Chilton, Discovery of the American West, London, The Hamlin Publishing Group Ltd, 1969

George Bird Grinnell, Cheyenne in guerra, Milano, Mursia, 1994

James W. Covington, The Seminoles of Florida, Tallahassee, Board of Regents of the State of Florida, 1993

John Burke, Buffalo Bill, Milano, Mursia, 1976

Massimo Teodori, Storia degli Stati Uniti d’America, Roma, Newton Compton Editori, 1996

Michèle Byam, Discovery of North America, London, The Hamlin Publishing Group Ltd, 1969