Un ricordo di Eugen Drăguțescu a 110 anni dalla nascita

Non solo Camelian Demetrescu. Il 2024 è un anno importante per l’arte moderna romena perché segna anche i 110 anni dalla nascita di Eugen Drăguțescu (Iași, 1914 - Roma, 1993), pittore romeno naturalizzato italiano che ha contribuito a rafforzare le relazioni culturali fra Italia e Romania. Artista oggi purtroppo un po’ dimenticato, ma che in vita conobbe un buon successo di critica e di pubblico, esponendo in Romania, Italia, Paesi Bassi, Messico, Stati Uniti d’America, e che oggi merita di essere riscoperto in virtù dell’intensità emotiva dei suoi disegni e dipinti, e di uno stile raffinato che trasse ispirazione anche dall’arte italiana.
Drăguțescu trascorse l’infanzia nel villaggio di Vicovu de Jos, in Bucovina, dove compì gli studi primari, e poi frequentò il liceo a Rădăuţi, prima di trasferirsi a Bucarest nel 1932 per frequentare l’Accademia di Belle Arti che concluse nel 1938; sin dall’inizio dimostrò di possedere una notevole espressività, ottenuta combinando il minimalismo del tratto della matita con intense armonie cromatiche e, ancora studente, partecipò alle Saloanele oficiale de desen şi gravură, patrocinato all'epoca dal Ministero della Cultura e delle Arti, il cui comitato di selezione, formato da Camil Ressu, Jean Steriadi, Francisc Șirato e Marius Bunescu, selezionò due sue opere: Căsuță la mahala e Copil orb. Invece, nel 1936, s’interessò a lui il Centrul Cultural Casa Artelor di Bucarest, che gli offrì di organizzare la sua prima mostra personale presso la Sala Mozart, che nel 1924 aveva ospitato la prima ‘scandalosa’ personale di Victor Brauner. Tre anni più tardi vinse il concorso per il Premio Roma, che consisteva in una borsa di studio grazie alla quale poté studiare in Italia presso l'Accademia di Romania, a Roma. Fu, quello, un anno molto importante per il successivo sviluppo della sua carriera d’artista, perché ebbe la possibilità di studiare direttamente l’arte italiana. In particolare, Drăguțescu era interessato al disegno italiano fra il secondo Seicento e il primo Settecento, sviluppato da artisti quali Salvator Rosa, Aureliano Milani, Donato Creti, Francesco Zuccarelli. Un’Italia, quella, dove in attesa dell’Illuminismo i fasti del Rinascimento avevano lasciato il posto all’involuzione sociale della Riforma romana, e l’unica classe sociale dove forse ancora palpitava un po’ di vita autentica era quella popolare, come hanno documentato anche artisti e memorialisti stranieri; un’Italia umile, pittoresca e cenciosa, ma appunto viva e colorata, dalla quale Drăguțescu assorbì una certa maniera di guardare alla realtà dell’individuo.
Quando rientrò brevemente a Bucarest nel 1940, diversi disegni, acquerelli e pitture a olio che aveva realizzato durante il soggiorno a Roma furono esposti nell’ambito del Salonul Oficial de Toamnă, e fu anche insignito del Premio Simu. In Italia, invece, l’Accademia di Romania organizzò una collettiva di artisti romeni, che fu visitata anche da Vittorio Emanuele III, e come riportò un articolo apparso sul «Messaggero», «Drăguţescu, disegnando donne, bambini, musicisti e poeti, è riuscito a comporre un libro di vita, nutrito da una speciale spiritualità, espressa attraverso un accentuato lirismo di linee e colori, che suscita negli spettatori una viva ammirazione». Quella schiettezza degli artisti tardo barocchi che aveva a lungo studiato, emergeva adesso reinterpretata secondo il suo stile personale, e si traduceva sulla carta o sulla tela in volti e scene fortemente espressivi ed emotivamente coinvolgenti.
Nonostante il difficile periodo bellico (oltre all’Italia, anche la Romania era entrata in guerra, e le sue divisioni erano schierate in Unione Sovietica al fianco della Wehrmacht), Drăguțescu poté proseguire gli studi a Roma, e nel 1943 ebbe anche una personale alla galleria «Il Cavallino», a Venezia e una presso Ferruccio Asta a Milano. Poi, in seguito al disorientamento generale causato dall’ambiguo armistizio annunciato da Badoglio, decise per un rapido ritorno in patria; rientrato in Romania, quello stesso autunno il Ministero della Propaganda Nazionale organizzò una sua personale che poi venne ospitata anche nelle sale del prestigioso Ateneo. Inoltre, ancora nel 1943, in occasione dell’uscita del volume di E. Ar. Zaharia, Antologie rădăuţeană (dedicato all’allora giovane generazione dei poeti della Bucovina), Drăguțescu realizzò i ritratti di molti dei poeti inclusi nella raccolta. Si tratta per la maggior parte di disegni a china, che rivelano un tratto asciutto ma espressivo, ora venato di caricaturale ironia, specchio della goliardia che animava molti di quei giovani poeti, ora venato di matura malinconia.
La caduta del Maresciallo Antonescu e l’occupazione sovietica costrinsero alla sospensione anche la vita culturale del Paese, ma non appena la pace fu finalmente ristabilita in Europa, Drăguțescu scelse di trasferirsi nei Paesi Bassi; vi abitò per tre anni, dal 1946 al 1949, nel corso dei quali attese a illustrare l'intera opera di Shakespeare per la casa editrice W. De Haan di Utrecht; un lavoro monumentale, ma in cui l’artista poté esprimere al meglio la sua incisività, che dialogava bene con le atmosfere shakespeariane intrise di dubbi, ironia, amarezza, gioia, tutto quello spettro dell’animo umano che Drăguțescu amava raccontare. Nei suoi tre anni olandesi, tenne anche mostre personali ad Amsterdam, L’Aja e Rotterdam. Ma il richiamo dell’Italia era troppo forte, e appunto nel 1949 si trasferì ad Assisi, borgo natio di San Francesco, che all’epoca era ancora animato dalle tradizionali feste popolari per il Calendimaggio; e Drăguțescu entrò artisticamente a far parte della vita locale, disegnando alcuni manifesti per questa tradizione molto sentita e partecipata, ma soprattutto riuscì a raccontare l’anima e l’atmosfera di questo affascinante borgo medievale in un album di disegni pubblicato da Vallecchi nel 1953, nella prefazione del quale l’artista e critico Valerio Maraini così scrisse: «Eugenio Dragutescu si è fatto interprete di Assisi perché in questa città, destinata all'incontro, ha scoperto la spiritualità più profonda e autentica». L’album è infatti un'immagine compiuta del borgo, con i ritratti degli abitanti, le sue vie e i suoi monumenti così ancora profondamente legati a San Francesco, e le scene della vita monastica quasi immutate dal 1200. La fede era infatti uno degli aspetti della vita umana cui Drăguțescu guardava con rispetto, e nel corso degli anni, oltre ad Assisi, interpretò artisticamente altri luoghi della spiritualità italiana, fra cui la Casa sollievo della sofferenza di Padre Pio, ma anche la figura di Santa Chiara ed episodi del Vangelo, per pubblicazioni specifiche.
Gli anni Cinquanta furono la stagione del definitivo riconoscimento, perché nel 1950 espose presso la prestigiosa galleria romana «L’Obelisco», nel 1953 fu insignito del Premio Acquisto all’Esposizione Internazionale d’Arte di Messina, e nel 1954, quando espose a Roma alla galleria «L’Aureliana», ricevé il Ford Foundation Award per il suo album Assisi; nel 1957, invece, arrivarono ben due premi del Ministero della Pubblica istruzione alla mostra provinciale di Perugia e a quella nazionale di Roma. Ma soprattutto, partecipò alla XXVIII Biennale d’arte di Venezia, che si tenne dal giugno all’ottobre del 1956; Drăguțescu espose all’interno della collettiva Bianco e Nero, antologica di sculture, disegni e dipinti appunto in bianco e nero, di maestri europei, americani e africani, compresi nell’arco temporale tra il secondo Ottocento e la prima metà del Novecento. Con lui, grandi nomi dell’arte quali Lynn Chadwick, Ernesto Treccani, Jacques Villon, Harold Town, Corneliu Baba e Bettie Cilliers-Barnard.
Drăguțescu espose ben 43 disegni, a penna o penna e pastello, dedicati alla maternità, all’infanzia, al paesaggio, alla città di Perugia, o realizzati per illustrare opere di Quasimodo, Pound, Ungaretti, eccetera. Come scrisse ancora Valerio Mariani, nel catalogo della Biennale, «ciò che colpisce nella sua opera è la eccezionale coerenza stilistica: qualsiasi tema è per lui lo spunto per esprimersi nella linea, che ha assunto il significato pregnante e ricco d’un linguaggio pienamente articolato e individualmente posseduto»; parole che confermano la profondità del tratto dell’artista e la sua grande capacità espressiva, sia nel disegnare una figura umana, un paesaggio o una scena della tradizione popolare.
Nel 1959 la Società accademica romena pubblicò un catalogo generale delle sue opere, con la prefazione di Aldo Ferrabino. In quel medesimo anno decise di trasferirsi a Romain via del Babuino, nello stesso palazzo dello scultore Nino Franchina. All’epoca, la città era ancora la capitale della «dolce vita» e animata da una vita artistica e intellettuale molto intensa; qui Drăguțescu continuò il suo lavoro di illustratore per i grandi nomi della letteratura, dai classici ai moderni, compresi Shakespeare, Andersen, d’Annunzio e Dante, ma anche per l’Enciclopedia Treccani; e realizzò diversi ritratti di scrittori e poeti contemporanei, fra cui Gaetano Salveti, che arricchivano le loro pubblicazioni. In ambito più strettamente romeno, ha collaborata con la Editura Ion Creangă, realizzando le illustrazioni anche in collaborazione con il figlio Tudor.
L’artista approcciava i vari autori studiando con attenzione l’immaginario che traspariva dai loro testi, così come, quando immortalava personaggi o scene della vita quotidiana, prendeva la realtà come modello; non raramente, però, le emozioni hanno il sopravvento sulla realtà, sulla parola, e nascono opere coinvolgenti, quasi magiche, che aprono la mente alle memorie dell’infanzia o comunque del proprio vissuto, che raccontano un aspetto della vita reale con piglio poetico, o ancora, nel caso delle illustrazioni per le opere di letteratura, aggiungono vivacità alla narrazione e gettano le basi per un profondo coinvolgimento emotivo del lettore, stimolandone una meravigliata curiosità.
A Roma, Drăguțescu collaborò più volte con la Strenna dei Romanisti, la tradizionale raccolta di scritti, disegni, poesie e quant’altro, edita dal Gruppo dei Romanisti, cenacolo spontaneo di studiosi, accademici e cultori dell’Urbe e della sua storia. Realizzò anche un ciclo di vedute, Roma di notte, dove la figurazione sfuma in un accennato astrattismo, il cui effetto finale è quello di avvolgere le scene romane in un’atmosfera di mistero e di magia.
Gli anni Sessanta lo videro ancora protagonista di mostre personali in Italia (Roma, Venezia, Orvieto, Bari, Palermo, Verona), in Finlandia (a Helsinki e Turku), in Messico (al Salón de la Plástica Mexicana del 1960, presso il Palacio de Bellas Artes di Città del Messico) e negli Stati Uniti (al Long Beach State College, Los Angeles, nel 1960 e al Tennessee Fine Arts Center, Cheekwood, nel 1967).
Dan Bogdan ha intitolata Il frutto dell’esilio (România Press, 2006) la monografia che ha dedicato a Drăguțescu, e a ben guardare dal lungo soggiorno in Italia sono nati frutti interessanti. Ma forse l’artista, la cui famiglia era di lontana origine genovese, non si sentiva in esilio in Italia, avendo nel sangue la pratica di solcare i metaforici mari del mondo e di sentirsi cittadino sotto qualsiasi cielo. La conoscenza del disegno italiano del tardo Barocco è rimasta infatti profondamente radicata nella sua poetica artistica; a questa aggiunse un largo uso del «non finito» – tipico anche di artisti come Leonardo da Vinci o William Turner – grazie al quale imprime ai suoi disegni un’atmosfera di antico, teatrale dinamismo, che a sua volta genera un senso di drammatica attesa, come un cielo grigio sospeso nell’afa estiva appena prima di un temporale. La linea sintetica ma espressiva racchiude dinamismo, gioia, musicalità, innocenza, ironia, meraviglia, grazie alla capacità di Drăguțescu di adattarsi stilisticamente al soggetto, di empatizzare con lui (o lei), aggiungendo dove occorre una rifinitura a pastello o acquerello, per enfatizzare una particolare caratteristica del soggetto. Il suo è un vero «sempre mobile e mutabile perpetuamente», come scrisse Alberto Savinio nel 1946 su Michelangelo, è il vero che si agita dentro l’animo umano. Vale per i ritratti, così come per le illustrazioni per i romanzi e le raccolte di poesie.
Il suo amore per l’Italia lo portò a integrarsi facilmente con la folta comunità intellettuale che all’epoca abitava a Roma, e anche questo capitolo umano si tradusse ben presto in arte, perché divenne apprezzato ritrattista di tanti intellettuali italiani, fra cui il poeta e amico Giuseppe Ungaretti, ma anche Eugenio Montale, Giorgio de Chirico, Dino Buzzati; inoltre, non gli mancarono le occasioni di esporre le sue opere, e fra queste citiamo la personale alla galleria «Gian Ferrari» di Milano nel 1964, e quella alla galleria «Viotti», a Torino, nel novembre del 1967. Strinse anche amicizia con il pittore e poeta Giuseppe Vese, e nella collezione permanente della Pinacoteca civica di Galugnano (Lecce), inaugurata lo scorso settembre e a lui intitolata, sono presenti diverse opere di Drăguțescu.
La sua vita, comunque, si svolgeva anche «all’ombra» della Romania, ed ebbe occasione di incontrare e ritrarre suoi importanti connazionali, come Constantin Brâncuși, Sergiu Celibidache, George Enescu e Ana Blandiana; assai espressivo il ritratto dello scultore – che andò a visitare nel suo studio di Parigi – con la lunga barba di saggio orientale così rappresentativa della sua personalità ‘mistica’. E ancora nell’ambito della cultura romena, nel 1966 illustrò The Pastoral Paradise - Romanian Folklore, il volume del filosofo, storico e studioso delle tradizioni popolari Octavian Buhociu che uscì negli Stati Uniti e in Germania; dalle atmosfere bucoliche della ballata popolare Miorița alle suggestive e terrificanti figure dei Sântoaderi (entità soprannaturali dall’aspetto di giovani uomini, che si diceva apparissero cantando e suonando rumorosamente per le vie dei villaggi camoestri, per creare scompiglio e diffondere malattie fra gli abitanti), Drăguțescu realizzò illustrazioni dalle quali scaturisce tutto il calore umano della tradizione orale e il mistero delle antiche leggende, illustrazioni che arricchiscono il testo perché comunicano al lettore quel senso di meraviglia e di suggestione tipico delle fiabe; e sovente, i volti dei personaggi ricordano quelli delle antiche marionette turche, una leggera influenza orientale che rispecchia le influenze culturali che nei secoli hanno lasciato le loro tracce in Romania. Illustrò anche diverse raccolte del poeta George Ciorănescu.
Negli anni Settanta e Ottanta ridusse le mostre in Italia e in Europa, limitandosi a due personali a Zurigo, e a poche altre nella Penisola, fra cui una nel 1972, alla galleria «San Vidal» di Venezia, dedicata a Giuseppe Ungaretti, e un’altra nel 1982 ad Assisi, in occasione dell’ottavo centenario di San Francesco. Drăguțescu non era in cerca della fama e delle prime file, era riuscito a far conoscere la sua opera nel mondo, adesso era arrivato il momento di godersi in tranquillità l’ultima stagione della vita. Non per questo la sua curiosità artistica era diminuita: infatti cominciò a guardare con interesse alle potenzialità dell'espressione astratta, grazie alla quale approfondì il lato emotivo e indefinito dei suoi lavori. Una stagione, questa, che rimane purtroppo in larga parte poco nota tanto al grande pubblico quanto al mondo accademico.
Fra le collaborazioni editoriali degli ultimi anni si ricorda la curatela de Il gigante buono di Grado (Roma, 1984), raccolta di poesie di Biagio Marin e con gli scritti critici di Pier Paolo Pasolini, Carlo Bo, Giorgio Caproni, Carlo Sgorlon, Eugenio Montale, e altri; nell’occasione, realizzò anche dieci ritratti a piena pagina del poeta.
Drăguțescu scomparve a Roma nel 1993. Da allora, in questi 30 anni, si sono susseguiti diversi eventi in sua memoria, a cominciare dalla retrospettiva dedicatagli dalla città di Craiova a un anno dalla morte, e quella ospitata da Muzeul Național de Artă al României di Bucarest nel 1998; altre ancora ne sono susseguite, e il 10 novembre 2014 la Banca Nazionale della Romania ha lanciato una moneta d'argento nel circuito numismatico dedicato al centenario della nascita. La stessa Accademia di Romania a Roma (che conserva diverse sue opere), nel novembre 2016 lo ha omaggiato con la mostra Eugen Drăguțescu. Diario di una vita in immagini, focalizzata sulle ispirazioni che l’artista romeno trasse dall’arte italiana tardo barocca. E oltre alla già citata biografia di Dan Bogdan, nel 2018 per i tipi di Editura Muzeul Literaturii Române, è uscito il volume di Victor Iosif, Eugen Drăguțescu omul și artistul, în scrisori. Tuttavia, molto si potrebbe e si dovrebbe ancora fare per riscoprire questo grande artista, che in vita fu una persona umile e riservata, e anche per questo seppe dare una lezione di stile.




Emissione numismatica Eugen Drăguţescu (dritto)




Emissione numismatica Eugen Drăguţescu
(rovescio)




Eugen Drăguţescu, Locandina del Calendimaggio, Assisi




Eugen Drăguţescu, Miorița


Eugen Drăguțescu, Perugia che lavora.
Dal catalogo della XXVIII Biennale internazionale d'arte di Venezia, 1956.
Courtesy Fondazione Ragghianti, Lucca




Eugen Drăguţescu, Ritratto di Arcadie Cerneanu




Eugen Drăguţescu, Ritratto di Constantin Brâncuși, 1975




Eugen Drăguţescu, Sântoaderi




Eugen Drăguţescu, Tătăroaică la Balcic

Niccolò Lucarelli
(n. 1, gennaio 2024, anno XIV)