Un ricordo di Camilian Demetrescu a cento anni dalla nascita

Le relazioni culturali fra Italia e Romania passano anche per la figura e l’opera di Paul Constantin Demetrescu, meglio conosciuto come Camilian Demetrescu (Bușteni, 18 novembre 1924 – Gallese, 6 maggio 2012), poliedrica personalità che fu pittore, scultore, scrittore, storico dell’arte, e che attraverso il colore, la parola scritta, la materia plasmata, ha cercato una sua via alla trascendenza e al sacro. A un secolo dalla nascita, è doveroso celebrare un uomo che riuniva in sé l’artista e l’erudito, lo sfidante audace, con la mente attenta e sensibile alle problematiche del suo tempo, e lo studioso illuminato, nutrito della purezza delle idee. Libertà e verità sono stati i due concetti che ha perseguito nell’arte e nella vita, sin dagli anni dell’educazione scolastica passata per la disciplina del Liceo Militare a Târgu Mureş, i corsi di medicina e filosofia (che però non riuscì a portare a termine a causa di un attacco di tubercolosi, per il quale fu espulso a causa delle troppe assenze) e le aule dell’Accademia di Belle Arti di Bucarest, dove si laureò nel 1949. Una poliedricità d’interessi che lo accomuna a Constantin Brâncuși, con il quale condivide anche l’orgoglio e l’amore per le radici culturali romene, in particolare quelle popolari e religiose. E proprio in omaggio a queste, Demetrescu pubblicò numerosi saggi sui monasteri della Bucovina, con i loro grandiosi cicli di affreschi sia interni sia esterni, e sulle icone dipinte su vetro della Transilvania.
Nel 1948 divenne membro dell'Uniunea Artiștilor Plastici, e fragli anni 1948 e 1952 collaborò con le riviste Contemporanul e Flacăra, pubblicandovi disegni, articoli e poesie. Le sue prime prove artistiche, dopo quelle di rito di stampo realsocialista, dal quale però si stacca quasi subito, lo collocano nella corrente dell'arte astratta, alla quale arrivò dalla teoria: nel 1966, presso la prestigiosa Casa Editrice Meridiane, pubblicò il volume di estetica dal titolo Culoarea - suflet și retină, nelle cui pagine discettava sulla natura, la grammatica e la funzione del colore. Un trattato denso di informazioni storico-tecniche, che esprime le possibilità espressive e autonome del colore e della pittura come arte astratta; infatti paragona la pittura alla musica e parla di armonia, accordo ed estensione nella pittura.
Inoltre, fra il 1964 e il 1969 si fece conoscere come critico d’arte sia alla televisione e alla radio, sia sulla carta stampata. Ma la sua vita stava andando incontro a una svolta: nel 1968, con un gesto che esprimeva il suo netto dissenso verso la politica culturale del regime comunista in Romania, rifiutò „Meritul cultural” Clasa a IV-a, (merito culturale di quarta classe). Posto sotto sorveglianza dalla famigerata Securitate, il 3 aprile 1969, a cinque anni dalla nefasta ascesa al potere di Ceaușescu, decise di lasciare la Romania per poter essere libero di esprimere un’arte che si allontanasse dai vuoti dogmi e dalla brutalità estetica del realismo socialista, come già aveva fatto Eugen Drăguțescu nel 1949, si trasferì in Italia dove chiese asilo politico iniziando una prodigiosa carriera espositiva ed editoriale.
L’Italia diventa così il Paese che lo ha visto nascere per la seconda volta: «Per un capriccio del destino e della storia sono nato due volte: nel 1924 in Romania, nel 1969 in Italia» [1].Sulle prime si stabilì a Roma, dove avviò varie collaborazioni con la stampa romena in esilio, ma il fatto di trovarsi nell’Occidente “libero”, paradossalmente non gli semplificò il compito; anche in Italia Demetrescu incontrò i rischi dell’essere contro, dell’essere critico, del rifiuto della logica schiacciante del potere, una logica che anche nei Paesi capitalisti era la stessa di quelli comunisti. Ma non per questo rinunciò a scagliarsi contro il regime di Ceaușescu dai microfoni di Radio Free Europe, che trasmetteva i suoi caustici bollettini. Per questo, fu messo sotto inchiesta dal dittatore romeno, fu seguito dai servizi segreti e più volte minacciato. Ma non per questo rinunciò alla sua missione – che sentiva come un dovere nei confronti di chi era rimasto in Romania – alternando articoli di denuncia del regime al lavoro di artista o alle ore di studio. La sua non fu una missione facile, perché anche in Italia trovò diversi ostacoli. In primo luogo Radio Free Europe richiedeva che prima di essere letti e  trasmessi in Romania, gli articoli di Demetrescu dovevano prima essere stati pubblicati su un giornale europeo. Ma in Italia non era facile trovare testate che fossero davvero libere: a destra, con la Democrazia Cristiana impegnata nel compromesso con la sinistra comunista, non era ritenuto opportuno pubblicare articoli di denuncia dei loro regimi. A sinistra, nonostante tutto, rimaneva la solidarietà delle comuni radici. Pertanto, Demetrescu trovò soltanto la disponibilità del quotidiano socialdemocratico Umanità.
Parallelamente all’impegno civile, portò avanti la sua carriera d’artista, e nel 1970 ebbe subito gli onori di una personale alla galleria SM-13 in via Margutta a Roma, il cui catalogo riportava una presentazione firmata da Giulio Carlo Argan. Fra le altre mostre più importanti in Italia, le due partecipazioni alla Biennale di Venezia, al Festival dei due Mondi di Spoleto, alla Quadriennale Nazionale d’Arte di Roma, le quattro grandi antologiche a Perugia (1972), a Parma (1975), a Viterbo (1977), e alla Calcografia Nazionale di Roma (1981). L’opera artistica di Camilian Demetrescu, per la sua diretta discendenza e formazione, risente non soltanto filologicamente alla memoria dei luoghi, ma ne è intrinsecamente legata nella dimensione di un tempo che non è solo un tempo lineare e cronologico, ma è “cosmico” e “mitico”. Il tempo della memoria diventa, nelle opere artistiche informali degli anni Settanta, cultura di una memoria antropologica da riscoprire e tramandare. Il suo astrattismo, dipinto o scolpito, è fatto di superfici curve che vincono la gravità, evocano tensione, fragilità, provvisorietà, sono lo specchio della condizione umana.
Le sue sculture proseguono sulla strada tracciata da Constantin Brâncuși che, nell’interpretare il mondo della tradizione romena, i suoi simboli e il loro rapporto con la memoria, diventa più articolato e complesso. 
Forte anche di questo patrimonio culturale, non assorbì l’Occidente in maniera acritica. Ad esempio, era ben consapevole che né il Partito Comunista Italiano né le autorità dello stato  italiano non hanno preso delle posizioni contro gli abusi del regime politico di Bucarest, specialmente rispetto alla violazione dei diritti e delle libertà fondamentali. E sapeva che La propaganda di Bucarest era riuscita a migliorare sensibilmente l'immagine della politica romena in Occidente, Italia compresa. A questo scopo si erano prestati anche tanti intellettuali romeni stabilitisi all’estero, ma che non avevano tagliato i ponti con il regime. Demetrescu, persona coerente con il senso della dignità denunciò moralmente quegli “intellettuali del libero Occidente” che si erano spesi per “glorificare i tiranni illuminati”, compreso Ceaușescu. Ne ha scritto in un articolo apparso nel 1999 su Memoria – Revista gândirii arestate, dal titolo Italia – exilul românesc și stânga marxistă, articolo in cui rievocava anche la severa critica mossa nel 1974 (e apparsa sul quotidiano Umanità)al documentario di Carlo Ponti A carte scoperte con Nicolae Ceaușescu, in cui si lodava l’allontanamento della Romania di Ceausescu dall’Unione Sovietica; il dittatore aveva ereditata la rottura fra Dej e Chruščëv nei primi anni Sessanta, ma non equivaleva al'indipendenza politica, considerando anche la stretta collaborazione fra la  Securitate e il KGB.
Come scrisse nel volume EXIL (pubblicato a Bucarest dalla casa editrice Albatros): «Quando sono arrivato in Occidente, non sapevo che per conoscerlo veramente avrei dovuto distogliere lo sguardo dal vortice dell'opulenta quotidianità e affascinato dalle tentazioni immediate, per cercare in una penombra proibita, le frecce nascoste che mi avrebbero condotto ai tesori o agli orrori custoditi nell'immenso ipogeo della coscienza occidentale». La sua fu una ricerca attenta, filosofica e spirituale, che si rafforzò anche grazie a un episodio fortuito. Dopo alcuni di soggiorno a Roma, Demetrescu conobbe il conte Cencelli, che nel 1973 gli offrì di utilizzare il suo vecchio casale nella campagna di Viterbo. Lasciò quindi la capitale e si trasferì  nel paese di Gallese, arroccato su una collinetta tufacea e circondato da alte rupi ai cui piedi scorrono numerosi torrenti, lungo la Via Amerina. Un paesaggio selvaggio e affascinante, che invita alla contemplazione e alla meditazione. Ma l’abitato di Gallese è anche ricco di storia e di arte, e Demetrescu vi si immerge in pieno quando nel 1977 si occupò del restauro della pieve romanica cistercense dei Santi Giacomo e Filippo, risalente al XII Secolo. Da secoli in completo abbandono, fu riconsacrata in seguito al restauro e al recupero,il 27 settembre 1977.
L’incontro con la maestà di quella antica pieve fu forse la prima scintilla di un cammino che si sarebbe rafforzato nel 1979, quando a Parigi Demetrescu incontrò il filosofo Mircea Eliade; fu lui ad aprirgli l'orizzonte dell'arte sacra, che utilizza per ricostruire la statura e la dignità dell’uomo, sfigurate dall’oppressione del socialismo reale applicato da Ceausescu. La sua resta una pittura materica, aiutata anche dalla forma che predilige la linea retta alla linea curva, un retaggio delle avanguardie dell’Europa orientale degli anni Venti e Trenta, ma qui declinata verso la spiritualità, che l’artista riesce a tradurre mirabilmente sulla tela. Anche per questo la Fondazione Paolo di Tarso lo ha insignito della Carta della Pace per la Tutela della Memoria, dei Diritti dell’Uomo e dell’Ambiente, che riconosce a donne e uomini di buona volontà il plauso della società civile, con la seguente motivazione: «Contadino dell’Orto di Dio: l’Artigiano, l’Artista, il Genio che attinge alle sorgenti dei Vangeli per decorare l’esistenza di Bellezza Divina; che affida al tempo lo splendore della Sua Opera Umana, che assume la forma d’Arte, come testimonianza della vittoria operata dalla Carità Cristiana su ogni dittatura. All’uomo che dona ai suoi simili una moltitudine di segni perché essi possano sempre porsi alla ricerca dei Valori della Pace».
Ma la bellezza e la severità della pieve romanica di Gallese è rimasta un simbolo indelebile nella memoria di Demetrescu, che ne fece oggetto di riflessione e di comparazione con l’architettura sacra contemporanea. E di nuovo, si scontrò con quel materialismo che purtroppo sembra corrodere ogni angolo della nostra società. Emblematiche queste sue parole pubblicate il 2 gennaio 2019 sul quotidiano Architettura sacra. Lettere, progetti, elementi, parte di una lunga e vibrante lettera aperta ai sacerdoti: «Che cosa è rimasto dentro le mura di cemento e di pietra artificiale di un simile edificio segnato ancora da una croce solitaria? Di tutto quello che i costruttori delle cattedrali, dei sacelli o delle piccole pievi di campagna ci hanno lasciato nei tempi “bui” del medioevo, di tutto l’ingegno che le maestranze, i pittori, gli scultori, i mastri della pietra, del ferro, del legno, gli orafi e i tessitori, vi mettevano per raffigurare il corpo di Cristo nel corpo di una chiesa, di tutto questo non è rimasta oggi che la vostra voce umana  per trasmetterci dal vivo la Verità del Verbo. Tutto il resto sembra sia stato risucchiato da un ciclone oscuro nella voragine dell’oblio, scaricato nelle betoniere di questa civiltà meccanica che stritola e divora la memoria della grande storia cristiana».
Demetrescu fu un artista che trovò nel sacro la strada maestra per esprimere al meglio la sua sensibilità di artista e di uomo, al punto che una serie di arazzi dal titolo Hierofanie adorna dal 2008, su richiesta dell’allora Pontefice Benedetto XVI, la Sala delle Udienze Generali del Palazzo Pontificio in Vaticano, dopo essere stata esposta in Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, fra dicembre 2005 e gennaio 2006. Si tratta di opere che sono frutto di una particolare tecnica artistica e artigianale, che permette interventi strutturali sul lavoro fino alla sua conclusione. Infatti, l’immagine non è realizzata sul telaio, ma è composta come fosse un mosaico, cucendo insieme vari pezzi di stoffa – tessuti, ricamati, o lavorati a maglia separatamente – su una grande tela di lino. In tal modo l’artista può intervenire togliendo quelle parti che non lo soddisfano, e sostituirle con altre che ritiene più adatte.
La carriera di Demetrescu è stata comunque caratterizzata anche dall’impegno politico che si rifletteva nell’arte; ad esempio, nell'inverno del 1981, realizzò una cartella di litografie intitolata Pluralismo – 42 disegni sul fantasma del socialismo reale, con la presentazione critica del filosofo Rosario Assunto. Attivo per trent’anni nell'esilio politico, partecipa attivamente sulla stampa occidentale e della diaspora alla denuncia del totalitarismo sovietico. Nel 1983, a Parigi, fu tra i membri fondatori dell’Internazionale della Resistenza al Totalitarismo, costituita da esponenti dell'esilio politico dei Paesi dell’Est. Dopo la Rivoluzione del dicembre 1989, che pose fine al regime di Ceaușescu, si attivò in prima persona per portare soccorso ai suoi connazionali, dando vita la Comitato Pro Romania e organizzando spedizioni di beni di prima necessità; pubblicò anche due edizioni della Bibbia in lingua romena - nella traduzione dal greco e dall’aramaico del grande scrittore e teologo romeno Gala Galaction, che distribuì in tutto il Paese.
Gli anni Novanta lo videro ancora impegnato nell’arte sacra, come studioso dei simboli delle facciate di varie chiese romaniche, dal Lazio all’Emilia Romagna, all’Umbria, trovando anche il tempo per battersi, con successo, nella campagna civile contro l’installazione, a Gallese, di una stazione di antenne satellitari, fonte di inquinamento elettromagnetico e devastatrice della bellezza del paesaggio naturale.
A dodici anni dalla scomparsa, cosa può ancora insegnare Demetrescu all’Italia? Probabilmente dobbiamo partire dalla sua incessante lotta per la libertà, portando avanti la quale ha spesso attirato l'attenzione sul fatto che di questi tempi la malattia più grave è quella di dimenticare il passato. In fuga dall’oppressione della dittatura di Ceausescu, Demetrescu guardava all’Italia come a un Paese la cui tradizione democratica poteva essere di aiuto anche alla Romania, per costruire in un prossimo futuro un Paese libero che desse dignità a ogni suo cittadino. Una stima di cui l’Italia dovrebbe essere sempre grata, e che deve essere di stimolo a conservare con impegno ancora maggiore quei valori di democrazia e libertà che appunto hanno distinto negli anni l’Italia fra i Paesi civilizzati. Un patrimonio che ancora oggi deve essere quotidianamente difeso e riaffermato.





Camilian Demetrescu, Il matrimonio tra Il Sole e la Luna, dalla serie di arazzi Hierofanie




Camilian Demetrescu, Abbraccio cosmico L’amor che move il sole e l’altre stelle,
risposta alla tragedia dell’11 settembre, arazzo, Vaticano, Sala Paolo VI, 2001




La Pieve dei Santi Giacomo e Filippo nel 2007. Foto di Emanuel Demetrescu


Niccolò Lucarelli
(n. 11, novembre 2024, anno XIV)


L'Accademia di Romania in Roma ha dedicato diversi eventi a questa personalità di spicco dell’esilio romeno in Italia, tra cui la mostra “Camilian Demetrescu – Genesi 1969-2012”, organizzata nel 2022 con il contributo del figlio Emanuel Demetrescu, noto archeologo e ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche.


NOTA

1. Camilian Demetrescu, Hierofanie, La forza del simbolo tra speranza e nichilismo. Sculture Arazzi Tempere 1969-2004, Vallecchi, Firenze 2005, p. 173.