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L'omicidio di Ioan Petru Culianu. Una rievocazione
21 maggio 1991: o zi neagră pentru cultura română – così iniziava Andrei Oișteanu il suo articolo sulla Revista 22 nel maggio del 2011, cioè vent’anni dopo – un giorno nero per la cultura romena, in cui Ioan Petru Culianu viene rinvenuto senza vita nella toilette della Swift Hall dell’Università di Chicago, dove, presso la Divinity School, insegnava Storia delle religioni e Storia del cristianesimo, assassinato, o giustiziato con uno solo colpo di pistola, una Beretta 25, alla nuca. Fin da subito questo particolare è stato sottolineato dai commentari per l’accuratezza dell’esecuzione, degna di un professionista assoldato – forse e da chi? – col preciso scopo di eliminarlo, e per la preparazione – si potrebbe arguire – assai meticolosa, meditata probabilmente da tempo – il luogo, il momento, il giorno: nulla insomma poteva essere lasciato al caso, perché solo un piano studiato ed eseguito in ogni dettaglio, con pedinamenti, una stretta sorveglianza e un costante controllo delle abitudini e degli spostamenti del celebre professore, allievo e collaboratore di Mircea Eliade, degna appunto dei metodi di un’azione della Securitate, poteva dare agli esecutori e ai mandanti la sicurezza di riferire ai “superiori” con soddisfazione il successo della missione e il compiaciuto plauso da parte dei suoi denigratori (inutile riportare qui le immonde parole apparse in un articolo delirante sul fogliaccio «România Mare» nel febbraio del 1992).
Dunque resta questa finora la pista ritenuta più plausibile (sostenuta da Ted Anton nel suo docu-libro Eros, Magic and the Murder of Professor Culianu, Northwestern University Press, 2006): un’azione punitiva pianificata, coordinata ed eseguita da elementi dell’apparentemente disciolta Securitate, negli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione romena del 1989, in combutta con ambienti dell’estrema destra romena legionaria e della Guardia di ferro impiantata negli Stati Uniti (magari, secondo alcuni, con l’appoggio del KGB, altra ossessione di Culianu – illuminante in questo senso, e non solo, l’ultima sua intervista rilasciata il 2 dicembre del 1990 a Gabriela Adameșteanu per la Revista 22 e che si può ora leggere in Păcatul împotriva spiritului, Polirom, 2005) perché pesantemente infastiditi dalle idee e opinioni di Culianu, che doveva apparire ai loro occhi, in quegli anni cruciali, come un elemento molto pericoloso e ingombrante. Culianu, ricordiamo infatti, aveva ricevuto gravi e reiterate minacce dopo la pubblicazione – oltre alla suddetta intervista che verosimilmente è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso – di suoi articoli per la rubrica ‘Scoptophilia’ in «Lumea Liberă Românească», rivista dell’esilio romeno a New York, molto duri nei confronti dell’evoluzione politica in senso neo-comunista immediatamente dopo la caduta di Ceaușescu (governi Iliescu & Co.), puntando il dito anche contro certo oscurantismo della Chiesa ortodossa romena, i pericolosi e illiberali ambienti coagulatosi attorno pubblicazioni farneticanti fascio-comuniste come «Vatra Românească» e il ruolo e l’influenza del KGB nel dirigere e determinare il destino politico degli ex-paesi satelliti sovietici. Inutile dirlo, la tesi non è suffragata per il momento da nessuna prova, le indagini della polizia americana e dell’FBI sono giunte a un punto morto, i tentativi di aprire uno spiraglio in Romania sono presto caduti uno a uno contro il muro di gomma delle stesse autorità romene e il suo assassinio continuerà a essere incredibilmente ancora avvolto nel mistero più fitto.
27 anni dopo quel «giorno nero» lo ricordiamo con questo racconto emblematico tratto da Arta fugii (Polirom, 2002), che raccoglie, come spiega Tereza Culianu-Petrescu nell’introduzione, gran parte della prosa del fratello adolescente e poi giovane studente universitario, scritta a Iași e Bucarest, fino alla partenza per l’esilio – la prima tappa sarà l’Italia – avvenuta il 4 luglio del 1972.
Addenda: la casa in cui è vissuto Culianu e la sua famiglia, in Str. Sfîntul Atanasei, 13, pur figurando nella lista dei monumenti di interesse storico di Iași – nota come «Casa Ianov/Casa Bogdan-Culianu», edificata verso la fine del XVIII sec. –, e quindi in quanto tale protetta dalla legge, è stata venduta dalla sorella nel 2004 e… demolita nel 2010 dal nuovo proprietario (dopo lunghi processi legali con i vicini che rivendicavano la proprietà di alcuni appezzamenti) per costruirne una totalmente nuova, spazzando via così per sempre la struttura originale. Il proprietario è stato sanzionato con una blanda multa di 700 lei e oggi è sede di un centro medico.
Da Arta fugii
Fuga II: «Faccia attenzione a non perdere questo documento…»
“- Eh quoi, mon enfant! À la veille
peut-être du salut… vous vouliez
donc nous quitter!”
(Villiers de L’Isle-Adam)
«Faccia attenzione a non perdere questo documento» mi disse il funzionario prima che uscissi, «perché non solo è l’unico che attesta che lei esiste, in che modo esiste, a che scopo, in virtù di quale Legge, ma abbiamo diritto a rilasciarne uno solo come questo, strettamente personale. Certo, le autorità non lo richiedono molto spesso e d’altronde solo funzionari di alto grado e con una delega speciale hanno diritto a chiederle di esibire questo documento. Può darsi che nessuno glielo chiederà mai, come è anche possibile che le sarà chiesto molto spesso, specie durante i periodi critici per il paese.» Qui il funzionario si schiarì la voce, sorseggiò un po’ d’acqua dal bicchiere e si asciugò il sudore. Aveva il viso rosso e gli occhi spaventati per la responsabilità dell’alta missione di essere l’elargitore e allo stesso tempo il depositario del segreto di questi documenti così importanti. Poi continuò:
«Supponiamo che abbia perso questo documento. Lei tornerà qui ma io non la riconoscerò più. Se non avessi un cuore d’oro» sorrise modestamente e con aria colpevole – io potrei avvertire le autorità superiori che ha smarrito l’unica prova della sua esistenza, del suo valore, del suo scopo e quindi è diventata una persona non solo senza identità, ma anche pericolosa per gli altri».
Con la voce vibrante di emozione, il funzionario continuò guardando fuori dalla finestra:
«Ma io rimango fedele a un principio di alta umanità e fingo di non conoscerla. E sa esattamente per quale motivo? Perché tutti quelli che hanno perso il documento vengono ricoverati in lazzaretti speciali, lasciati morire di fame e di sete. In modo strettamente confidenziale» sussurrò guardando a destra e a sinistra, «assolutamente in modo confidenziale: loro tirano a sorte ogni giorno e si mangiano tra loro crudi, perché nessuno gli dà il permesso di accendere il fuoco.» Poi riprese con voce tonante:
«Ma per fortuna, gentile signore, non sono molti quelli che perdono il documento…».
E di nuovo, a bassa voce, con prudenza:
«E se lo perde, può benissimo vivere senza, ma c’è la certezza che prima o poi sarà scoperto, ma ripeto, è altrettanto possibile che lei possa morire in pace senza che le sia mai chiesto questo documento sconvolgente, anche se – e qui di nuovo alzò il tono della voce, accelerandola – anche se, civicamente parlando, è ovviamente una vergogna che lei perda la propria personalità così come è attestata dai fori che non mi azzardo neppure a nominare e (piccola pausa, poi il funzionario sussurrò:) che, a dire il vero, neppure io conosco».
Il funzionario sorrise, si pulì la mano destra umida di sudore e me la porse:
«Si esce da questa porta» disse indicandomi una porticina bianca nella parete, alta e stretta, che non avevo notato fino a quel momento. «È per evitare la folla».
Tenevo in mano il documento e desideravo darci un’occhiata, per cui non mi accorsi che dal corridoio semioscuro comparve dal nulla una sagoma rossa dagli occhi luccicanti che mi strappò dalle mani il foglio e svanì prima ancora che mi rendessi conto di che cosa stesse accadendo. Sono partito subito sulle sue tracce e la intravidi mentre scendeva le scale illuminate a stupefacente velocità. Era una donna dalla carnagione scura, una zingara con indosso una sottana rossa. Le corsi dietro, ma si era già mischiata tra la folla in strada.
Pensai che dopo tutto la cosa migliore che potevo fare era, nonostante le raccomandazioni del funzionario, tornare all’ufficio al piano di sopra. Tanto più che la zingara si era impossessata del documento prima che la porticina della Camera si chiudesse, quindi era quasi sicuro che l’uomo avesse visto tutto quello che era accaduto. Oltre a ciò ero deciso a obbligarlo, in qualunque caso, di darmi un nuovo documento e per questo, tenendo conto della grande importanza di questo pezzo di carta e dell’infelice conseguenza di perderlo, mi sarei impuntato in tutti i modi.
Trovai a malapena la porticina in fondo al corridoio. Era chiusa a chiave, e dall’altra parte non si sentiva nulla – segno che il funzionario era ancora da solo. Le diedi una spallata e feci irruzione nell’ufficio, dove l’uomo stava pensieroso, in piedi vicino al tavolo, nella stessa posizione in cui mi aveva parlato.
«Chi è lei?» gridò arretrando. «Cosa vuole…?».
«Ascolti» dissi prendendolo per il collo e impedendogli di gridare, «Lei ha visto la zingara che mi ha strappato di mano quel documento estremamente importante che non avevo fatto in tempo neppure a leggere. Me ne deve dare uno nuovo. È inutile che lei finga di non conoscermi; mi ha spiegato così bene che cosa significa perdere il documento che non esisterei ad ammazzarla.» Gli strinsi il collo per fargli capire che non stavo scherzando. Cominciò a strabuzzare gli occhi. Emise un breve rantolo, poi fece un gesto con la mano: «Mi lasci!». Liberai la presa, spingendolo sulla sedia. Il funzionario si tastò la gola, si asciugò le lacrime che gli sgorgarono senza volerlo, si aggiustò la voce e disse le seguenti parole:
«È il primo che si comporta in questo modo assolutamente sciocco e ciò per mancanza di esperienza. Ma per sua fortuna e per mia sventura, è l’unica maniera che tutti avrebbero dovuto seguire se non ne avessero avuto paura. Ora stia attento» disse sorridendo «mi ha messo le mani addosso, stava quasi per ammazzarmi, quindi non avrò pietà di lei neanche un po’. Saprà tutto quello che voleva sapere. Quindi, presti attenzione a una specifica frase del discorso che le ho fatto poc’anzi: le ho detto che solo certi funzionari, di alta responsabilità e con poteri illimitati hanno diritto a chiederle di esibire questo documento. Tutti quelli che escono da qui sono vittime della stessa cosa, perché la zingara (hehe, oggi era una zingara, ma domani potrebbe essere un vecchietto cieco!), la zingara, dicevo, è in realtà un nostro dipendente, e pagato (sospirò) meglio di tutti, a causa dei rischi o di qualcosa di più grosso. Ma da oggi» disse chiaro e tondo «chiederò anch’io un aumento di stipendio. Quindi, dopo che la zingara (o Ens, così si chiama, dato che è un uomo in realtà, specializzato in travestimenti), gli strappa il documento e li fa scendere fin giù, e tutti i malcapitati pensano poi di ritornare su. Non però prima di ricordargli quello che gli ho raccontato del terribile potere che hanno i funzionari con il diritto a chiedere di esibire il documento. Il ragionamento è semplice: se un funzionario che ti chiede di esibire il documento ha tante possibilità, immagina quante ne avrà mai quello che rilascia i documenti! Per questo alla fine tutti ritornano qui, ma aspettano da buoni alla porta di fronte. A volte aspettano anche per anni, lo so perché anch’io esco da questa porticina che lei ha scardinato. E invano mi aspettano giù, perché prendo un ascensore speciale che conduce a un’uscita segreta, vicino alla discarica della città. E quando per avventura riescono a incontrarmi, è facile far finta di non conoscerli. Per far sì che noi funzionari non veniamo sottoposti a rischi maggiori, ci è vietato rilasciare più di un documento alla settimana. È per questa ragione che siamo in tantissimi, superando una cifra molto alla lontana da quella che lei può immaginare. E tuttavia, però, i rischi sono considerevoli, prova ne è quello che è successo oggi. Lei, senza pensarlo, ha agito come si deve. La verità è che se ci pensava magari una frazione di secondo prima di fare irruzione nell’ufficio, mi avrebbe aspettato per anni a tutti gli ingressi e avrebbe cercato di leccarmi i piedi. Mi avrebbe dato una bustarella e io l’avrei accettata. Questo escludendo il caso in cui un giorno come tutti gli altri, uno di quei funzionari inquietanti, che esistono in realtà e che ti permettono di ritenere come me quanto potere hanno in realtà, non le avrebbero chiesto il documento. Allora sarebbe stata rinchiuso in uno dei lazzaretti che io ho visto – e qui incominciò a far girare gli occhi di qua e di là cercando un punto dove fermarli – e che da lontano hanno un aspetto peggiore di quello che le ho descritto. Ma lei ha commesso l’enorme errore di farsi prendere dalla paura. E in quel momento le si è offuscata la mente.» Tossì, lanciando uno sputacchietto senza bersaglio.
«Bene» disse «Per sua informazione, nessuno al mondo possiede quel documento, perché davanti a ogni porta di funzionario è in attesa una copia dell’abile Ens, un maestro nei camuffamenti, che sfila il foglio da tra le mani. Gran parte di coloro cui è stato sottratto il documento, disperati per la lunga attesa alle nostre strane porte, da cui noi non entriamo mai, ma dietro alle quali però ci siamo sempre, va alla ricerca di tale Ens per il mondo. Ma per esempio, lei ci avrebbe trovato una zingara con una gonna rossa, altri un vecchio cieco, e loro esistono nella realtà, ma non ne hanno nessuna colpa. (Quando uscirà, si convincerà dell’enorme ingegnosità di Ens).
Se sospetta che noi abbiamo dei documenti, si sbaglia. Questa è anche la ragione per la quale abbiamo accettato, in gran parte dei casi, laddove il lavoro non era predestinato a noi, di diventare funzionari. Quelli che ti chiederanno mai di esibire il documento non hanno il minimo straccio di un documento. Ma chi oserebbe domandarlo a loro? Nessuna persona al mondo ha il documento, anche se tutti, chi prima chi dopo, conformemente al nostro programma, hanno espletato le formalità per il rilascio di questo documento. Bisogna procedere con molta cautela e con svariati metodi. Ci sono alcuni, per esempio, che piegano il documento e lo infilano subito nel portafogli. Li aspetta un trattamento corporale leggero all’uscita dall’edificio. Ma in generale Ens si occupa di tutti i casi».
Si fermò, visibilmente stanco per la lunga spiegazione. Poi continuò, guardando nel vuoto:
«Io sono più anziano di lei… Le dirò ancora una cosa: se per qualche evento straordinario questo meccanismo non dovesse funzionare come dovrebbe, se mai le dovessero chiedere il documento e ce l’avesse, gli organi repressivi lo dichiarerebbero subito falso. È assai possibile che non si sappia neppure che aspetto abbia un simile documento. In realtà è un foglio zeppo di cifre, scritte a macchina a casaccio. Io lo compilo scrivendoci sopra il suo nome e la sua occupazione, e lei firma.
E ora c’è dell’altro: deve sapere che il rischio di essere scoperti non è grande. Il marito sospetta della moglie, il figlio della madre, il fratello della sorella, ognuno sospetta l’altro. Perciò è raro che qualcuno confessi che il documento gli è stato rubato. In pratica non rischia nulla, perché le denunce, raccolte sempre da noi, non vengono accolte. Ma nessuno ha modo di saperlo, per cui, se si è persone forti, si resta muti come un pesce. Quando due persone si incontrano per confidarsi fatti tragici, risulta che il foglio è stato sottratto a entrambi in un modo o nell’altro; possono convincersi addirittura che molti hanno subìto simili incidenti. Da un lato si ribellerebbero alla legge, dall’altro hanno timore che si scopra che non posseggono quel documento. Nessuno privo del documento andrà mai a gridare pubblicamente: “Io non ce l’ho!” E se lo farà, tutti i presenti, che non ce l’hanno neppure loro, si affretterebbero a tagliare la corda con l’orrore nel cuore. Colui che griderebbe nella pubblica piazza crede di rischiare il ricovero in un lazzaretto. In realtà può accadere al massimo di dover passare una notte in prigione per disturbo della quiete pubblica. Dappertutto c’è un’insicurezza eterna; i poliziotti non lo denuncerebbero per niente al mondo per timore che gli venga chiesto di esibire il documento. Il problema del documento è un tabù e nessuno affronta questo problema senza orrore e raccapriccio.
Mi domanderà perché. Non lo so. C’è un controllo sul mondo. C’è un gigantesco apparato che controlla il mondo. Ma neppure io, per esempio, che faccio parte di questo apparato, posso sperare che fino al giorno della mia morte uno sconosciuto non mi chiederà di esibire il documento. Anche se – disse sorridendo – è poco probabile che possa accadere».
«Non voglio sapere più niente – gli dissi –. Voglio un documento per uscire da qui».
«Glielo porterà via Ens prima che lei lo possa tenere in mano, anche se l’ho avvisata».
«Sì, ma non voglio che giù mi venga inflitto il trattamento leggero di cui mi parlava».
Allora il funzionario si alzò in piedi, alto e grosso, e puntò il dito con aria minacciosa:
«È più stupido di quel che credevo; ma per fortuna so cosa bisogna fare. Dio mi ha illuminato. Ascolti: se ci rifletteva un poco, capiva che Ens non si fa vivo da queste parti da una settimana. D’altro canto, se quelli giù non vedono Ens uscire di corsa prima di una persona non-ufficiale, loro applicheranno in modo automatico quel trattamento leggero alla persona di turno. Inoltre io ho solo esattamente 52 documenti all’anno, per rilasciarne uno alla settimana. E se le dessi il secondo, dovrei falsificarne uno, il che è fastidioso. Lei si troverebbe in strada e non posso essere sicuro che lei non tornerà da quelli giù, che sarebbero impreparati quanto me a riceverti di nuovo. E a loro lei potrebbe svelare tutto quello che le ho detto. E allora esiste un’unica soluzione: lei uscirà sempre dalla porta da cui è entrato».
«Ma voglio un documento» gli dissi.
«Va bene» disse sospirando. Tirò fuori un nuovo documento e lo compilò. Poi si alzò in piedi, fissò lo sguardo su un punto nella parete sporca e mi porse la mano.
«Mi dispiace» gli dissi. «Ma mentre mi diceva tutte queste cose, ho pensato che potrebbe far parte del vostro arsenale una storia così ben oliata che mi induce a rinunciare al documento. Convinto che nessuno lo possiede e che in realtà è un foglio privo di qualsiasi valore, me ne sarei andato terrorizzato per mia e sua sorte, ma nessuno mi può garantire che in realtà lei o lui non abbiate questo documento».
«Oh, e invece sì» disse il funzionario, «io ne ho sottratto un sacco di validi distribuendone altri falsi, sapendo che tutti finiscono alla fine sempre nel canale di fronte all’edificio. Ma mi creda, i veri identificatori non sanno che aspetto abbia questo documento. Ora se ne vada», balbettò.
E assunse la posizione ufficiale di cui mi aveva parlato non molto tempo prima: «Faccia attenzione a non perdere questo documento» sibilò fra i denti lasciandosi cadere sulla sedia.
A cura e traduzione di Mauro Barindi
(maggio 2018, anno VIII)
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