Matei Visniec e la doppia opzione linguistica nella sua opera letteraria È uscito per Voland edizioni di Roma Il venditore di incipit per romanzi, il nuovo romanzo – il secondo dopo Sindrome da panico nella Città dei Lumi (uscito sempre per Voland nel 2021) – dello scrittore e drammaturgo franco-romeno Matei Vișniec (n. 1956). Postfazione Una folle pacatezza Prima che un traduttore sono, innanzitutto, un lettore, e da lettore la scrittura di Matei Visniec mi ha sempre affascinato e catturato fin dalle prime righe – come nel precedente Sindrome da panico nella Città dei Lumi pubblicato da Voland nel 2021, e ora in Il venditore di incipit per romanzi –, per quel suo modo leggero e asciutto, retto da un equilibrio interno che si ramifica in un intrico (labirintico!) di direzioni, echi e richiami interni, nel raccontare storie, intessute in una trama che sfiora a volte il magico, l’onirico o il surreale avvolti in una concreta plausibilità. Poi, reimmergendomi nel fluire della sua sintassi, ritrovo quel nitore e quel senso quasi di pacatezza – apparente! – che avevo assaporato da lettore e che, questa volta nella veste di traduttore, riassaporo, rivivo sillaba dopo sillaba, a loro stretto contatto, per trasporla in italiano. Ma la sensazione è sempre di (ri)cominciare un’avventura, risucchiato nel turbinoso vortice di situazioni, personaggi, immagini, idee dalla forza travolgente, che lasciano quasi senza respiro o il tempo per assorbirne il ritmo pressante. In questo romanzo si gira una pagina, o si termina un paragrafo, e ci si trova nel testo di una poesia, e poi segue un altro capitolo, cambiano gli scenari, gli ambienti – si riemerge a un certo punto in un surreale “Caffè dei Timidi”, oppure si viene fatti accomodare nell’atmosfera di caffè storici (il Florian e il Quadri di Venezia, l’Hawelka di Vienna o i celebri locali parigini, immancabili anche qui come in Sindrome) – spuntano nuovi personaggi, oppure gli stessi personaggi si esibiscono in altre capriole sensazionali, in tripli salti mortali, e così via, trascinando il lettore con gioia, divertimento e stupore lungo più di trecento pagine. Mi spingerei ad affermare che, come traduttore, ho avuto, per così dire, il compito facile, perché, traducendo Matei Visniec, non devo inseguire la sua scrittura ma è la sua scrittura che insegue me, incalzandomi, battendomi qui e là su una spalla per avvertirmi: “Attenzione, fin qui ho proceduto in questo modo, non ti adagiare, non lasciarti illudere, tra poco o più in là avrai altre sorprese…” In questo modo la tensione è sempre viva, tenuta accesa, e il tradurre non si arena, non ha momenti di stanca, ma è pungolato dall’avanzare scoppiettante del romanzo. E questa ‘tensione’ mi aiuta ad affrontare il testo da tradurre con la pregnanza e il calibro giusti. A ciò va aggiunto che la scrittura varia all’interno del romanzo dal punto di vista stilistico; porto qui come esempio le missive tra Guy Courtois, il ‘mefistofelico’ e gentile elargitore di gloria letteraria tramite fulminanti incipit di romanzo, e i suoi vari interlocutori: Pregiatissimo signore, Un altro esempio sono i dialoghi che intercorrono tra Guță, primo autore di un romanzo scritto post mortem, e la voce del programma Easy Teller, un fantasmagorico congegno per scrivere romanzi “combinatori” che funziona tramite Patch, dei sensori da applicare sulla pelle come cerotti: «Buongiorno. Nel caso degli scambi epistolari, come si può notare, il tono si fa suadente, confidenziale, ammiccante, non è secco e ripetitivo come nella lingua di X, il personaggio ‘incognita’ protagonista della storia distopica, sorta di mini-romanzo nel romanzo, che si sveglia un mattino nella sua città completamente spopolata, dove il tempo si è fermato alle 6 e 37, sullo sfondo di uno scenario dai toni apocalittici: «X passa con indifferenza accanto alle centinaia di automobili abbandonate, evitando di calpestare le borse, gli ombrelli e i cappelli, rifiutandosi di guardare le vetrine, cercando di non vedere che tutti gli orologi pubblici sono fermi sulle 6 e 37 minuti». Nel secondo caso, la lingua della macchina che guida l’utente nel comporre il proprio romanzo è schematica o artificiosamente naturale e informale, proprio come in un programma da computer. Di fronte a questa panoplia di voci e toni, di improvvisi sbalzi stilistici e linguistici, il traduttore s’inoltra estasiato, perché gode terrorizzato quando si trova in situazioni simili… «Non è facile avere un fratello maggiore considerato da tutti un genio. Immaginatevi questa situazione: non fai in tempo ad aprire gli occhi dopo essere stato partorito e la prima frase assorbita dal tuo cervello contiene la parola Victor: “Vedrai, assomiglierà a Victor!”» Alla Bucarest del regime repressivo di Ceaușescu, quella del periodo dell’università, mitica e sprofondata nel tempo, nei ricordi, nei sogni, sotto il, si contrappone la Bucarest postcomunista, vista attraverso la decadente ex sede dell’Unione degli scrittori, Casa Monteoru, in viale della Vittoria, con il suo ristorante, spazio invalicabile, “la cittadella da espugnare”, dove un tempo si riuniva l’élite letteraria romena, ed era un privilegio impagabile per il giovane Matei Visniec potervi accedere come a un luogo sacro: «ll ristorante si trovava al pianoterra di un antico palazzo signorile su una delle vie mitiche della capitale romena, viale della Vittoria. Per Bucarest, viale della Vittoria è come Rue de Rivoli per Parigi, ossia un perno storico della città. Da qualche parte, al numero 115, credo, si trovava questo meraviglioso piccolo palazzo avvolto da fragranze aristocratiche. Per gli informati, si chiamava Casa Monteoru e aveva di fronte un bel cancello in ferro battuto. Casa Monteoru ospitava inoltre, nel periodo in cui io cominciavo la mia vita da bohémien a Bucarest, la sede dell’Unione degli Scrittori […]». Altro luogo ricorrente è la città natale dell’autore, Rădăuți, in Moldavia, nel nord della Romania; in Sindrome è più volte evocata scritta per intero, mentre qui appare, timida, in due occasioni, in sogno, con la sola iniziale: «In realtà, la donna si trovava in un treno che stava proprio entrando nella stazione della mia città natale, R, nel Nord della Romania. Questi sono alcuni ma significativi spunti che mi servono per dire quanto sia infinitamente grato a Matei Vișniec per avermi dato la doppia opportunità, da lettore e da traduttore, di godere della sua scrittura fuori e dentro di essa, misurandomi con essa, saltellando, incespicando, sguazzando divertito nello scalpicciante magma di parole trasognate ma lucide, inverosimili ma probabili, ironiche ma anche profonde.
A dicembre, Matei Vișniec sta facendo in Italia una tournée di presentazione del nuovo volume, promossa dall'Istituto Culturale Romeno (a Torino, Milano, Rovereto, Padova e Roma), nonché per la première dello spettacolo „Lo spettatore condannato a morte”, messo in scena dalla compagnia A.M.A. Factory al Teatro San Pietro in Vincoli di Torino, nella regia di Beppe Rosso.
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