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Il teatro di Maria Stefanache e la «Memoria passata del personaggio»
Di Maria Stefanache, regista teatrale e documentarista che vive e lavora da venti anni a Milano, dove ha fondato il Centro di Produzioni Teatrali, sono usciti nel 2011 due libri, per i tipi dell’Editore Uroboros: Memoria passata del personaggio. Un metodo innovativo per Teatro, Aziende e Università e La parola alla regia. Il primo è dedicato al progetto di diffusione in Europa del suo nuovo metodo teatrale, «Memoria passata del personaggio», che aiuta i registi nel lavoro con gli attori nella costruzione del personaggio in scena, progetto iniziato nel 2004. Attualmente il metodo è utilizzato in Teatro, nel Mondo Aziendale e Universitario. Nel secondo libro si racconta il percorso evolutivo, lavorativo e creativo della regista fino ad arrivare al suo metodo. Pubblichiamo alcune riflessioni della regista.
Memoria passata del personaggio
Avverto l’urgenza di un cambiamento nel teatro e, più specificamente, nel campo della regia teatrale ed è per questo che spero che questo saggio possa essere di aiuto alle generazioni dei nuovi giovani registi. Saranno solo loro a poter cambiare il teatro di domani, visto che quello contemporaneo sembra quasi immobile, privo di una qualsiasi evoluzione nei metodi di lavoro, forse perché ormai adagiatosi sui risultati del primo metodo Stanislavskij, così diffusamente sperimentato. Eppure quello stesso sistema era stato rinnegato da Stanislavskij stesso e con il suo uso della reviviscenza, della memoria affettiva e dell’immaginazione ha danneggiato intere generazioni di attori. Sono pochi i professionisti del mestiere che si fermano a riflettere sulla situazione attuale, pochi sembrano desiderare un metodo nuovo e ciò, immagino, per paura dell’innovazione e, non ultimo, per mancanza di tempo. Sotto molti punti di vista è certamente più comodo servirsi di un metodo già esistente, quel sistema Stanislavskij vecchio di cent’anni, appunto. Grazie a questo immobilismo chiunque ormai sembra potersi cimentare in teatro, tutti sembrano voler recitare sul palcoscenico o davanti alla telecamera. Purtroppo questo ha portato ad avere sale ormai invase spesso solo dalla noia e spettacoli in cartellone molte volte al di sotto della mediocrità. Noi teatranti siamo considerati i «barboni» della cultura, perché siamo in tanti e generalmente senza denaro. Alla stessa forza con cui portiamo avanti faticosamente la nostra passione, dovremmo attingere per trovare il coraggio di dire «basta» a questo stato delle cose. Oggi il teatro manca di vere guide e di veri Maestri ed è per questa ragione che considero mio dovere far conoscere un metodo innovativo per il teatro e, in primis, per i registi. Il metodo, che ho definito «memoria passata del personaggio», è frutto di vent’anni di ricerca e di sperimentazione pratica fatte qui in Italia, poi testate e consolidate anche all’estero. Il metodo può diventare un punto di partenza per i registi che lavorano con gli attori alla costruzione dei personaggi. Il mestiere di regista è relativamente nuovo, ha appena poco più di settant’anni. La regia teatrale, infatti, nasce in Italia negli anni Trenta e rimane a lungo un settore poco esplorato. Per questa ragione i libri sull’argomento sono pochi e le scuole inesistenti. Non esiste in nessuna parte nel mondo una scuola unicamente dedicata alla regia. Tutta la formazione teatrale è destinata all’attore e al suo mestiere, vecchio quanto il teatro greco antico (più di duemila anni). Partendo da questa riflessione vent’anni fa ho iniziato a concentrare la mia attenzione sulla regia e sui registi. Mi sono lasciata guidare da una forza creativa che mi diceva cosa scrivere, come lavorare con gli attori e come collaborare con altri registi. Ricordo che vent’anni fa, quando parlavo di riforma, d’innovazione, la gente di teatro mi guardava con un sorriso di sufficienza. Eppure mai nessuno è ancora riuscito a fermarmi.
Introduzione al metodo
Non si assomigliano per niente le emozioni reali con quelle rese sul palco con l’aiuto della reviviscenza, proprio perché sono soltanto l’imitazione di emozioni vissute nel passato. Il metodo dell’immaginazione e della reviviscenza consiste, infatti, nel ricordarsi un’emozione vissuta in prima persona nel passato e nel riuscire poi a riviverla nel presente e sulla scena. Questo modo di fare teatro può essere molto dannoso per la psiche degli attori e, a lungo andare, la stessa emozione riportata al personaggio non può rigenerarsi a lungo e, dunque, si trasforma in una forma di meccanicità. Darò un esempio concreto, frutto della mia esperienza diretta come interprete del personaggio di Medea: per una scena di pianto di questo personaggio così forte utilizzavo il ricordo della morte di mio padre per provocarmi le lacrime. La scena mi riuscì molto bene per alcune serate ma in seguito non ero più in grado di piangere in quella precisa scena. Nel 2008, in occasione di un incontro di presentazione con una famosa attrice, le chiesi a cosa avesse pensato per interpretare una scena di pianto nel film La vita è bella di Roberto Benigni. Mi rispose di aver rievocato la morte di sua madre. L’attore-personaggio, dunque, che deve commuoversi in corrispondenza di una certa battuta, lo potrà fare per un po’ di giorni, utilizzando la reviviscenza, ma dopo un mese di spettacolo non riuscirà più a far uscire nemmeno una lacrima e tutto si trasformerà in forzatura e poi in meccanicità.
Stanislavskij stesso lo aveva capito, grazie alla sua esperienza personale sulle scene, ma purtroppo, troppo tardi, quando ormai il suo famoso metodo era già consolidato in Russia e negli Stati Uniti. Dico di più, quando Stanislavskij sperimentò sulla propria pelle i danni che reviviscenza e immaginazione potevano causare (ebbe cinque infarti!), decise di ritirarsi dalle scene e di non recitare mai più. La scoperta lo spinse anche a cercare un’alternativa e a concentrarsi poi sulle «azioni fisiche». Il metodo di Stanislavskij trova, al contrario, perfetto utilizzo nel cinema, anzi, è proprio grazie a questo modello recitativo sulla memoria affettiva, che il cinema si è evoluto e ha conosciuto la sua grande fortuna a partire dagli anni ’50. Davanti alla cinepresa, infatti, l’attore può usare, per i quindici o trenta minuti necessari a girare la scena, la reviviscenza evocando e richiamando un sentimento o uno stato d’animo. Egli può piangere, può urlare, può fare una scena di pazzia, può ridere a crepapelle poi, non appena la macchina da presa ha immortalato il momento, ha subito il tempo e il modo di riprendersi dallo sforzo fatto. In teatro ciò è impossibile perché l’attore rimane in scena, davanti al pubblico, per due o tre ore di seguito, e mancano i tempi necessari al recupero dopo le scene più forti.
Un metodo innovativo e rivoluzionario per il teatro contemporaneo
Il mio lavoro di regista è stato sempre focalizzato sull’attore: ho sempre pensato a come poter aiutare e rinforzare l’attore nel lungo processo di studio, lavoro e ricerca necessario alla costruzione del personaggio che gli è stato assegnato. In particolar modo ero interessata a come evitare che l’attore fosse costretto a identificarsi con la vita del suo personaggio e a mischiare il suo privato con quello portato in scena. Sono più di diciassette anni che mi dedico alla ricerca-pratica di nuovi modi di lavoro che aiutino gli attori. Dopo che il metodo è stato provato e messo già in pratica, ho capito che la costruzione della memoria passata del personaggio avrebbe potuto aiutare più i registi che gli attori, in quanto questi ultimi lavorano sempre sotto la guida di un regista. Con questo nuovo procedimento di lavoro viene eliminata la necessità di ricorrere alla reviviscenza e parzialmente all’immaginazione, i due elementi fondamentali, alla base del «sistema Stanislavskij». Il mio metodo fa, invece, una chiara scissione, distingue nettamente tra la vita personale dell’attore e quella del personaggio. Con questa metodologia la vita privata dell’attore non viene mai toccata, né messa in discussione, né evocata o raccontata. All’attore non è mai richiesto di rispondere del suo privato, non gli viene mai imposto di mettersi nei panni del personaggio, né di doversi ricordare un momento della sua esistenza che somigli a una scena dello spettacolo. Con il metodo che propongo, la sfera personale dell’attore viene lasciata fuori dalla hall del teatro e l’attore se la riprende all’uscita dalle prove, quando torna a casa sua, dalla sua vera famiglia. Questo per proteggere l’attore e la sua vita intima, proprio perché sua. Tutto quello che si crea, si costruisce, ai fini dello spettacolo succede esclusivamente all’interno del teatro e nella sala prove.
L'esperienza umana e professionale in Italia
Sono arrivata in Italia l’1 dicembre del 1992, tre anni dopo la caduta del regime comunista nel mio paese, la Romania. Prima del 1989 mi era stato impossibile viaggiare fuori dai confini romeni: si viveva ancora come in una gabbia e all’estero non si poteva andare facilmente. In Italia arrivai per cercare Jerzy Grotowski che in quel periodo si trovava a Pontedera, in Toscana. Nel suo workcenter però non accettavano giovani trentenni come me (troppo vecchi!) e allora bussai alle porte dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica di Roma. E fu lì che mi aprirono una porticina. Da allora in poi la mia vita in Italia è sempre stata incentrata sul teatro: i miei maestri sono stati italiani, in Italia ho fatto ricerca, mi sono inventata un posto di lavoro a Milano, ecc. Il mio primo impatto con questo paese fu davvero bello: lo sognavo da tempo, come molti altri d’altronde, dato che l’Italia è il miraggio di tutti gli artisti dell’Est Europa. Appena arrivata a Roma ed entrata come libera studentessa straniera alla Silvio D’Amico, ho dovuto affrontare la faticosa realtà quotidiana degli extracomunitari e poi quella degli artisti, degli studenti, e poi ancora quella dei teatranti. Non mi dilungherò in questa sede su quel periodo della mia esperienza italiana ma, credetemi, è stata molto dura e ancora adesso, dopo tutti questi anni, mi ritrovo a meravigliarmi di me stessa: ma come ho fatto? Quale miracolo mi ha mantenuto così ottimista e positiva nell’andare sempre avanti sulla mia Via? Come ho potuto in tutti questi anni vivere solamente di teatro? Beh…la mia risposta a queste domande è che i miracoli nascono nel mistero e lì rimangono destinati a rimanere, avvolti nel mistero. La certezza, che ritengo mi abbia fatto superare tutto, è stata la fiducia in me stessa e nelle mie potenzialità nel lavoro teatrale; poi è stata la gente che ho incontrato in teatro a darmi ulteriore speranza, e non ultimi gli amici, tesori che ho rinsaldato in Italia.
Fin dall’inizio il mio unico progetto di vita era il teatro, non ho mai pensato ad altro, ragion per cui ho avuto non pochi dispiaceri nella vita privata. In Questura, a Roma come a Milano, venivo sempre incoraggiata a sposare un italiano, così sarebbero cessati tutti i miei problemi di documenti e permesso di soggiorno; io rispondevo immancabilmente con un sorriso, dicendo che ero già sposata al teatro. Le questure sono un argomento triste della mia esperienza italiana, perché è difficile scordare anni passati in fila a piangere, umiliata e impotente. A furia di sentirmi ripetere che mi dovevo sposare un italiano, così mi sarei sistemata, non mi sono mai sposata: la mia è stata una scelta di vita onesta, tra teatro e famiglia. Non avrei mai potuto fare le cose a metà e tutta la mia energia, a quell’epoca, era concentrata nel mio lavoro di regista e nella ricerca. Mi sono sradicata dal mio paese volontariamente e ho messo nuove radici in Italia. Amo questo paese, pur non avendo mai dimenticato le mie origini romene che amo profondamente. E sono proprio queste radici che, intrecciandosi armoniosamente con quelle italiane, hanno dato forma a una grande radice madre che mi sta rivelando la donna che sono oggi.
Maria Stefanache
(n. 2, febbraio 2013, anno III)
Nota bio-bibliografica
Nata nel 1962 a Iasi, Romania. Diplomata in regia teatrale. Vive e lavora in Italia dal 1992. Ha studiato regia con Andrea Camilleri all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, dal 1992-94. Al Piccolo Teatro di Milano è stata assistente di regia alle ultime opere teatrali messe in scena da Giorgio Strehler, dal 1995 al 1997. Fonda e gestisce a Milano, dal 1995 al 2003, la Scuola Europea di Teatro e Regia. Nel gennaio 2000 è selezionata dall’Unione dei Teatri d’Europa, tra i giovani registi europei per il «corso pratico di aggiornamento sulla regia» con il regista Lev Dodin al Maly Drama Teatr di San Pietroburgo. Nel luglio 2000 è selezionata alla Biennale di Teatro di Venezia per l’Atelier di regia condotto da Eimuntas Nekrosius, regista lituano. Dal 1993 fino ad oggi mette in scena spettacoli su testi di: Shakespeare, Cechov, Esopo, Euripide, Sofocle, Aristofane, Molière, Seneca e Goldoni. A ottobre 2003 fa nascere a Milano il Centro Produzioni Teatrali e Documentari Video. Dal 2004 inizia il progetto di diffusione in Europa del suo nuovo metodo teatrale: «Memoria passata del personaggio», che aiuta i registi nel lavoro con gli attori nella costruzione del personaggio in scena. Attualmente il metodo è utilizzato in Teatro, nel Mondo Aziendale e Universitario. A novembre 2011 è uscito il libro: Memoria passata del personaggio, un metodo innovativo per il Teatro, Aziende e Università, Edizioni Uroboros, Milano 2011.
A completare il libro del metodo, è uscito anche il libro La Parola alla regia, Edizioni Uroboros, Milano 2011, dove si racconta il percorso evolutivo, lavorativo e creativo della regista fino ad arrivare al suo metodo.
Dal 2006 tiene dei corsi per managers nelle aziende milanesi e multinazionale all’estero, tra le quali: BEA Spa (Milano), ING (filiale romena), Global Maersk (Costanza, Romania), Raiffeisen Bank , Sortilemn Spa (Austria).
Dal 2011 all’Università Carlo Cattaneo di Varese (LIUC) tiene corsi di «Gestire la comunicazione», per studenti delle facoltà di Economia aziendale Ingegneria gestionale e Giurisprudenza. Nel suo studio-spazio di Milano opera come Coach, Personal trainer per imprenditori, avvocati, venditori, PR, registi, conferenzieri e periodicamente tiene atelier tecniche teatrali di comunicazione verbale e non verbale.
Attualmente è impegnata come docente collaboratore all’Università LIUC, dove tiene il corso per studenti «Gestire la comunicazione».
Nel campo documentaristico quest'anno prepara la realizzazione del film documentario La Nostra Milano, milanesi e i nuovi milanesi in collaborazione con la scuola civica di cinema, tv e nuovi media di Milano.
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