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Il Cenacolo di Leonardo da Vinci, una curiosa storia d’archivio
Il dipinto di Leonardo da Vinci non ha bisogno di alcuna presentazione: patrimonio mondiale dell’umanità, il capolavoro leonardesco campeggia nell’antico refettorio del Convento di Santa Maria delle Grazie a Milano e richiama ogni anno milioni di visitatori.
Con questa raffigurazione dell’ultima Cena, Leonardo aveva voluto sperimentare una nuova tecnica: invece di utilizzare quella «a fresco» che presupponeva una rapidità di esecuzione che non gli era propria, aveva dipinto con una tecnica mista, a secco, su due strati di preparazione di intonaco. I risultati ben presto si erano rivelati insoddisfacenti e l’opera, terminata nel 1498, già nel corso del 1500, come riportano visitatori illustri, presentava gravi problemi di conservazione.
A più riprese, nel corso del tempo furono eseguiti interventi per conservare il capolavoro con l’utilizzo, anche improprio, di colle e stucchi e con ridipinture. Nei primi anni del ’900 e precisamente dal 1906 al 1908 il celebre dipinto di Leonardo da Vinci fu restaurato ad opera di Luigi Cavenaghi (1844-1918).
Lo stato di conservazione dell’opera alla fine del secolo XIX destava profonde preoccupazioni per la sua conservazione, il dipinto rivelava un’urgente necessità di un adeguato intervento di restauro e il Ministero per la Pubblica Istruzione e, in particolare, la Direzione Antichità e Belle Arti, da cui dipendeva la tutela del capolavoro, nominò una Commissione «per studiare e proporre i provvedimenti necessari alla conservazione del Cenacolo».
L’opera di restauro fu affidata a Luigi Cavenaghi che con opportune indagini mise a fuoco il grave problema della mancata coesione tra la pellicola pittorica e il supporto murario, causata anche dall’umidità ambientale. Il lavoro di restauro consistette essenzialmente in operazioni di consolidamento e pulitura, mentre furono estremamente limitati gli interventi di reintegrazione. Cavenaghi compilò un dettagliato resoconto del suo lavoro in Relazione sul restauro del Cenacolo Vinciano (pubblicato in L. Beltrami Il Cenacolo di Leonardo, Milano 1908).
Luigi Cavenaghi eseguì il restauro senza compenso, come omaggio a Leonardo e per questo suo intervento che segnò per lui il culmine della carriera e gli valse la definizione di «Principe dei restauratori», ottenne riconoscimenti internazionali e importanti cariche. In suo onore e del suo lavoro al Cenacolo, fu coniata una medaglia, in molteplici esemplari in argento e in bronzo, opera dello scultore Bassano Danielli, di cui un esemplare in oro gli fu offerto in una cerimonia solenne dal senatore Luca Beltrami il primo di luglio 1910.
La Commissione ministeriale che affidò i lavori di restauro al Cavenaghi fece eseguire una vasta campagna di documentazione fotografica, che prevedeva, a dimensione reale, riprese fotografiche prima e dopo il restauro, di cui fu incaricato Achille Ferrario, noto fotografo milanese*.
Achille Ferrario prestò la sua opera professionale per l’Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti della Lombardia, come allora era denominato la Soprintendenza, sia quando Direttore era l’arch. Luca Beltrami, figura di grande prestigio nel panorama culturale milanese e italiano del tempo, sia quando gli successe nella carica l’arch. Gaetano Moretti.
Le riprese fotografiche effettuate al Cenacolo dal Ferrario richiesero l’utilizzo di una grande macchina fotografica a banco ottico per poter realizzare delle negative su vetro di cm 50X60.
Le lastre su vetro erano le negative fotografiche utilizzate nel corso del secolo XIX fino alla metà del secolo seguente e come riporta il Vocabolario della lingua italiana del 1891: Negativa, chiamano i fotografi, quella lastra (di vetro) preparata, su cui l’azione della luce si è già prodotta, con le successive manipolazioni resa inalterabile, nella quale alle parti luminose della figura corrispondono parti oscure e viceversa.
Le ventinove lastre fotografiche realizzate in occasione del restauro citato sono un materiale molto prezioso sia per il soggetto raffigurato a dimensione reale, sia per le operazioni documentate, sia per l’eccezionale misura, sia per l’importanza del fotografo che le ha realizzate.
La fattura presentata dallo studio fotografico Ferrario per il pagamento di questo servizio e alcuni documenti che si conservano nell’archivio della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano raccontano una storia molto interessante e curiosa e pongono anche alcune domande. Questa fattura riporta l’intestazione «Studio fotografico Ferrario Achille» e non la conosciuta e molto più ricercata intitolazione: «Stabilimento fotografico Achille Ferrario» che sempre compare nelle note antecedenti il 1906. La nota spese in argomento è datata 28 giugno 1909 e in questa data sembra che lo studio fotografico sia passato al figlio Eugenio che quietanza la nota spese.
È possibile ipotizzare che Eugenio sia nel 1909 ormai subentrato nell’attività paterna e che ancora riesca a conservare il rapporto di fiducia con la Soprintendenza, che manterrà almeno fino agli anni precedenti la prima guerra mondiale, quando nessun incarico sembra più essergli assegnato e il suo nome scompare dai rendiconti di spese per fotografie.
Le riprese fotografiche sono state fatte da Achille Ferrario o quelle a restauro concluso, dopo il 1908, sono opera del figlio Eugenio?
La fattura indica venticinque lastre fotografiche, ma le riprese dovevano essere almeno 26 (i 13 personaggi prima e dopo il restauro) più le riprese delle tre lunette soprastanti il dipinto. Oggi l’archivio della Soprintendenza ne conserva ventinove e i documenti di alcuni anni posteriori spiegano il perché e ci raccontano in parte la vicenda umana di Eugenio Ferrario.
In una cartella di corrispondenza del Soprintendente Augusto Brusconi risalente agli anni 1918/1922, si legge che alcune delle grandi lastre eseguite dallo studio Ferrario al Cenacolo sono ancora in possesso di Eugenio Ferrario che, ceduto lo studio, gravemente malato e in gravi ristrettezze economiche, tramite un intermediario offre in vendita alla Soprintendenza diverse lastre fotografiche del Cenacolo Vinciano, tra cui le tre delle lunette, al prezzo di lire 250.
La transazione viene eseguita e alcuni mesi dopo Eugenio, che si è trasferito a Trofarello, un paese in provincia di Torino, dove esercita la professione di fotografo, ma con poca fortuna, si rivolge direttamente al Soprintendente per offrirgli in vendita altre tre grandi lastre fotografiche del Cenacolo e in particolare una negativa di cm 55X100 e due di cm 50X60 per il prezzo di 180 lire.
Il Soprintendente Brusconi si trova in grande imbarazzo perché, come scrive nella sua lettera: con tutta la buona volontà a venire in aiuto ad un povero disgraziato mi è impossibile aumentare la cifra offerta (100 lire). Perché già imbarazzato a giustificare una spesa di negative, che già vennero da noi pagate.
Di questa vicenda i documenti non raccontano la conclusione, possiamo ipotizzare che l’accordo non fu raggiunto completamente, forse solo una lastra fu acquisita dalla Soprintendenza, a completare le riprese degli apostoli e del Cristo nell’Ultima Cena dipinta da Leonardo. Una conferma di questo la si può trovare nelle lastre conservate dalla Soprintendenza milanese di dimensione cm 50X60, che raffigurano i volti dei personaggi, prima e dopo il restauro, sono ventisei non venticinque come indicato nella fattura, oltre le tre delle lunette acquistate successivamente, ma non si trova traccia di altre grandi lastre di vetro o, come indica Eugenio Ferrario nella sua lettera, di cristallo, soprattutto quella della dimensione di un metro per cinquantacinque centimetri.
Le lastre del Cenacolo sono oggi conservate nell’archivio fotografico della Soprintendenza, ma a causa della seconda guerra mondiale negli anni seguenti al conflitto, hanno vissuto un temporaneo oblio.
Negli anni dopo la guerra si era persa memoria di questo prezioso materiale; dopo il bombardamento aereo avvenuto a Milano nell’agosto del 1943, colpito gravemente il Palazzo Reale, la Soprintendenza che aveva sede nei locali a piano terra, sotto il Salone delle Cariatidi, deve, a causa degli incendi scoppiati, ricoverare i propri preziosi materiali in gran fretta, in ripari sicuri. Di alcuni spostamenti avvenuti in una situazione di estremo pericolo e con mezzi di fortuna se ne perse l’esatta collocazione. Solo nel 1952 le lastre fotografiche sono state ritrovate in un magazzino del palazzo, ricollocate in archivio e furono eseguite le ristampe.
Le stampe che la Soprintendenza oggi conserva sono infatti positivi degli anni ’50, mentre delle stampe originali dei primi anni del ’900 si conservano solo otto immagini degli apostoli e delle lunette al Gabinetto Fotografico Nazionale a Roma.
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Medaglia al restauratore Luigi Cavenaghi (1908), coniata in occasione del restauro al Cenacolo di Leonardo da Vinci |
Medaglia al restauratore Luigi Cavenaghi (1908), coniata in occasione del restauro al Cenacolo di Leonardo da Vinci |
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Pianta degli Uffici della Soprintendenza a Palazzo Reale a Milano prima della II guerra mondiale (1937) |
L'Archivio prima della II guerra mondiale (1937) |
Ivana Novani
(n. 9, settembre 2014, anno IV)
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Il fotografo Achille Ferrario (1848-1914) fu premiato all'Esposizione Fotografica Internazionale di Firenze del 1887. Il suo studio milanese fu particolarmente attivo nel campo della fotografia di opere d'arte e di architettura e tra il 1903 e il 1908 eseguì importanti campagne fotografiche al Cenacolo di Leonardo da Vinci. Achille Ferrario fu affiancato dal figlio Eugenio nell'attività di fotografo fin dagli ultimi anni del secolo XIX. Eugenio, nei primi anni del '900, subentrò poi nella gestione dello stabilimento fotografico denominato «Achille Ferrario» che aveva la sua sede a Milano in corso Venezia 69. Achille Ferrario morì a Milano il 14 febbraio del 1914.
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