La disonestà è un fatto di cultura

Plagio. Ministri, rettori, professori, ricercatori. Italia, Romania (e qui ci sono anche casi eclatanti, poiché uno ha coinvolto un primo ministro), ma persino Giappone, dove della correttezza ci siamo abituati a immaginarla come la paladina.
Paese che vai, imbrogli che trovi. Ma vale anche, tempi storici che percorri, imbrogli che trovi.
Infatti, la questione dell’etica ha radici profonde, passano per il sistema educativo e meritano di essere scoperte.
I sofisti, per esempio, promovevano un sistema educazionale orientato a plasmare il buon cittadino, capace di gestire gli affari personali e quelli dello Stato, offrendo quindi una specie di servizio. Contava soltanto l’efficienza. In contrasto, c’era l’accademia di Platone, fondata sull’idea di verità, nella forma di confraternita, nella quale, dopo le lezioni, ci si riuniva nel Simposio, a bere e a discorrere con gli altri confratelli.
Il liceo aveva tutto un altro sapore in antichità.
E pure le università. Sorte nell’XI secolo, sono il risultato di una rivoluzione demografica, stradale, urbana e commerciale e c’entrano molto con il desiderio degli ecclesiastici di diventare un ponte tra sacerdoti e laici attraverso la conoscenza, le nuove professioni liberali, il dibattito teologico e l’avvento degli eretici; e la conseguente necessità di rispondere a queste nuove sfide con la dialettica, la propaganda e la repressione.
Per il latino medioevale, universitas significa una comunità urbana vista dal punto di vista della struttura sociale, fatta di simboli e volta a vendere un prodotto che si può comprare: il sapere. Ma Scentia donum Dei est, unde vendi non potest, quindi ecco nato il conflitto per quanto riguarda chi debba pagare il professore. Le soluzioni sono due: da un lato, se ne fa carico la chiesa, con la conseguenza che il professore diventa parte del sistema ecclesiastico. Non per forza la migliore delle circostanze. La seconda opzione è farsi pagare dallo studente, poiché sì il sapere è dono divino, ma insegnarlo ad altri è un lavoro puramente umano. Le collectae degli studenti permettono ai professori di restare liberi.
E di libertà — di pensiero — ne hanno, i professori delle università medievali, diversamente da come si è soliti pensare. Infatti, tutto può essere messo in discussione (certo, entro determinati limiti; si pensi che persino le ipotesi di Galileo erano accettate, purché definite modelli matematici e non struttura del reale), incluse le fondamenta della fede cristiana, come testimonia il gran numero di eretici. A titolo di esempio, si legga la vicenda di Peter di Abano, professore all’università di Padova, accusato di stregoneria e protetto dalla sua università tanto che l’inquisizione poté bruciarlo soltanto dopo la sua morte. Il professore di Oxford, John Wycliffe, che criticò l’eucarestia, il papa, la devozione ai santi, la ricchezza della chiesa, morì pacificamente nel proprio letto.
Non solo libertà, ma anche un volto internazionale. Tommaso d’Aquino studia a Napoli, insegna a Parigi, diventa decano a Napoli. John Duns Scotus studia a Oxford, Parigi e Cambridge. E grazie allo ius ubique docendi i professori possono insegnare presso diverse università senza aggiungere nuovi diplomi (beh, non tutte, le prime sono quelle di Parigi, Bologna, Tolosa e Piacenza).
Per non rischiare di idealizzare i tempi passati, bisogna ricordare che le università medievali avevano anche le loro zone d’ombra. Proprio come oggi, che in letteratura si definiscono come diploma mills, c’erano università che sfornavano diplomi per ottenere finte lauree. Nel 1444, il tribunale di Venezia dichiara nullo il diploma rilasciato dall’università di Padova, mentre nel XV secolo, Avignone perde tantissimi iscritti a causa delle epidemie, delle guerre e della perdita di prestigio per via dei diplomi invalidi.
Si aggiunga che nemmeno i professori si comportano al meglio. Il Manuale dello studente perfetto (1480) di Heidelberg suggerisce allo studente preoccupato del risultato di un esame di offrire una cena al professore, a proprie spese. Il «Dottòur Balanzon», in bolognese, è il modo dei paesani di canzonare un professore che pretende di sapere tutto (Rabelais ne farà un’opera tratta da questa figura, nella novella Gargantua e Pantagruel).
E gli studenti? Pure loro godono di privilegi, come i professori, e questo li spinge spesso a sfidare l’autorità, a rubare l’uva e i piccioni degli onesti cittadini, a tagliare i capelli delle signore per strada, a essere rumorosi oppure a «digitum extendentes in derisionem». A questo si aggiunga l’uso smodato di alcol, che li rendeva irascibili e rissosi.
E oggi?
Oggi gli studenti non tagliano più i capelli alle signore incontrate per strada e, se bevono, sono meno molesti. Ma certe usanze si sono mantenute intatte, anzi, si potrebbe dire che si siano specializzate. Solo per fare un esempio, similmente alle diploma mills medievali, ci sono ancora le università che offrono, dietro lauto compenso e senza uno studio reale, diplomi, lauree e qualsiasi altro titolo il mercato richieda.
Nell’ottica di tastare il polso della percezione da parte dei professori in merito ai comportamenti non etici nell’accademia, nel 2021 ho condotto tre interviste ad altrettanti docenti delle università italiane.
Alessandro Bertante, decano al NABA, nonché scrittore, ha sottolineato il clientelismo tipico del sistema accademico italiano di un tempo. In un tale clima, difficilmente la meritocrazia trova spazio. Questo provoca una fugga di cervelli, per cui, comportamenti non etici, come eventualmente il plagio o il «contract cheating» (cioè, pagare qualcuno perché scriva la tua ricerca. Ah, attenzione, è reato penale sia per chi commissiona sia per chi esegue!) diventano un problema minore. Alla NABA si riesce a vigilare sul plagio? Difficilmente, afferma Bertante. Trattandosi di materiale visivo, il professore che supervisiona si accorge di un eventuale plagio soltanto se ha già incontrato quel progetto.
Paolo Valore, professore di Filosofia all’Università di Milano e visiting professor alla Columbia University nel 2021, per rispondere alla domanda se i corsi di etica siano utili all’interno dell’accademia per contrastare il plagio o altri comportamenti scorretti, chiede se il catechismo sia utile per fermare i furti. Tuttavia, un allineamento globale degli standard accademici è più che auspicabile. Si pensi alle riviste dell’est asiatico, dove è possibile pubblicare pagando. Senza uno standard accademico condiviso, ne va della credibilità della comunità scientifica.
Alessandro Tasora, professore di robotica all’Università di Parma, sottolinea la propria preoccupazione in materia della falsificazione dei dati e della logica publish-or-perish (questo comportamento meriterebbe un approfondimento, poiché si trova spesso alla base di una crescente sfiducia nella scienza da parte del largo pubblico. In estrema sintesi, pur di pubblicare e quindi ricevere fondi e finanziamenti o semplicemente mantenere la propria posizione, si falsificano studi e dati. Un caso clamoroso è quello della Cassava Sciences e del loro medicinale per l’Alzheimer).
Cosa ci rimane da fare?
Secondo uno studio condotto da Fisherman e Miguel (2007), i diplomatici delle Nazioni Unite sono più propensi a imbrogliare sul parcheggio se nel paese di origine la tolleranza della corruzione è maggiore.
Ecco, anche se non è una soluzione definitiva, aumentare l’intolleranza nei confronti della corruzione in generale, promovendo di pari passo un approccio critico alle proprie azioni, potrebbe diventare un ottimo mattone su cui edificare una cultura che non ha bisogno di imbrogliare.


Irina Ţurcanu
(n. 4, aprile 2023, anno XIII)


Bibliografia:

FINOCCHIETTI C., LANTERO L., Etica e università, Vita e Pensiero, Milano, 2022.
https://www.reuters.com/business/healthcare-pharmaceuticals/exclusive-cassava-sciences-faces-us-criminal-probe-tied-alzheimers-drug-sources-2022-07-27/
https://slate.com/technology/2014/08/fraud-in-stem-cell-research-japanese-biologist-yoshiki-sasai-commits-suicide-at-riken.html

Per approfondire:
Il primo ministro romeno accusato di plagio è Victor Ponta.
In Italia, uno degli ultimi casi saliti alla cronaca è quello della ministra Azzolina. https://www.wired.it/attualita/politica/2020/01/13/azzolina-tesi-copiata-plagio/