Strumento, nemico, tentatrice, im-perfezione: declinazione femminile

Opposizione, debolezza, altro, vita e morte in un unico ventre, luna, ciclicità, attesa, sacrificio.  Simboli essenziali: strumento, nemico, tentazione, im-perfezione. Ruoli sovrapposti: madre, figlia, moglie. Un unico essere. Donna. Il femminile.
È voluta l’assenza di un verbo, poiché il verbo è azione e l’azione quasi non appartiene all’universo femminile, passivo, che tesse paziente e aspetta, nove mesi, l’arrivo del figlio, o vent’anni, il ritorno di chi è in movimento. Come Ulisse. Per fare l’esempio del primo uomo della letteratura che testimonia quanto il verbo sia maschile e il restante arcobaleno di parti del discorso appartenga al femminile. Perché esso, il restante arcobaleno di parti del discorso, arricchisce, sostiene, espande, dice qualcosa in più, rendendo pienamente esplicito il senso che l’azione porta con sé. Basta un verbo per fare una frase. La frase semplice. Bastava, perché oggi la frase nominale — pur sempre monca — è ammessa. L’hanno inventata i giornalisti, se ne sono impossessati gli scrittori di tutto il mondo per creare un nuovo spazio, una nuova narrativa. Ma qualsiasi nuova narrativa poggia sulla vecchia, coriacea e difficile da sgretolare.
Siamo soltanto ciò che possiamo immaginare di essere. Uomini o donne che sia, specialmente donne. Siamo ciò che i modelli ci permettono di immaginare. Con la frase nominale, abbiamo forzato la grammatica, e, con essa, l’universo, l’alterità grammaticale, ontologica e identitaria.



Artemisia Gentileschi - Susanna e i vecchioni (1610)



Strumento. È interessante notare come, per esempio, nel Medioevo, le vesti delle donne, sottoposte a norme molto rigide, diventavano oggetto di sfida, di sfarzo, di potere. Una gonna doveva misurare una tantum, essere impreziosita da una quantità ben precisa di oro e di argento; ai disubbidienti — mariti, padri — veniva applicata una sanzione. Loro, le donne, strumenti per ostentare il potere, subivano processi per aver attraversato la strada con un abito dallo strascico troppo lungo. 

Nemico. La controparte, la dimensione da combattere, da temere, da demonizzare. Le amazzoni, le «senza seno», secondo una certa tradizione che le vuole delle guerriere mutilate per poter meglio tendere l’arco. Gli attributi femminili possono essere solo ingombro nell’impresa di atteggiarsi a uomo. La guerra è arte maschile.

Inganno. Il seno, il senza seno, è anche la prerogativa delle donne mascolinizzate che devono celare la propria identità, l’essere donna, per poter accedere all’istruzione superiore, alla vita pubblica. Gli attributi femminili possono solo simboleggiare il nutrimento della prole, per accedere al mondo fuori dal focolare occorre mutilarsi, in un modo o nell’altro.

Tentatrici. Le ninfe, dalla giovinezza eterna, orbitano attorno a Dioniso, a Pan, agli dèi, allo scopo di attirare i maschi, dèi o poveri mortali. Ed è interessante notare come l’attaccamento alla giovinezza eterna del femminile — alla libido — diventa patologia, sfocia nella ninfomania di cui parla per la prima volta, nel 1771, il medico francese de Bienville nel volume La ninfomania, ovvero trattato sul furore uterino.

Im-perfezione. Il simbolo per eccellenza che rende il femminile imperfetto per definizione: Maria, madre e vergine allo stesso tempo. Da questa prospettiva, il maschile si identifica con il miracolo, con il prodigio, con la forza della mente e la purezza dell’azione; il femminile è redento, dipende dal miracolo altrui — del maschile — per poter toccare la perfezione, appunto essere madre e vergine al contempo.

Non c’è altro modo per impossessarsi di una dimensione propria, definibile non attraverso la alfa privativa greca, che appunto, priva il simbolo femminile di qualcosa, di un attributo, e lo rende vincolato a qualcosa di indipendente: occorre una grammatica audace e depurata da simboli fuorvianti. Occorre una grammatica e un’identità che fluiscono in mezzo a simboli, archetipi ed esseri con la libertà con cui fluisce un rivolo di pioggia sopra la superficie liscia e fredda di una finestra. Lasciamo, allora, che il mondo sia finestra e che noi, donne e uomini, fluiamo sulla sua superficie disegnando nuove geografie identitarie. Che ci vuole? Ci vuole la volontà di immaginare.



Frida Kahlo - L’amoroso abbraccio dell’universo,
la terra (Messico), io, Diego e il signor Xólot (1949)




Irina Francesconi Ţurcanu
(n. 3, marzo 2021, anno XI)