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Classici romeni. Ioan Slavici con la novella «Il Mulino Fortunato»
Nato
nel 1848, Ioan Slavici rappresenta, assieme a Ioan Luca Caragiale, George Coșbuc, Mihai Eminescu, Ion Creanga e tanti altri, la letteratura classica romena.
Accanto a Mara, Il mulino fortunato è una delle novelle più significative di Ioan Slavici, ricca di immagini pittoresche, come per esempio, quella in cui il brigante, Lică Sămădău, incontra Dio.
Oltre al brigante, a popolare il mondo raccontato dalla novella, ci sono Ghitza e sua moglie Anna, la madre di questa e i figli della coppia. Alla base, c’è il desiderio di fare fortuna da parte di Ghitza, una fortuna veloce.
Dal punto di vista simbolico, occorre precisare che Il Mulino fortunato è la prima novella che conferisce allo spazio dell ’osteria romena una dimensione tragica.
Un ottimo osservatore del piano simbolico è Dimitrie Mihăilescu, il quale fa notare che Il Mulino fortunato ha un lato malefico e lo deve alle sue diverse trasformazioni in quanto costruzione. Da osteria diventa mulino, poi, di nuovo, da mulino, osteria. In quanto osteria, il suo spazio è aperto, appartiene ai viandanti. Di contro, in quanto mulino, il suo spazio è chiuso, appartiene a una comunità. Inoltre, da mulino, si carica di una serie di simboli negativi, poiché, per tradizione, il mulino «macina» il seme, come il tempo macina il mondo. Abbandonato, il mulino è il luogo dei diavoli, è lo spazio in cui il tempo cessa di agire.
Che si tratti di un luogo maledetto, lo si deduce anche dalla posizione in cui si trova. Nel nulla, circondato da un paesaggio sinistro e selvaggio.
L ’origine stessa del mulino fortunato è, in realtà, nefasta. Inizialmente mulino, in seguito cessa di macinare e diventa osteria e rifugio per i viandanti. In un secondo momento, il fittavolo la demolisce per poi erigerne una nuova. Questa è l ’osteria che si aggiudica Ghitza. Un luogo decaduto dal regno di simbolo mitologico a quello di simbolo commerciale: una decadenza che coincide con l ’arrivo di Ghitza. Da qui, anche il decadimento del protagonista.
La presenza dei cinque crocefissi potrebbe dare il senso di un luogo benedetto, ma il contenuto narrativo smentisce una tale interpretazione. Anzi, i cinque crocefissi costituiscono il confine tra il mondo civilizzato e ordinato della città e quello caotico, spaventoso del bosco. Di fatti, alla guida di questo mondo terrificante c’è Lică, un uomo crudele e pericoloso.
Una seconda considerazione è una di natura psicologica. Di fatti, leggendo Il Mulino fortunato appare evidente che ci troviamo di fronte a una novella psicologica. Se l ’evoluzione delle figure maschili, seppur affascinante, è, per certi versi, più evidente, la metamorfosi di Anna resta più sottile, più particolare, rispetto alle altre.
Da questo punto di vista, sono molto interessanti le osservazioni di Vlad Caraman, il quale sottolinea che la relazione della coppia composta da Anna e Ghitza raffigura un conflitto storico concreto, che ha come fonte principale il desiderio della donna di farsi riconoscere in quanto personalità matura. Il processo è ignorato sia dalla madre, sia dal marito. Entrambi la amano molto, ma non smettono mai di vederla come una bambina innocente e priva di esperienza. Questo è un elemento che emerge sin dalla scena iniziale, quando Anna – che non è contemplata come interlocutore – viene descritta come una bambina coccolata dalla madre. L ’immagine torna, poi, alla fine, quando l ’anziana parte per passare la Pasqua con i parenti. La bacia come se la stesse per maritare. Lo stesso Ghitza, nel vederla durante il processo, scorge in lei la ragazza di cui si è innamorato, e non la madre dei suoi figli. Ghitza si porta la medesima immagine sino alla fine, fino all ’istante in cui la uccide con la stessa pietas con cui ucciderebbe suo figlio. Soltanto Lică vede in lei una donna giovane e bella.
Un ’evoluzione radicale quella di Anna: da bambina a donna ribelle.
Dal punto di vista dell’intrigo e degli accordi che i tre uomini stringono tra loro, Anna appare come strumento che questi usano per raggiungere i propri scopi.
Il momento cruciale, però, di distacco, avviene quando Anna, durante un sabato sera, mentre contano il denaro, si accorge delle banconote segnate, chiede consiglio alla madre, ma, poi, le disubbidisce. Anna vuole capire. È il primo passo verso la metamorfosi in donna.
D’altro canto, che Ghitza non scorga la donna che è diventata, lo dimostra il fatto stesso che la pensa vittima caduta nelle mani del cattivo Lică, senza mai contemplare la possibilità che sia stata lei stessa a trattenere Sămădăul.
Il processo è completo quando Anna muta la sua percezione di Lică, il quale diventa un essere potenzialmente altro dal modello paternale rappresentato da Ghitza. Anna vede oltre l ’espressione fredda e arcigna di Lică, e nota le dita bianche e sottili di chi non ha mai dovuto lavorare la terra.
Di seguito un brano tratto da Il Mulino fortunato (Rediviva Edizioni, 2021).
Da «Il Mulino Fortunato»
Capitolo I
Dal punto di vista del signor Cambreleng, tutti noi che eravamo stretti attorno a lui avevamo lo status di autori di libri morti. Mai nella storia del mondo si sono scritti tanti libri morti come ai giorni nostri, ci spiegava il signor Cambreleng. Oggi i libri muoiono a una velocità sorprendente. E alcuni nascono, d’altronde, già morti. Sì, sì, ci ripeteva il signor Cambreleng, i libri muoiono, vi dovete abituare a questa idea. I libri agonizzano, come esseri viventi, sugli scaffali delle librerie, aspettano e aspettano e poi cominciano a deperire, a infiacchirsi, si ammalano per l’attesa, soffocano, sentono che nessuno li aprirà, che nessuno li comprerà più… E in un mondo in cui, di fatto, nessuno legge, è normale che tutti scrivano… Chi si sarebbe mai immaginato che l’alfabetizzazione obbligatoria e di massa avrebbe avuto questo effetto perverso, ossia che un bel giorno ogni alfabetizzato avrebbe tentato di scrivere libri? Scrivere un libro è in realtà il tentativo disperato di rimandare la morte, di gabbarla…
Il signor Cambreleng conosceva quasi tutti i piccoli librai di Parigi. Ogni volta che mi portava con sé per fare un giro delle librerie, il rituale era sempre lo stesso. Entravamo, il signor Cambreleng stringeva la mano al libraio e mi presentava succintamente:
– Un amico scrittore.
Non avevo mai un nome quando entravo con il signor Cambreleng nelle librerie, il che non mi dava fastidio, preferivo, infatti, non avere un nome che essere un nome su un libro morto. Il signor Cambreleng cominciava poi a indicarmi, con gesti precisi, svariati libri in punto di morte. Le sue affermazioni non potevano essere verificate in nessun modo, ma io sentivo che aveva ragione. Mi mostrava, per esempio, libri di cui si era venduta un’unica copia.
– Davvero? – dicevo – Ma lei come fa a sapere che di questo libro si è venduta solo una copia? Adesso esagera!
– Ma sì, invece… Lo osservi… Provi a prenderlo in mano… Cerchi di tastarne il polso. È mai stato a una mostra (con vendita) di animali abbandonati? Ha mai visto l’espressione di un cane che spera di essere adottato da qualcuno, non importa chi, solo per il desiderio di abbandonare la gabbia e avere un padroncino? Sono esattamente così anche i libri nelle librerie. Tutti sperano di essere tirati fuori da qui. Il peggior posto per un libro è la libreria.
Per il signor Cambreleng tutte le librerie erano una sorta di mattatoi. Sì, sì, insisteva lui, mattatoi, è questa la parola giusta. Noi non abbiamo un udito abbastanza sviluppato per sentire come gridano i libri sugli scaffali. Libri mai sfiorati, libri mai desiderati, libri mai sfogliati da un anno, da due anni, da dieci anni… Ciechi e sordi come siamo non udiamo il pianto dei libri, il loro rantolio, il loro grido di solitudine. Ciechi, sordi, privi di tattilità come siamo non sentiamo come fremono i libri sotto i nostri sguardi, non vediamo la speranza che pulsa in essi quando facciamo scorrere i nostri stanchi e impassibili sguardi su centinaia di metri di scaffali e di bancarelle, o sui volumi esposti dagli antiquari sul Lungosenna a Parigi. Non sentiamo neppure l’orrore sperimentato dai libri nell’essere sistemati gli uni accanto agli altri, obbligati a vivere appiccicati tra loro… Libri pregevoli attaccati a libri scadenti, libri moribondi appiccicati a libri ancora in vita, libri fondamentali appiccicati a libri nati morti. Che orrore, che orrore ordinarli nello spazio in base a criteri alfabetici o in base ai loro autori! Nessuno, nessuno è conscio del fatto che i libri per il 90 per cento dei casi sono ammalati, resi isterici per la goffaggine con cui vengono esposti e venduti, trasportati e immagazzinati.
Di quando in quando vedevo il signor Cambreleng comprare qualche libro esausto, morto, sfinito da tanta attesa.
– È per salvarlo – mi diceva.
Secondo lui, salvare un libro morto significava comprarlo e depositarlo nella cantina del caffè Saint-Médard.
– È meglio tenere i libri tra le bottiglie di vino che lasciare che si divorino tra di loro – opinava il signor Cambreleng.
Mi ci volle parecchio tempo per capire cosa vedesse in realtà il signor Cambreleng quando posava lo sguardo su un libro. Lui non vedeva, in effetti, l’oggetto in sé, quell’oggetto composto di carta e di molte pagine, disciplinate, intrappolate fra due copertine e strette da una rilegatura. No, ciò che vedeva lui era di fatto l’universo di quel libro specifico. E quando faceva scorrere lo sguardo su uno scaffale, lui vedeva universi estremamente distinti, impossibili da abbinare. Come si fa a obbligare un giallo a stare accanto a un romanzo di Alexandre Dumas ed entrambi di fianco a un dizionario? Tre universi così distinti, così commoventi… È come mettere sullo stesso scaffale un cane, un oceano e un treno ad alta velocità. Poco a poco ho abituato anch’io sia gli occhi, sia il cervello a captare, quando guardavo i libri, non tanto l’oggetto quanto l’universo racchiuso in esso, la sua musica interiore, gli sciami fittamente ronzanti di parole.
Il signor Cambreleng era fiero di avere in me un discepolo, un seguace avveduto.
– Pensi, – mi diceva – siamo le uniche persone a Parigi che passeggiano tra i libri vedendo dei mondi, degli universi, e non della carta.
Il che era vero, i libri, anche se non letti, possono proiettare il proprio universo nella mente di chi li guarda, a condizione però che questi si sia sottoposto a esercizi ginnici per l’apertura degli occhi.
(© 2021 Rediviva Edizioni per gentile concessione)
Presentazione e traduzione a cura di Irina Ţurcanu
(n. 5, maggio 2022, anno XII)
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