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Ricordando Grazia Marchianò (1941-2024)
Il 12 aprile ho appreso con tristezza della morte di Grazia Marchianò. Pur avendo da poco compiuto ottantatre anni, era estremamente attiva ed energica, benché ultimamente si fosse dedicata a quella sorta di «pulizie generali» che le persone di una certa età, in previsione del grande trasloco verso l’Oltre, compiono per lasciare dietro di sé le cose in ordine. Grazia Marchianò, infatti, aveva disposto il trasferimento del fondo librario e dell’archivio di Elémire Zolla – suo marito, scomparso nel 2002 – presso l’Accademia Vivarium Novum di Frascati. Ha inoltre fatto in modo che altri documenti del suo archivio personale, così come alcuni oggetti d’arte, fossero affidati a enti idonei, pubblici o privati. Tuttavia, la sua morte ha colto di sorpresa le persone a lei vicine. Tra l’altro è morta in completa solitudine, secondo il suo stile di vita «anacoretico», a quanto pare all’improvviso e per cause naturali. Il giorno esatto e la causa della morte non sono noti. Dalla sua abitazione di Montepulciano, Grazia comunicava con il resto del mondo via e-mail o telefono fisso (non usava il cellulare). Le comunicazioni con lei si sono interrotte pochi giorni prima della domenica di Pasqua (31 marzo); dopo due settimane di «silenzio», durante le quali nessuno aveva ricevuto alcun segno di vita, una sua giovane amica di Roma ha allertato i carabinieri di Montepulciano, i quali, entrando nella casa della professoressa, hanno scoperto il suo corpo senza vita. I funerali si sono svolti il 23 aprile scorso, quando Grazia è stata accompagnata nel suo ultimo viaggio al cimitero vicino al Tempio di San Biagio a Montepulciano, dove è stata sepolta accanto a Elémire Zolla.
Avevo conosciuto Grazia Marchianò nell’ottobre del 2007, a Perugia, in occasione di un convegno dedicato al centenario della nascita di Eliade. Mi colpì soprattutto il suo sguardo, penetrante e allo stesso tempo caldo e giovanile, quasi giocoso. Risaltava anche una certa eleganza dei gesti, che non avevano nulla di ostentato, essendo piuttosto l’espressione naturale di un modo di comunicare volto ad agevolare una certa sintonia con gli interlocutori. Ma a colpirmi in quell’occasione fu anche un particolare esteriore, ovvero il fatto che coloro che me la presentarono la chiamavano, in privato, «la vedova di Zolla». Avrei sentito spesso, in altre circostanze, quest’etichetta (i cui assertori erano per lo più, ma non esclusivamente, maschi), che trovavo strana e al contempo buffa. È pur vero che la stessa Grazia Marchianò, con il suo atteggiamento da vestale della memoria del marito, di cui curò le opere dopo la morte, ma anche attraverso la celebre biografia intellettuale Il conoscitore di segreti (prima edizione: Rizzoli, 2006), ha in qualche modo alimentato questa formula, discutibile e riduttiva. Altrettanto vero è che i venticinque anni vissuti con Zolla (1977-2002) non possono essere relegati in secondo piano, tanto più che coincidono con l’unico matrimonio di lei (dal 1980 i due erano sposati civilmente) [1]. Comunque sia, in seguito a quel convegno a Perugia non ho stabilito contatti personali con la «vedova di Zolla». Era un periodo in cui il centenario della nascita di Eliade e la recente adesione della Romania all’Unione Europea si sovrapponevano all’anno più buio, fino a quel momento, della comunità romena in Italia: la campagna politico-mediatica di denigrazione anti-romena, di cui purtroppo si erano avute avvisaglie già negli anni precedenti, aveva assunto, proprio nell’autunno del 2007, il suo aspetto più tetro e sistematico; sarebbe durata almeno cinque anni, provocando ferite indelebili nell’animo e nella vita concreta di molte persone.
L’occasione per stringere un rapporto più stretto si presentò più tardi, verso il 2013, quando avevo in mente un possibile libro su Ioan Petru Culianu e l’Italia. Grazia mi inviò, tra l’altro, la nuova edizione del volumetto di Zolla – da lei curato e pubblicato a Montepulciano nel 2011 – su sullo storico delle religioni romeno. Da allora sono entrato e rimasto in contatto, non solo epistolare, sia con lei che con Roberta Moretti (sua ex studentessa all’Università di Siena-Arezzo e autrice di una monografia sull’opera di Ioan Petru Culianu), un rapporto che andò consolidandosi nell’arco di un decennio.
Ci incontrammo di nuovo ai primi di dicembre del 2016, a Roma. L’occasione fu, ancora una volta, «eliadiana»: avevo da poco pubblicato il volume di Eliade Tutto il teatro. 1939-1970 (edito dalla casa editrice milanese Bietti), che un amico comune, Francesco Palmieri, propose di presentare alla libreria Rotondi di Roma. Fu così che il rapporto di amicizia con Grazia si strinse ulteriormente; a partire da quel momento, infatti, ho sempre percepito una forte stima e un affetto quasi materno nei miei confronti, anche se le circostanze hanno voluto che da allora non ci incontrassimo più de visu.
Nel 2017, con la pubblicazione della traduzione italiana del libro di Ioan Petru Culianu, Iocari serio (con la postfazione di Horia-Roman Patapievici), presso l’editrice Lindau di Torino, i nostri rapporti si sono intensificati sotto un’egida, per così dire, «culianiana» [2]. Come è risaputo, alla fine degli anni Ottanta Culianu aveva stretto amicizia con Elémire Zolla e Grazia Marchianò, e fu loro ospite sia a titolo personale che come visiting professor invitato a tenere lezioni universitarie.
Infine, l’ultimo e più intenso momento del nostro rapporto personale risale alla preparazione del numero monografico, dedicato a Culianu a trent’anni dalla sua scomparsa, della rivista «Antarès» di Milano: Ioan Petru Culianu, argonauta della quarta dimensione, che ho curato unitamente a Roberta Moretti e Andrea Scarabelli. Ovviamente, l’editoriale fu firmato da noi tre, ma non avemmo dubbi sulla scelta del «padrino» del numero: la nostra scelta andò proprio su Grazia Marchianò. La quale, non solo accolse volentieri il nostro invito a scrivere l’introduzione al volume, ma accettò anche di essere consultata su altri aspetti della preparazione per la stampa, comprese le questioni grafiche (fotografie, titolo, colore della copertina, ecc.), dove il suo contributo si è rivelato prezioso.
C’è stata poi, nel 2022, la pubblicazione presso Rosenberg & Seller del suo ultimo libro, Interiorità e finitudine: la coscienza in cammino. Orizzonti eurasiatici, forse la sua opera più personale e impegnata sul piano epistemologico. Lo presentò nella stessa libreria Rotondi, dove, dopo la presentazione del Teatro di Eliade, era diventata «una persona di casa», quella stessa libreria da cui è partita la telefonata disperata del 12 aprile 2024.
Grazia Marchianò non ha avuto, al pari di Zolla, discendenti diretti nell’ordine «corporeo» delle cose [3]. Ma è stata (come) una madre per molti dei suoi amici e colleghi più giovani, che nel corso degli anni sono entrati in risonanza con le sue scoperte e intuizioni, per lei forse più importanti di un certo rigore «scientifico» a cui non sembrava dare troppo peso (e che probabilmente spiega, oltre alle incompatibilità caratteriali e all’essere associata a Zolla, alcune avversità nei suoi confronti, nel mondo accademico italiano).
Mentre la sua attività e le sue opere degli ultimi decenni – connesse o meno a Zolla – sono più conosciute, si sa poco della sua giovinezza. Nata il 13 marzo 1941 a Parma, Grazia aveva genitori originari della Calabria. Non si trattava però di calabresi qualunque, ma di appartenenti alla minoranza arbëreshe di San Demetrio Corone. Il padre, Giuseppe Marchianò, nato a Napoli e stabilitosi con la moglie nel nord Italia, si affermò tra l’altro come pittore. La giovane Grazia Marchianò, dopo aver studiato filosofia a Milano ed essersi laureata in estetica all’Università di Roma (1964) con Armando Plebe, beneficiò di una borsa di studio dell’ISMeO (fondato e diretto dall’orientalista Giuseppe Tucci) in India. Grazia aveva in comune con Mircea Eliade non solo lo stesso giorno e mese di nascita (13 marzo), oltre al fatto di aver avuto uno stretto legame con Ioan Petru Culianu. Come Eliade, Grazia era una studiosa ecumenica ed «eclettica». E proprio come Eliade, viaggiò e soggiornò per alcuni in India da giovane. «Mi sono formata in India» dichiarava in un’intervista del 2016 [4], riferendosi sia alla Vishva Bharati University di Shantiniketan, fondata da Tagore, sia alle esperienze meditative a Bombay, dove, secondo la stessa intervista, avrebbe seguito gli insegnamenti dei maestri Osho Rajneesh e Nisargadatta Maharaj (realizzando anche la prima traduzione italiana del libro di quest’ultimo, I Am That / Io sono quello, pubblicata nel 1981 da Rizzoli) [5], oltre che alle ricerche fatte a Madras e in altre zone dell’India. Va menzionato anche il suo contributo alla conoscenza in Italia di un autore molto apprezzato da Eliade, Ananda K. Coomaraswamy.
I futuri biografi di Grazia Marchianò avranno a disposizione un’opera che si snoda lungo cinque lustri (il suo primo libro, Il codice della forma, risale al 1968). La sua esistenza è stata quella di una solitaria e di una «nomade» (come una volta mi confidò di considerarsi). Il messaggio che lascia ai posteri può essere riassunto, come ha scritto Francesco Palmieri nel primo articolo pubblicato dopo la scomparsa di Grazia, nelle frasi di apertura della biografia di Zolla, che riporto qui:
«Non sono tanto gli spostamenti nello spazio fisico, le letture su carta o sul video del computer, gli incontri prevedibili o imprevisti a dispensare occasioni di conoscenza, ma il modo in cui ci si rapporta ad essi, si fanno filtrare e lievitare dentro di noi, suscitano connessioni, dischiudono orizzonti al di là dell’ovvio, istigano a dubitare e ad accendere nuove domande, senza porre limite alcuno alla fame e alla sete di cercare, indagare, apprendere, ricordare, dedurre, analizzare, argomentare, immaginare ma anche contemplare, meditare, coltivare il silenzio, espandere la consapevolezza, crescere dentro – quali che siano le circostanze in cui ci si trovi a vivere, nella buona e nella mala sorte come si diceva un tempo» [6].
Horia Corneliu Cicortaș
(n. 6, giugno 2024, anno XIV)
NOTE
[1] Di quindici anni più grande, Zolla, da giovane, prima della sua relazione con la poetessa Cristina Campo, ebbe un breve matrimonio con la scrittrice e traduttrice Maria Luisa Spaziani.
[2] Grazia Marchianò, pur essendo strettamente legata alla memoria e alle opere dell’«ultimo» Culianu, non fece mai di questa amicizia un trampolino di polemiche anti-Eliade, come invece, sfortunatamente, è avvenuto in altri casi, noti agli addetti ai lavori, a proposito del guardismo di Eliade e delle speculazioni intorno all’omicidio di Culianu, avvenuto a Chicago il 21 maggio 1991 e tuttora irrisolto.
[3] Nemmeno Zolla ha avuto discendenti. Alla cerimonia funebre (laica) svoltasi nella chiesa di San Biagio, insieme a numerosi amici, conoscenti, colleghi, ex studenti e rappresentanti delle istituzioni, era presente l’unica parente acquisita di Grazia, una nipote di Elémire Zolla.
[4] Antonio Gnoli, Grazia Marchianò: «Per Zolla ho lasciato famiglia e amici ma alla fine si percorre la strada da soli», in «La Repubblica», 20 novembre 2016.
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