Mircea Eliade tra Zalmoxis e Gengis Khan

Nell’aprile del 1970 usciva, nella collana «Bibliothèque historique» dell’editore parigino Payot, un volume di Mircea Eliade dal titolo curioso, De Zalmoxis à Gengis-Khan. Études comparatives sur les religions et le folklore de la Dacie et de l’Europe Orientale. Sulla copertina, un’effigie del re dei daci Decebalo, rappresentato sulla Colonna Traiana di Roma. [1] Sei degli otto capitoli del libro erano stati pubblicati in precedenza su vari periodici, nell’arco di tre decenni.
Dei due nuovi testi aggiunti alla raccolta, rispettivamente come secondo e ottavo capitolo, quello su Zalmoxis verteva, al pari del capitolo iniziale («I Daci e i lupi»), sulla storia religiosa dei Geto-Daci, mentre quello sulla ballata della pecorella veggente (Miorița) integrava gli altri cinque testi su temi presenti nelle tradizioni popolari romene: i miti cosmogonici dualistici, la caccia rituale, la leggenda di Mastro Manole, le pratiche sciamaniche e il culto della mandragora.

Il sottotitolo indicava, dunque, il quadro geografico e culturale di riferimento. Il titolo, invece, sembrava suggerire un arco «temporale», che va dalla figura leggendaria del dio Zalmoxis – nota soprattutto attraverso Erodoto e altre fonti greche antiche – a quella del condottiero mongolo Gengis Khan, le cui scorrerie verso l’interno dell’Europa, proseguite dai suoi successori nella prima metà del XIII secolo, condussero alla formazione dei Principati romeni medioevali. La menzione di Zalmoxis sulla copertina è giustificata dal denso saggio omonimo incluso nel volume; la presenza del nome di Gengis Khan, invece, è più che altro simbolica, poiché nel libro le invasioni mongole non vengono menzionate. Queste sono evocate soltanto una volta, in conclusione del primo capitolo. Qui, Eliade scrive che, dal punto di vista mitologico, il popolo romeno «fu generato sotto il segno del lupo» e, come tale, sarebbe «predestinato a guerre, a invasioni e emigrazioni». E conclude quest’affermazione personale, osservando – senza ulteriori approfondimenti – che la figura del lupo «apparve per una terza volta all’orizzonte della storia dei Daco-Romani e dei loro discendenti» proprio in occasione delle incursioni dei Mongoli, poiché «il mito genealogico dei Gengiskanidi narra che il loro antenato era un Lupo grigio». [2] Non si tratta, dunque, di un’opera di storia antica o medioevale, ma nemmeno di una storia religiosa dei Daci, progetto ipotizzato in passato da Eliade, come vedremo più avanti, ma sulla cui realizzabilità si dichiara ora scettico a causa della scarsità dei documenti a disposizione. Fin dalle prime righe della Prefazione, l’autore precisa che il libro intende presentare soltanto «gli aspetti principali della religione dei Geto-Daci e le più importanti tradizioni mitologiche e creazioni folcloriche della cultura romena». È un lavoro, chiarisce l’autore, svolto nella prospettiva della storia generale delle religioni, il che implica una ricerca di tipo comparativo, come indicato già nel sottotitolo del libro. Da qui la novità, l’originalità, il valore complessivo di questo suo lavoro. Infatti, nonostante l’apparente «marginalità» dell’argomento, il libro ha stimolato fin da subito il dibattito critico (soprattutto su Zalmoxis e la religiosità dei geto-daci), venendo tradotto e pubblicato, nel giro di pochi anni, negli Stati Uniti (1972), in Italia (1975), Giappone (1976), Romania (1979) e in vari altri Paesi tra cui Germania, Spagna, Turchia.

La preparazione e l’integrazione di questa raccolta di studi non fu un’iniziativa improvvisata. Eliade vi lavorò, contemporaneamente ad altri progetti editoriali, per almeno due anni, come testimonia la sua corrispondenza degli anni 1968-1969, in cui il libro era preannunciato con lo stesso titolo con cui fu pubblicato.[3] Nel dopoguerra, a Parigi (dal 1945 al 1956) e in seguito a Chicago, dove rimase fino alla morte, l’esule romeno aveva pubblicato monografie importanti sullo yoga, sullo sciamanesimo, sull’alchimia, sulla morfologia e la dialettica del sacro, che fecero di lui uno dei più influenti storici delle religioni del Novecento. Già durante la guerra Eliade, impiegato come addetto culturale presso le legazioni del Regno di Romania a Londra (1940-1941) e a Lisbona (1941-1945), mentre lavorava a progetti di ampia portata che sarebbero pubblicati a Parigi alla fine degli anni ‘40 (il Trattato di storia delle religioni, Il mito dell’eterno ritorno), pubblicò anche opere riguardanti le tradizioni culturali romene. Fra questi, il saggio Commenti alla leggenda di Mastro Manole, uscito in romeno nel 1943 [4] e citato estesamente anche nel quinto capitolo («Mastro Manole e il Monastero d’Argeș») del libro di cui ci occupiamo. All’inizio del 1942 sognava, «tra altri lavori, iniziati o progettati», anche una storia religiosa della Dacia.[5] Negli stessi anni portoghesi Eliade scrisse, peraltro, due lavori di taglio storico, spinto da ragioni «professionali» contingenti: il volume dedicato a Salazar e la rivoluzione in Portogallo (1942), ma pubblicato in romeno e pensato come exemplum per il proprio Paese, che in quel momento era coinvolto nella guerra dell’Asse contro l’Unione Sovietica, e l’opuscoletto divulgativo Os Romenos, latinos do Oriente (1943), il cui primo capitolo, sui Daci, iniziava con la sezione chiamata «Sotto il segno di Zalmoxis».

Invero, le ricerche eliadiane sulle tradizioni spirituali romene e dell’Europa centro-orientale risalgono a prima ancora, agli anni della giovinezza, in particolare al periodo successivo al soggiorno indiano del 1928-1931. Siamo negli anni Trenta, quando il nostro autore si afferma sulla scena culturale romena come intellettuale a tutto tondo: orientalista, studioso delle religioni, docente universitario, pubblicista, narratore. Ma diventa noto anche all’estero, grazie a diversi contributi scientifici in varie lingue occidentali, fra i quali spicca la monografia del 1936, Yoga. Essai sur les origines de la mystique indienne. [6] Infine nel 1938, a Bucarest, Eliade fonda la prima rivista romena (internazionale) di storia delle religioni, intitolata proprio Zalmoxis. Revue des études religieuses; l’esistenza effimera di questo periodico – appena tre numeri (1938; 1939; 1940-42) – non fa che rispecchiare le vicissitudini personali dell’autore e la sua assenza dalla Romania, durante la guerra e poi nel precario esilio parigino. Tuttavia, l’interesse per la terra delle proprie origini non verrà mai meno. Non per caso i romanzi e i racconti dell’esule Eliade sono ambientati in Romania oppure, nelle poche eccezioni, hanno come protagonisti emigrati romeni.

Vi è dunque un filo conduttore che unisce lo Zalmoxis (rivista) del 1938 con lo Zalmoxis (saggio e libro) del 1970. Non solo sul piano tematico o formale, ma anche «strutturale», visto che il penultimo capitolo del volume di Payot, dedicato al «Culto della mandragora in Romania», riprende, con alcune lievi modifiche, il testo pubblicato ben trent’anni prima, in francese, sul primo numero di Zalmoxis (1/1938, ma uscito nel 1939). [7] Questo legame, questa parentela tra la vecchia e la nuova fatica «zalmoxiana», per così dire, era nota agli amici e agli studiosi con cui Eliade era in contatto. E, poiché la fonte dei sei testi già usciti in precedenza era conosciuta e precisata dall’autore stesso nella sua prefazione, il dettaglio non è sfuggito nemmeno ai recensori del volume. Ad esempio, è stato osservato come gli otto studi, realizzati in tempi diversi e indipendenti fra loro, costituiscano «solo artificialmente un libro», e compongano «un mosaico scintillante ma privo di unità». [8] Il che può essere affermato, peraltro, anche a proposito di diversi altri libri di Eliade, nati non come opere organiche ma come assemblaggio e/o rimaneggiamento di saggi precedentemente pubblicati su periodici. A prescindere da quest’aspetto, quel che ci interessa sottolineare qui è l’unità di approccio che accomuna i testi inclusi nella raccolta, un approccio che riguarda il metodo di Eliade, già ricordato in precedenza, ma anche la sua scrittura, ovvero il modo in cui presenta e interpreta i fatti presi in considerazione. «È un libro molto personale e al tempo stesso un’esperienza di metodo», [9] dichiara a Claude-Henri Rocquet nel libro-intervista L’épreuve du labyrinthe (1978), evocando le difficoltà incontrate nella ricostruzione delle credenze religiose dei Daci, da un lato, e dall’altro il fascino dei problemi religiosi presenti nella Leggenda di Mastro Manole e nella Pecorella veggente (Miorița), due capolavori della letteratura romena e da Eliade considerati paradigmatici della spiritualità romena, problemi davanti ai quali «lo storico delle religioni ha certamente la possibilità di vedere cose che il folklorista puro non vede». [10] Quest’ultimo aspetto riguarda, più in generale, l’impegno dello studioso romeno sul versante etnologico, nel senso di un ricorso al patrimonio culturale del folclore (con i suoi miti, credenze, usi, costumi, feste, rituali) quale fonte per lo studio delle religioni. Una fonte preziosa specialmente nel caso dei cosiddetti «popoli senza scrittura», delle società arcaiche o di aree, anche europee, per le quali si dispone di una documentazione scritta solo da una certa epoca storica in poi.

De Zalmoxis à Gengis-Khan avrebbe avuto verosimilmente dimensioni ben maggiori qualora Eliade non fosse stato impegnato anche in altri cantieri editoriali (per esempio, il volume La nostalgie des origines, pubblicato da Gallimard, e soprattutto ciò che considerava ormai il suo opus magnum, la Storia delle credenze e delle idee religiose, che sarebbe poi uscito in tre volumi). Riferendosi al libro che stava per pubblicare, in una lettera del 1o agosto 1969 lo studioso scriveva: «Quanto a Zalmoxis ecc., il volume è meno ‘monumentale’ di quanto sognavo una ventina di anni fa». Precisando che aveva voluto concluderlo «a ogni costo» quell’anno, onde «diventare di nuovo libero per l’Opus magnum», egli aggiungeva che esso avrebbe dovuto includere altri capitoli sui călușari (v. l’Appendice al presente volume), le colinde (canti popolari natalizi e del Nuovo Anno), i culti sincretisti nella Dacia romana e le feste estive. Per il momento, l’intento era di tornare in un secondo momento sul lavoro per completarlo «o con un volume supplementare, o in una ‘edizione definitiva’». Altrimenti, lasciare che qualcuno, in seguito, «meglio preparato, possa tentare la sintesi che, oggi, mi sembra inaccessibile”». [11]

Nel 1970, nella Romania comunista di Ceaușescu, il nome di Eliade non era più tabù. Lo era stato dal 1945 al 1967, un periodo in cui nessuna delle sue opere fu pubblicata ed era persino vietato citarlo. Da alcuni anni il clima era cambiato; il regime era più sicuro di sé e si permetteva di allentare la repressione. Nella politica estera, più indipendenza nei confronti di Mosca. Sul piano interno, una maggiore apertura nei confronti della vecchia «cultura borghese», e una «valorizzazione critica del lascito culturale». Sicché, sempre più studiosi e letterati contattavano Eliade, alcuni anche in veste di direttori di case editrici (all’epoca, tutte statali) interessati a pubblicarlo di nuovo in Romania. Nell’anno in cui Payot lancia Zalmoxis, Eliade ottiene la cittadinanza statunitense, e una prima raccolta di undici opere di letteratura fantastica (romanzi e racconti) viene pubblicata di nuovo in Romania, dalla casa editrice Minerva di Bucarest. [12] Ciò porta, unitamente al successo di pubblico, a un rinnovato interesse nei suoi confronti, anche da parte del regime, che cerca di «coltivarlo» per interposta persona: amici, letterati, ex compagni di università ecc., incoraggiati a collaborare con la Securitate nella raccolta di informazioni finalizzate al «dialogo» con gli esuli e al loro eventuale «recupero», per scopi di propaganda. Questi «corteggiamenti» non diedero i risultati attesi perché Eliade, pur accettando, di norma, il contatto con scrittori attivi in Romania, si scontrava nella realtà dei fatti con un atteggiamento ambiguo da parte del regime romeno. A fasi alterne, la censura era più blanda e rilasciava i permessi necessari per la (ri)pubblicazione di alcuni suoi testi letterari, scritti in romeno, o per la traduzione delle opere scientifiche uscite in francese. Così, a parte la ripubblicazione di celebri romanzi giovanili, come Maitreyi (1933) e Nozze in cielo (1938), fino alla fine degli anni Settanta, la produzione scientifica eliadiana fu pubblicata solo in minima parte. Nel 1974, venne data alle stampe, in mediocre veste tipografica, l’edizione romena di Aspects du mythe (ed. it. Mito e realtà). Brani di varie opere di Eliade uscivano di solito solo su alcuni periodici culturali.

Ma Da Zalmoxis a Gengis Khan non era un libro come gli altri. Era l’unico volume scientifico, nella vasta produzione postbellica di Eliade, dedicato a temi culturali romeni. Pertanto, andava pubblicato, anche perché ben si integrava nella nuova tendenza nazionalista e «protocronista» dell’ideologia di partito promossa da Ceaușescu dal 1971 – anno della sua svolta «asiatica» (cinese e nord-coreana) – in poi. Una tendenza, quella del regime romeno, compatibile con quella «tracomania» che si era manifestata già prima della guerra, soprattutto a partire dalla monografia Getica (1926) dell’archeologo Vasile Pârvan, anche nella cerchia ristretta dei collaboratori di Eliade alla rivista «Zalmoxis», segnatamente nella persona dell’antichista (nonché teologo) Ioan Coman, convinto promotore di una lectio christiana del dio pagano. Così, dopo discussioni e preparativi durati anni, nel 1979 ne fu approntata anche la traduzione romena, che venne stampata verso la fine di quell’anno e distribuita nel gennaio del 1980, con prefazione dell’autore alla nuova edizione e un’introduzione scritta per l’occasione dall’archeologo classico Emil Condurachi. [13] Era una sorta di segnale per una più sostanziale – sebbene lungi dall’essere completa – «riabilitazione» editoriale di Eliade in Romania. Nel giro di pochi anni, vennero rappresentate due opere teatrali eliadiane – La colonna infinita (sullo scultore Constantin Brâncuși) e Ifigenia (rappresentata per la prima volta nel febbraio del 1941) – e fu pubblicata una seconda raccolta di racconti fantastici (În curte la Dionis, 1983), più completa di quella del 1969. E anche la Storia delle credenze in tre volumi venne pubblicata, prima e dopo la morte dell’autore. Il cui vero «ritorno» in Romania sarebbe avvenuto solo dopo la caduta del comunismo in Europa, alla fine del 1989.

In conclusione di queste brevi note sul libro ora riproposto al pubblico italiano, vorremmo sottolinearne la chiarezza di esposizione e la solida documentazione, che permettono un buon orientamento anche in questioni che restano particolarmente spinose, come quelle della «natura» e delle funzioni di Zalmoxis (di volta in volta visto come dio ctonio o uranico, profeta, sciamano, asceta, riformatore religioso, sacerdote di un culto misterico, maestro di iniziazione ecc.), su cui negli oltre cinquant’anni dall’edizione francese del libro la letteratura specialistica si è notevolmente arricchita. [14] Altrettanto validi, come guide per l’ermeneutica storico-religiosa delle tradizioni popolari affrontate, restano i capitoli «folclorici» del libro, ricchi di riferimenti e informazioni provenienti principalmente dall’area romena e balcanica, ma anche da altri spazi culturali euroasiatici. È un’opera la cui lettura ci rivela l’importanza delle tradizioni popolari in via (o a rischio) di estinzione, non solo nella Romania di oggi ma in tutta l’Europa centro-orientale. Un’area a lungo considerata «marginale o periferica» tornata ora drammaticamente di «attualità» con l’invasione militare russa in Ucraina, un evento che sembra rievocare quel «terrore della Storia» teorizzato da Eliade nell’immediato secondo dopoguerra, e su cui si è ironizzato, spesso per pregiudizi ideologici, sia durante gli anni della Cortina di Ferro sia più recentemente, nell’illusione della «post-Storia».

Trento, marzo 2022



Nota del curatore


La presente edizione riprende, con lievi modifiche correttive, la traduzione di Alberto Sobrero usata nella prima edizione italiana (M. Eliade, Da Zalmoxis a Gengis-Khan. Studi comparati sulle religioni e sul folklore della Dacia e dell’Europa Centrale, Ubaldini, Roma 1975). È stato ripristinato il titolo dell’opera originale (con Europa Orientale al posto di Europa Centrale); solo in copertina esso compare – per ragioni grafico-editoriali – in una forma sintetica, abbreviata.
Nel corso delle varie letture del testo, integrate con la consultazione delle edizioni francese, americana e romena, sono stati corretti i refusi e gli errori individuati, riguardanti nomi propri, termini specifici o riferimenti bibliografici. Nell’apparato delle note, è stato conservato il sistema semplificato usato dall’autore per le citazioni, armonizzato con le norme editoriali delle Edizioni Mediterranee. Poiché il corpo delle note relative ai vari capitoli è stato ora collocato in fondo al libro, con le note in un’unica progressione numerica, i riferimenti a una determinata opera compaiono in forma estesa nella prima menzione, in seguito solo in forma abbreviata.
A corredo della presente edizione viene pubblicato, nella traduzione di Igor Tavilla, un breve testo di Eliade, inedito in italiano, appartenente alla famiglia di studi che, secondo l’intenzione dell’autore (v. supra), avrebbero dovuto costituire delle integrazioni successive al libro del 1970, e che in parte sono stati recuperati in lavori conosciuti, come il vol. II della Storia delle credenze e delle idee religiose e il libro Occultismo, stregoneria e altre mode culturali. Infine, abbiamo approntato un Indice dei nomi comprendente gli autori e i personaggi storici menzionati nel lavoro.
Per aver collaborato al buon esito di questo progetto editoriale con letture e consigli, il curatore è particolarmente grato a Giovanni Casadio, Giovanni Verardi e Igor Tavilla.


(testi tratti dal vol.M. Eliade, Da Zalmoxis a Gengis Khan. Studi comparati sulle religioni e il folklore della Dacia e dell'Europa Orientale, nuova edizione riveduta e corretta, trad. Alberto Sobrero, introduzione e cura di H.C. Cicortaș, Edizioni Mediterranee, 2022)


Horia Corneliu Cicortaș
(n. 7-8, luglio-agosto 2022, anno XII)



NOTE

[1] Con ogni probabilità, titolo e immagine della copertina erano stati suggeriti (o tutt’al più accettati) dall’autore. In una lettera del 5 maggio 1970, da Chicago, Eliade si rivolgeva allo scrittore romeno Ion Brad con queste parole: «Riceverà da Payot il mio ultimo libro, De Zalmoxis à Gengis Khan, sulla cui copertina lei riconoscerà il nostro sigillo vivente, Decebalus per Scorilo» (M. Eliade, Europa, Asia, America… Corespondență, vol. III, a cura di M. Handoca, Humanitas, București 2004, p. 413).
[2] Per una discussione critico-filologica della relazione Daci-lupi nel libro di Eliade, si veda D. Dana, «Dacii și lupii. Pe marginea teoriei lui Mircea Eliade», in SCIVA, t. 51, n. 3-4, 2000, pp. 153-174.
[3] I carteggi convergono con la Prefazione, datata «Chicago, luglio 1969». Cfr. la lettera del 2 agosto 1969 al linguista e studioso di letteratura romena Gheorghe Bulgăr (M. Eliade, Europa, Asia, America… Corespondență, vol. I, a cura di M. Handoca, Humanitas, București 1999, p. 125), in cui comunica di aver «concluso, finalmente» la preparazione del libro.
[4] La traduzione italiana di Comentarii la Legenda Meșterului Manole (Publicom, București 1943) si trova in M. Eliade, I riti del costruire, a cura di R. Scagno, Jaca Book, Milano 2017 (prima ed.: 1990), pp. 3-114.
[5] M. Eliade, Diario portoghese, a cura di R. Scagno, Jaca Book, Milano 2009, p. 24 (annotazione del 12 gennaio 1942).
[6] Ed. it. Yoga. Saggio sulle origini della mistica indiana, a cura di U. Cundari, Lindau, Torino 2009. La tesi di dottorato (1933) alla base della monografia del 1936 è disponibile anche in edizione italiana: M. Eliade, La psicologia della meditazione indiana, a cura di H.C. Cicortaș, Ed. Mediterranee, Roma 2017.
[7] Riconducibile agli anni di Zalmoxis e al progetto di una monografia sulla mandragora/mandragola, voluta e persino annunciata più volte da Eliade (ma rimasto incompiuto) è anche il testo «La Mandragola e i miti della ‘nascita miracolosa’», uscito in francese nel vol. III (1940-1942) di Zalmoxis, tradotto in I riti del costruire, cit., pp. 115-165. Nel 2000, presso la casa editrice Polirom di Iași, è stato pubblicato, a cura e con uno studio introduttivo di E. Ciurtin, il volume Zalmoxis. Volumele I-III (1938-1942), che comprende la versione romena integrale dei tre fascicoli della rivista fondata e diretta da Eliade.
[8] J.-P. Roux, recensione su Revue de l’histoire des religions, t. 181, n. 2, 1972, p. 187. Jean-Paul Roux (1925-2009) è stato un orientalista e islamista, autore di diversi contributi sulla storia turca e mongola, Gengis Khan compreso. Il suo articolo, critico su alcune questioni tecniche, è comunque pervaso da un aperto entusiasmo per il libro recensito.
[9] M. Eliade, La prova del labirinto, tr. it. M. Giacometti, Jaca Book, Milano 2002, p. 92.
[10] Ivi, p. 93.
[11] Lettera a Dumitru Micu, ora in M. Eliade, Europa, Asia, America… Corespondență, vol. II, a cura di M. Handoca, Humanitas, București 2004, p. 262.
[12] Il corposo volume La țigănci și alte povestiri [Dalle zingare e altri racconti], con l’introduzione di Sorin Alexandrescu (XV+526 p.), venne stampato nel 1969, ma distribuito con diversi mesi di ritardo, l’anno dopo. Nella raccolta erano incluse quattro narrazioni pubblicate da Eliade prima di lasciare il Paese e sette scritte dal 1945 al 1963.
[13] La traduzione romena presenta anche una curiosa particolarità: la prefazione di Eliade scritta per l’edizione romena (datata Chicago University, 25 novembre 1978), è stata impaginata «tale e quale», senza uniformarla alle norme ortografiche in uso. Quando scriveva in romeno, Eliade seguiva le regole in vigore nella Romania «borghese» (pre-sovietica) e nelle pubblicazioni degli esuli. La seconda edizione romena (Humanitas, București 1995) non comprende più l’introduzione di Condurache, che pure presentava interessanti spunti di ordine archeologico, per esempio sui carri solari e il mito di Apollo nella religione dei Geto-Daci (M. Eliade, De la Zalmoxis la Genghis Han, Editura Științifică și Enciclopedică, București 1979, pp. 8-9).
[14] Per una discussione critica (storica e filologica) sul «dossier» del dio Zalmoxis, si veda la monografia di D. Dana, Zalmoxis de la Herodot la Mircea Eliade, Polirom, Iași 2008.