Antologia Giuseppe Pontiggia. Da «Le sabbie immobili» Bella, ma infedele L'espressione incontrò una fortuna che si è conservata fino a oggi, favorita forse dalla contiguità – attraente per tutti, tranne che per l'interessato – di seduzione e tradimento. Ben altro fondamento ha l'avversativo «ma» nell'ambito della traduzione. La si loda perché bella, ma la si biasima perché infedele. Questo appare più legittimo, perché alla nozione di «traduzione» – ovvero di «trasporto» da una lingua a un’altra – è sempre stata intrinseca una connotazione di «fedeltà» – ovvero di preservazione integrale del prezioso carico. Eppure se si riflette sulle tre parole – a conferma che gli strati del linguaggio non hanno fondo – si scopre che il loro accostamento è sospetto anche in questo ambito. È giusto infatti chiamarla ancora traduzione, sia pure bella, se non è fedele? Nel Seicento evidentemente lo si credeva. Lo attesta prima di ogni altro lo stesso Ménage. È vero che introduce un «ma» inquietante, però l'avversativo è pur sempre una congiunzione. Mette in luce l'incompatibilità tra due aggettivi, ma riesce al tempo stesso a farli convivere. Evento non raro, se si pensa ai matrimoni, almeno a quelli che durano. E un maestro della aggettivazione quale Manzoni vi era ricorso per superare un dubbio, non meno che per insinuarlo: «Gentiluomo sì, ma acuto». Oggi la convergenza di bella e di infedele, con o senza il «ma», conosce un periodo di eclisse che sembra giustificato. Sono cambiati i costumi della società e le regole del gusto, tra di loro in rapporto più stretto di quanto si pensi. Non si nega che un'opera infedele possa essere bella, ma perché continuare a chiamarla traduzione? Occorre rovesciare i termini del problema e introdurre una nozione più precisa di traduzione e più ampia di fedeltà, fondata su una presunzione paranoica, su un coraggio disperato. Fedeltà a tutti i valori dell'originale, compresi quelli estetici. Come potrà allora una traduzione che voglia essere fedele non cercare di essere anche bella? Se non vi riesce non sarà una scelta, ma una di quelle avversità contro cui vale la pena di perdere. tratto da Le sabbie immobili, di Giuseppe Pontiggia
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