«Se io ammazzo un romeno...». Responsabilità e danni del sistema giudiziario italiano Lo scorso 30 gennaio il Corriere della Sera ha pubblicato un articolo dello scrittore Antonio Pennacchi, premio Strega 2010, con il titolo: «Due pesi e due misure della giustizia italiana», ripreso integralmente qualche giorno dopo, precisamente il 2 febbraio, da Il Foglio con il titolo «Se io ammazzo un romeno e se un romeno ammazza me». Al centro due notizie di cronaca nera e giudiziaria che vedono coinvolte, con opposti ruoli, due cittadine romene, all’epoca dei fatti residenti in Italia. Fatti, conseguenze, implicazioni sono tragici e danno da pensare. Riportiamo integralmente il testo di Pennacchi, accompagnato da alcune nostre considerazioni.
Antonio Pennacchi: «Due pesi e due misure della giustizia italiana» «Pochi anni fa – era l’8 ottobre del 2010 – nella stazione della metro Anagnina a Roma vengono a diverbio, per questioni di fila, un ragazzo italiano di vent’anni e una donna romena di trentadue, di professione infermiera, sposata e con un figlio. Pare che poi – andandosene – il ragazzo le abbia detto: «Ma non te lo insegnano al Paese tuo a stare in fila?». Lei allora gli corre dietro fin fuori la stazione, inveendo e sputandogli addosso. Lui si volta, le sferra un pugno – non so se al volto o in testa – lei cade e resta a terra. Lui se ne va. Lo insegue però e lo blocca un militare di passaggio della Capitaneria di porto, che lo consegna ai vigili quando arrivano. Lei è sempre a terra. Chiamano il 118. Otto giorni di coma e muore. Si chiamava Maricica Hahaianu. È dell’altro giorno la notizia invece (26/1/2015) che il ragazzo condannato in appello nel 2012 a otto anni – per omicidio preterintenzionale e concessione delle attenuanti – è stato scarcerato, per essere affidato ai servizi sociali. Dopo complessivi quattro anni di carcere e arresti domiciliari, torna quindi in libertà, pure se relativa: «Potrà uscire di casa per andare al lavoro e in palestra, purché rientri nella sua abitazione entro le otto di sera». Stop. Pregiudizi sociali e responsabilità di una giustizia che non funziona I fatti riportati nell’articolo di Pennacchi suscitano a tutta prima secca indignazione, tanta è la discrepanza delle conseguenze penali delle due vicende. Ma ad imporsi ancor di più è la denuncia di uno stato di cose intollerabile – di là dai casi specifici e dalla nota disfunzione del sistema giudiziario italiano – circa il rapporto tra sistema italiano e cittadini romeni presenti in Italia, siano essi delinquenti (una infima minoranza di poche migliaia) o brava gente (la stragrande maggioranza di oltre un milione). Primo. Quanti danni abbiano arrecato alla dignità dei molti romeni onesti residenti in Italia, e a tutti gli altri che vivono in Romania, le vicende di cronaca nera degli ultimi dieci anni – dal caso Mailat alla miriade di furti e rapine – è forse impossibile da calcolare. Miti e ospitali italiani (perché questo, al netto di farabutti sfruttatori e di ottusi egoisti, è il buon registro di fondo del nostro popolo) si sono scoperti, loro malgrado, nemici giurati di un intero Paese, inferociti dalla devastante pletora di reati commessi da troppi delinquenti con passaporto romeno. E la distinzione rom/romeno, solo in alcuni casi dotata di solida giustificazione, ha effetto praticamente zero sulla coscienza collettiva del Paese: l'equazione «romeno uguale delinquente», «romena uguale prostituta» è diventata per molti italiani quasi un meccanismo riflesso. Se ciò fa male a quegli italiani che conoscono la Romania e la dignità di tanta sua brava gente, figuriamoci ai romeni… Secondo. C’è stato un periodo in cui – bisogna dirlo senza mezzi termini – anche la stampa italiana si è resa indiretta complice di questo dannato cortocircuito d’immagine, non solo per l'insistito e quasi compiaciuto rilancio di ogni episodio ascrivibile a cittadini romeni ma anche – e in certo modo soprattutto – per l'inadempienza sul fronte positivo. Quanto tempo ci è voluto – e con quale rara frequenza anche oggi accade – per far comparire, sulle pagine di quotidiani e riviste italiani, o nei canali di tv e radio, qualche servizio sulla Romania colta, seria, dinamica, bella? Prendiamo ad esempio il turismo, efficace via di mediazione interculturale e comunicativa, capitolo nel quale la Romania ha preziosissime carte da giocare (al netto del vergognoso disinteresse promozionale che le autorità di Bucarest hanno avuto e ancora hanno verso l’Italia, eccettuato l'ufficio nazionale romeno a Roma): quanto snobismo e quale congiura del silenzio nelle redazioni di certe riviste specializzate, dove la Romania passa come inesistente, sulla base di un pregiudizio negativo che semplicemente ignora l’eccezionale patrimonio e i servizi di cui il Paese dispone! Terzo. Premesso quanto sopra, il sistema giudiziario italiano ha non solo le specifiche responsabilità che gli appartengono per ambito di competenza, ma darebbe indirettamente un importante contributo anche alla correzione di immagine della comunità romena in Italia se emendasse almeno tre sue gravi lacune: aleatorietà della pena, cavilloso formalismo, mancanza di adeguati accordi tra Italia e Romania. Il sistema giudiziario italiano, facendo acqua da tutte le parti, finisce di fatto per consentire ad alcune migliaia di delinquenti romeni di infangare impunemente l'onorabilità di circa diciotto milioni di loro concittadini che vivono in Romania e di quel milione che vive e lavora onestamente in Italia. Siamo stanchi di vedere accomunati nella stessa barca del disprezzo delinquenti e galantuomini. Perché questo indiscriminato disprezzo è terreno di coltura, tra l'altro, anche delle ingiustizie denunciate da Pennacchi.
Giovanni Ruggeri |