«Eh bien, monsieur, vous avez raison». Eugène Ionesco nel ricordo di Giovanni Rotiroti

Il 13 novembre del 1986, durante la conferenza su Rhinocéros, tenuta nel teatro della Badia Fiesolana, presso l’Istituto Universitario Europeo, feci qualche domanda a Eugène Ionesco. All’epoca ero giovane, avevo vent’anni e studiavo all’Università di Lettere e di Filosofia di Firenze, il francese e il romeno. Durante la discussione con il pubblico, verso la fine dell’incontro, una signora dallo spiccato accento romeno aveva chiesto al padre del Teatro dell’Assurdo quale fosse stata l’influenza della letteratura romena sulla sua opera. Con tono sicuro, Ionesco negò qualsiasi tipo di influenza: «Aucune influence, aucune!», disse. A quella risposta di Ionesco che suonava come definitiva e inappellabile, provai dentro me una sorta di sussulto, come se mi fossi sentito da quelle parole chiamato in causa: «Comment - mi ero detto - aucune influence?».
Malgrado l’emozione che tendeva a paralizzarmi, presi la parola e rilanciai all’attore-autore che in quell’occasione aveva letto per un’ora il suo racconto Rhinocéros,la stessa domanda che aveva fatto precedentemente la signora dall’accento romeno, evocando in più i nomi di Ion Luca Caragiale, di Tristan Tzara, e forse anche Tudor Arghezi. Ionesco, senza alcun turbamento, continuava a negare: «Aucune influence, pas du tout, aucune influence», diceva. Allora, sempre più stupito da quell’ostinata negazione, tirai fuori dal cilindro, che poi risultò magico, un altro nome della letteratura romena, quello di Urmuz. Sentivo dentro di me che avevo trovato il nome giusto. Sostenni, forse in maniera un po’ patetica davanti a Ionesco, che quest’autore a Bucarest era stato «dadaista ancor prima di Dada» e che lui per primo aveva messo in scena in Romania la «tragedia del linguaggio» attraverso le Pagine Bizzarre. A quel punto,  Eugène Ionesco, per niente infastidito dalla mia insistenza, e forse sorpreso da quel ragazzo che lo incalzava con tutti quei nomi di scrittori romeni e che provava a spiegargli chi fosse realmente Urmuz, rispose con queste parole che si sono incise nella memoria: «Eh bien, monsieur, vous avez raison: sans l’exemple littéraire de Urmuz je ne serais jamais devenu l’écrivain que je suis».

Questa ammissione di Ionesco, ricordo, sbalordì letteralmente il pubblico allora presente. E io sentii affiorare in me un’indefinita emozione tra la vergogna e la gioia. Con ogni probabilità nessuno in sala sapeva che Ionesco aveva tradotto in Francia, durante il duro decennio degli anni ’40, alcune Pagine Bizzarre e che aveva scritto su Urmuz nel 1965 questa straordinaria testimonianza: «Urmuz, 1883-1923, inventò – forse dal 1907 o 1908, quando componeva le sue prime “pagine bizzarre” – un vero e proprio linguaggio surrealista. Era un coscienzioso magistrato, dall’aspetto borghese, ben educato, che non manifestava, apparentemente, nessuna singolarità, nessuna rivolta. Era un buon collega, un buon figlio, un buono scapolo. La prosa che scriveva era destinata ad essere letta ai suoi fratellini e sorelline, unicamente per divertirli. Fu solo verso il 1919 che alcuni temerari scrittori, venuti a conoscenza delle sue prime pagine manoscritte, compresero che l’onesto magistrato era portatore d’un messaggio del tutto particolare. Lo pubblicarono sotto questo nome di Urmuz, che nascondeva la prosaica identità del giudice Demetrescu. Urmuz fu trovato morto, nel 1923, all’età di quarant’anni, in un giardino pubblico. Non aveva fornito alcuna ragione del suo suicidio. E niente poteva essere segnalato di singolare nella sua condotta, al di là della folle passione per la musica. Urmuz è un surrealista autentico? O forse, visto che non abbandona mai la sua lucidità, è solo un burlesco fratello spirituale di Jarry? Oppure, se si vogliono scoprire talune implicazioni, può essere considerato anche una sorta di Kafka più meccanico e grottesco? I surrealisti di Romania lo rivendicano come caposcuola. In ogni caso Urmuz è veramente uno dei precursori della rivolta letteraria universale, uno dei profeti della dislocazione delle forme sociali, di pensiero e di linguaggio di questo mondo che, oggi, sotto i nostri occhi si disgrega, assurdo come gli eroi del nostro autore».[1]
All’epoca inoltre sapevo che Ionesco aveva dedicato un “ritratto” a Caragiale dal titolo Portrait de Caragiale (1852-1912) pubblicato nel 1962 in Notes et contronotes, in cui tra l’altro si legge: «Caragiale è probabilmente il più grande degli autori drammatici sconosciuti […]. Partendo dagli uomini del suo tempo, Caragiale è un critico dell’uomo e di tutta la società. Ciò che gli è caratteristico, è la violenza eccezionale della critica. Infatti l’umanità, come ci è presentata da questo autore, sembra non meritare di esistere. I suoi personaggi sono esemplari umani degradati a tal punto da non lasciarci alcuna speranza. In un mondo in cui tutto è derisione, bassezza, solo il comico puro, il più spietato, può manifestarsi».[2]

Ionesco, sinceratosi che io non fossi romeno, riprese il filo del discorso e cominciò a entrare in merito alla questione che avevo insistentemente provato a sollevare. «No. Non è stato Caragiale ad influenzarmi, ma forse piuttosto Tristan Tzara». E tenne a dare questa precisazione: «In Romania si è detto che io faccio del Caragiale, che la mia opera sia stata influenzata da Caragiale, ma io non noto quest’influenza. Del resto anche lo stesso Caragiale era stato influenzato. Cioè lui ed io avevamo la stessa fonte: i dialoghi delle portinaie di Monnier, Bouvard et Pecuchet, il teatro di Labiche. Tutto questo ha annunciato Caragiale. Non è per sottostimarlo, ma credo che, sia io che lui, abbiamo una fonte comune». In merito all’ influenza di Urmuz e di Tzara, Ionesco disse: «La tragedia del linguaggio con Urmuz, dadaista prima di dada… Sì, Urmuz, forse. D’altronde il Dadaismo è nato in Romania. Non lo si sapeva, ma attorno a questo poeta, prosatore, prosacteur, non so se lo conoscete in Italia, è uno scrittore difficile da definire, attorno a lui c’erano Tristan Tzara e Ion Vinea. Tristan Tzara ha lasciato la Romania verso il 1914 o il 1915 ed è andato a Zurigo portandolo con sé. Urmuz ha preceduto Tzara nella sua scrittura di un anno o forse due. Ho fatto io stesso delle ricerche quando ero un chercheur littéraire e non uno scribouillard come adesso. Ho visto che alcune poesie romene di Tzara come Glas…».

A questo punto Ionesco si mise a recitare a memoria in lingua romena i primi versi della poesia di Tristan Tzara:

Zid dărăpănat
Eu m-am întrebat
Astăzi că de ce
Nu s-a spânzurat

Lia, blonda Lie
Noaptea de-o frânghie…

[Muro cadente / Mi son chiesto / Oggi perché / Non si è impiccata // Lia, la bionda Lia / Di notte a una corda…]

Poi riprese il discorso in francese e disse che le poesie romene di Tzara – e in particolare Il canto del disertore, poesia quest’ultima tradotta in francese dal poeta Claude Sernet, anch’egli romeno come Tzara – devono molto a Urmuz. E infine concluse dicendo: «Il movimento Dada è partito da Zurigo e credo che il Surrealismo non sia che un ramo, una derivazione di Dada. È vero e non è vero. C’erano dei pre-surrealisti in Cecoslovacchia, me lo ha detto Kundera; c’era Kafka, c’erano dei pre-surrealisti in Russia, c’era Marinetti in Italia, ma c’era anche Alice nel paese delle meraviglie in Inghilterra. Credo che il Dadaismo abbia influenzato il Surrealismo. È possibile, ma c’è anche un’altra possibilità. Sebbene il Dadaismo abbia risposto a determinate circostanze storico-letterarie, Dada e il Surrealismo affondano le loro radici molto lontano nel tempo».

Alla fine della conferenza, quando le persone cominciarono ad andar via, mi avvicinai timidamente a Ionesco che in quel momento stava parlando con la moglie. Avevo l’inconfessabile desiderio di dirgli che mi sarebbe piaciuto scrivere la mia tesi di laurea su di lui, che io amavo alla follia il suo teatro e che per questo avevo scelto di studiare non solo il francese ma anche il romeno. Ma, mentre stavo cercando le parole giuste per dirlo, all’improvviso Ionesco si voltò verso di me, si avvicinò e in un tono che non ammetteva più alcuna replica, mi disse con fermezza che prima di scrivere qualsiasi cosa su di lui avrei dovuto accuratamente leggere le Pagine Bizzarre e scrivere la mia tesi di laurea su Urmuz. E per essere ancora più persuasivo mi disse che prima di calcare le scene e diventare un «semplice teatrante», era stato da giovane uno «studioso molto serio». Rimasi interdetto, senza parole. Mi voltai verso la moglie che avevo alle mie spalle e la vidi sorridere. Dopo avermi detto questo, mi fece un cenno di saluto e se andò via da lì portandosi la moglie a braccetto. Si dileguarono in un lampo tra la folla e non li rividi più.
Quel giorno insieme a me non c’era Marin Mincu, ma Marco Lombardi, che all’epoca era il mio professore di lingua e letteratura francese, il quale aveva presieduto brillantemente a quella straordinaria conferenza. Mi scusai con lui per aver forse un po’ troppo esagerato con Ionesco. Mi tranquillizzò dicendomi che avevo fatto bene ad intervenire animando in questo modo il dibattito. Ancora oggi lo ringrazio per avermi fatto partecipare a quell’indimenticabile evento, che ha segnato un tratto della mia vita.

Giovanni Rotiroti
(n. 1, gennaio 2012, anno II)


NOTE
1. E. Ionesco, Précurseurs roumains du Surréalisme, in «Les lettres nouvelles», Paris, XIII 1965, pp. 71-82.

2. Id., Note e contronote. Scritti sul teatro, traduzione di G. R. Morteo e G. Moretti, Torino, Einaudi, 1965, pp.131-132.