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Novità editoriale. «L'archeologia dell'amore» di Cătălin Pavel
È da poco uscito in Italia il best seller di Cătălin Pavel L’archeologia dell’amore. Dal Neanderthal al Taj Mahal, pubblicato da Neo. Edizioni e tradotto da Bruno Mazzoni, prefazione di Gigi Spina.
Cătălin Pavel è un archeologo romeno, studioso dell’antichità e gran divulgatore scientifico. Il suo libro racconta e indaga l’amore, le relazioni, gli affetti, partendo dai resti archeologici della preistoria (un ipotetico incontro tra sapiens e neanderthal) fino a reperti degli inizi ’ 900. Usa l’amore per portarci nell’indagine tipica dell’archeologia, alternando all’approccio scientifico, teorie e riflessioni. La scrittura raffinata, il metodo induttivo/deduttivo proprio di ogni scienza, appare qui nella sua incontrovertibile logica, offrendo una lettura di grande eleganza, acume e, soprattutto, ironia.
Il libro sarà presentato al Salone Internazionale del Libro di Torino domenica 22 maggio, alle ore 12.30, da Cătălin Pavel, Silvia Panichi e Bruno Mazzoni, presso lo Stand Romania, Lingotto Fiere. Per gentile concessione dell'editore, ne pubblichiamo qui la prefazione.
Come ogni anno, nel giorno dell’infausto incidente, Orfeo arriva a Procida.
Lo accompagnano due signori ben vestiti. Subito esegue una serie di gesti, gli stessi di ogni anno,
come il tennista Rafa Nadal quando deve servire o aspetta il servizio dell’avversario.
(G. Spina, Nel ricordo di Euridice, in L’isola degli dèi. Procida capitale della diacultura,
Liguori, Napoli 2021, p. 67)
Il rituale editoriale comprende spesso, come in questo caso, una Prefazione allografa (scritta cioè da qualcuno che non sia l’Autore) e un’Introduzione dell’Autore stesso. La posizione è a inizio-libro, ma quasi sempre i due testi sono stati pensati e composti alla fine: della lettura, da parte dell’Altro; della scrittura, da parte dell’Autore. Spesso, dopo le Conclusioni, che quindi si rivelerebbero pre-conclusioni.
Ma il lettore ha libera scelta: può leggere questi testi introduttivi alla fine della sua personale lettura del volume, magari per non farsi influenzare, o all’inizio, per lo scopo opposto, cioè per iniziare a leggere già informato.
Non so come si regoli il lettore di questo libro (quando parlo al maschile, intendo sempre tutti i generi possibili, mi perdonerete). So che, se sta leggendo, ha già comprato il volume, quindi il passo più importante è stato fatto, ora può fare davvero come gli pare.
Quando mi è stato chiesto (e di questo ringrazio traduttore ed editore) di scrivere una prefazione al libro di Cătălin Pavel, confesso di essere stato attirato dal titolo (non conoscevo l’autore), che non suonava come Archeologia dell’amore, un titolo foucaultianamente metaforico e che forse avrebbe consentito, stancamente, di immaginare già il libro cui faceva da bandiera.
No, L’archeologia dell’amore mi incuriosiva molto di più; curiosità che è diventata vera e propria ansia e godimento di lettura dopo le parole introduttive dell’Autore. E quando ho letto di Idee in cantiere, nonché la dedica «ai miei colleghi e amici dei cantieri archeologici di Romania», ho capito che in questo volume non si filosofeggiava né si sociologizzava, ma si guardava in faccia la realtà antica che l’archeologia ha consegnato e consegna quotidianamente da secoli, per trarne concrete riflessioni antropologiche, storiche e via riflettendo.
L’amore (qualsiasi cosa esso voglia significare nelle varie epoche) non pensato, ma visto, cercato nelle posture umane, nei segni materiali, nelle scritture immediate e non meditate a lungo, negli accostamenti e ricongiungimenti di corpi o anche solo di intenzioni; l’amore come attrazione ed empatia, riconoscibile perché ostentato. E dunque indagato anche nel rapporto fra Eros e Thanatos, per cercare di capire se, fra i due, sia il primo che porta drammaticamente al secondo o il secondo che, più dolcemente, rivela, segnala il primo. Ma forse il rapporto è biunivoco.
A fare da guida in questa ricerca, la cauta consapevolezza che «più di tanto non è possibile avvicinarci archeologicamente ai sentimenti delle persone scomparse». Perché sempre di persone si tratta (scusate se rido mentre scrivo queste parole, anche se non ve ne accorgete; il fatto è che mi viene in mente uno slogan pubblicitario, persone oltre le cose, che sembra adattarsi bene alla bisogna). E se di persone si tratta ‒ dentro le tombe, dietro le scritture, sotto la terra smossa e scavata con professionale circospezione ‒ lo sguardo e la posa del ricercatore/studioso devono essere proprio quelli che Cătălin Pavel adotta fin dall’inizio: non nascondersi dietro uno stile oggettivamente neutro, sapiente e informato, che comunica solo i risultati e non il processo appassionante che a quei risultati ha portato; non nascondere i dubbi, gli azzardi delle ipotesi o l’insoddisfazione per ricostruzioni certificate dal tempo come autorevoli, quindi intoccabili.
Lo stile, il modo di presentarsi, è di chi ci mette la faccia per farsi riconoscere ‒ e ora è come se io Cătălin Pavel lo conoscessi bene ‒, di chi fa intravedere il suo itinerario di lettura e di ricerca; di chi non ha nessuna esitazione a dichiarare i cortocircuiti fra passato e presente (fra scavo e schermo, mi verrebbe da dire), con lo sguardo del lettore non necessariamente professionale, ma curioso e pronto a imparare. I paragoni, le similitudini di Cătălin Pavel, tutti giocati sull’inatteso confronto, sulla quotidianità dei tanti momenti della vita, danno al lettore la possibilità di sentirsi coinvolto in un plausibile interrogarsi sul passato, anche se non si hanno ancora risposte complete e soddisfacenti. Perché, ripeto, sempre di persone si tratta, non di oggetti e libri soltanto. Volendo esibire una lettura cui tengo, direi che le comparazioni di Cătălin Pavel mi hanno ricordato quelle di Murakami Haruki, sempre inattese e feconde di pensieri e riflessioni nuove.
La passeggiata archeologica proposta nel volume, sia nel tempo che nello spazio, tiene col fiato sospeso il lettore, pronto ad affrontare nuovi paesaggi e nuovi incontri, perché ormai si fida della guida, che non inventa né contrabbanda saperi incerti, ma fornisce notizie, suggerisce risposte, sollecita nuove domande, sottolinea il valore del lessico, come quello delle iscrizioni pompeiane, trattate con un tocco magistrale.
Per concludere, tre omaggi del prefatore a questo metodo che condivido pienamente:
1) i vasi greci, per i contemporanei, avevano lo stesso valore documentario sull’amore che i film detti peplum, per il secolo scorso, hanno avuto per la conoscenza visuale (e parziale, certo) delle culture antiche. Repertori come quello di Hervé Dumont, L’antiquité au cinéma, 2013, li hanno segnalati meritoriamente al pubblico;
2) se le coincidenze temporali lo avessero consentito, sono sicuro che nel libro avrebbe ben figurato l’affresco su Leda e il cigno recentemente scoperto a Pompei e diffuso su molti siti;
3)
Quanto al Théon che vuole riconquistare, grazie a divinità globali (egizie, greche, semitiche), l’amore di Euphémia, come non ricordare, per la mia generazione, una canzone di Rossi e Bezzi, Ascoltami, portata al successo da Dalida nel 1965? Ascoltami, «tu che puoi sentir la voce mia dal ciel, aiutami, l’unico mio amore se ne va da me. Io dedico il mio dolore a te, per chiederti che torni da me. Aiutami, se restassi sola morirei, lo so; proteggimi, anche se puoi dirmi che non prego mai, perdonami, fa’ che ritorni a me, ti prego, riunisci tu il nostro amor».
Cosa posso chiedere, per finire, al lettore, che del resto ha già il libro? Di leggerlo con gusto e attentamente, di farsi trasportare nel tempo e nello spazio ma con i piedi ben piantati nel presente, e di regalarlo ad amiche e amici, perché questo viaggio nella concretezza dell’amore riserva quasi a ogni pagina sorprese e pensieri umani. E, come si sa, nulla di ciò che è umano può esserci estraneo.
Nota Bene. Chi si sia chiesto cosa c’entri l’esergo di questa prefazione, oltretutto narcisisticamente autocitante, vada, se vuole, al seguente passo di questo volume: «Questo è come se Federer ti mettesse la racchetta in mano e t’insegnasse a far passare la palla sopra la rete». Capirà, così, quanto abbia appreso da questo libro e quanto mi sia divertito a scriverne la prefazione.
Gigi Spina
(n. 5, maggio 2022, anno XII)
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