«Conoscenza per ardore». Omaggio a Mario Luzi nel centenario della sua nascita

«Noi siamo quello che ricordiamo.
Il racconto è ricordo, e ricordo è vivere»
Mario Luzi

«Chi sono io? Che idea di me vorrei svegliare nei miei eventuali lettori di domani?». Ecco la domanda basilare che Mario Luzi (1914-2005) non ha esitato a porsi, anche se ha avuto sempre la forza di conoscere e di imporre il proprio codice morale ed estetico. Ha scelto di rischiare senza tregua nella chiave di quel «non ancora, non abbastanza» della silloge Frasi e incisi di un canto salutare. Dal debutto del 1935 e fino ai primi anni del terzo millennio, ha dedicato la sua vita alla difesa e alla dignità della parola poetica. Forgiato e riconosciuto in una Firenze divenuta capitale letteraria d’Italia, Mario Luzi venne proposto per anni sulla lista dei candidati al premio Nobel per la letteratura. Ma nel 1997 gli fu preferito il suo connazionale Dario Fo, caso che portò il decano della poesia italiana a meravigliarsi pubblicamente: «Non sapevo che gli allori dell’Accademia Svedese venissero attribuiti anche agli attori!», avrebbe detto Luzi. Fedele alla sua arte poetica di asceta della parola che fa dal pudore dei sentimenti un onore, Mario Luzi non ha mai smesso di focalizzare i corsi e i ricorsi del mondo, strappando le maschere dei travestimenti e dell’insincerità.

La religiosa obbedienza della poesia

Alla connessione della poesia con la religione sono dedicate le più belle pagine del volume Naturalezza del poeta, scritti, 1990: «Il poeta è però, anche inconsciamente, influito dalla civiltà religiosa a cui appartiene» dato che «la poesia agisce secondo una sua necessaria dinamica, quella decisa a rovinare la lettera a favore del restauro e dell’espansione dello spirito». Ma in che modo? La battuta di Luzi segue il pensiero del filosofo Aurobindo che parla della «poesia mantrica» indiana, quella in cui non si discerne tra sacro e profano. E Luzi insiste: «L’Occidente non ha la parola mantra ed è estraneo al sistema in cui essa si trova. Però il fatto persiste lo stesso ogniqualvolta l’intuito suggerisce al poeta parole e immagini che superano la propria intelligenza; situazioni vissute diversamente dall’esperienza storica e tuttavia rivelatrici della realtà profonda, presagio, segno». Quindi, la forza della poesia risiede nel suo essere segno di cambiamento, presagio di metamorfosi e ubbidienza, similmente alle rondini del cielo viste mentre sembrano sorgere una dall’altra, staccandosi dal loro originario stormo, una dietro l’altra, disperdendo le loro veloci pattuglie.
L’esegesi italiana considera Luzi una delle vette della poesia cristiana europea. Colui che tenta di capire il male quale principio che sfugge all’intelligenza umana, di avere un dialogo con Dio, rivendicando il suo diritto di conoscere tramite domande le risposte del Creatore Assoluto, non esita formulare il proprio Credo: «Ho vissuto il cristianesimo come una via di ricerca, di perfettibilità. Il Vangelo è una sveglia che non ti permette mai di languire». Ieratica e duttile, netta e risonante, la poesia di Luzi prende di mira proprio il cuore dell’enigma. È un esploratore, un asceta della parola ispirata, sorgiva di presagi vitali e ricettacolo di messaggi profetici atti ad opporsi alla marea di parole che sta per affondarci. Perché oggi, crede il poeta, le parole vengono adoperate non per dire qualcosa, bensì per nascondere il vero intento, «non per avviare, bensì per deviare». Perché, aggiunge Luzi, c’è un’inflazione falsaria di parole devianti e corruttrici. Siamo sommersi dalle chiacchiere – «uno dei numerosi modi di passare sotto silenzio l’uomo. La parola». L’epigrafe del libro Per il battesimo dei nostri frammenti cita i versetti di S. Giovanni: «In principio fu la Parola e la Parola era la vita, e la vita era il lume degli uomini». L’antiumanesimo del ventesimo secolo è preso in esame dal poeta – terapeuta come l’inizio di una lunga agonia. Epilogo dell’ammalarsi del linguaggio «che si è spiegato nell’idioma delle armi e del sangue, proprio a causa della parola ingannevole che aveva contraffatto la vita, che aveva spinto la sua verità a diventare eresia». Luzi considera che la poesia rinnova l’armonia del mondo, anche se si tratti solo di proferire le sue parole. Ecco perché il poeta fa della sua scrittura un apostolato e una vera apologia della Parola poetica nella sua ipostasi trasfigurata nel volo alto, toccando il nadir e lo zenit del suo concetto, pari alla luce e non a una deserta trasparenza. 

Verso l'essenza trascendentale del mondo

Tra il debutto poetico con La barca (1935) e Tutte le poesie (Garzanti, 1998, I-II), ogni storia della letteratura italiana ricorda le più significative raccolte di testi poetici: Avvento notturno, Un brindisi, Quaderno gotico, Primizie del deserto, Onore del vero, Nel magma, Dal fondo delle campagne, Su fondamenti invisibili, Al fuoco della controversia; quest’ultimo volume vinse il Premio Viareggio. Luzi è pure l’autore di alcuni saggi (letteratura francese e italiana ecc.), dei quali segnaliamo L’opium chrétien (1938), Tutto in questione (1965), Vicissitudine e forma (1974).
Dall’esordio fino al Quaderno gotico, la critica ha intravisto il periodo ermetico, con l’apice nella silloge Avvento notturno. È la linea «orfica» del modernismo che ha il suo archetipo in Mallarmé, ma anche nel romanticismo visionario tipo Coleridge o Gérard de Nerval; la poesia luziana include naturalmente anche la parabola della poesia italiana descritta da Dino Campana a Arturo Onofri ecc. Seguace dello spiritualismo ermetico fiorentino (promosso secoli fa dallo gnostico Marsilio Ficino, il traduttore in latino del celebre Corpus hermeticum), Luzi interpreta l’essenza trascendentale del mondo, lasciandosi conquistare anche dai preziosismi araldici oppure dalla retorica degli oggetti ricorrenti nel parnassianesimo (tipo cristalli imperituri, cupi porfidi, stendardi reali, mucchi di perle ecc.). Oltre a vocaboli simili a glaciali gemme, Luzi, stimolato dalla sua scienza filologica e filosofica nonché dalle sue vastissime letture, include anche dotti latinismi, sensi etimologici e aggettivi occulti, sinestesie e codici stilistici personali o di significato molteplice. Un repertorio che, tradotto in chiave psicologica, palesa assenza, ascesi elitaria, immobilismo disilluso, cioè una specie di volontà che non desidera più, tutto profferto in endecasillabi perfetti, prolungati talvolta in eclatanti alessandrini.

Tra memoria e profezia

A partire però da Primizie del deserto, Onore del vero, Dal fondo delle campagne, quello che era marchio letterario diventa esperienza esistenziale. La separazione morale tra lo scrittore e il mondo si ridurrà sostanzialmente, fatto che si farà sentire anche dal punto di vista dell’espressione. Tanto la memoria che il linguaggio vengono richiamate se non accusate di infedeltà e inganno, dato che le poche certezze e valori dell’uomo lungo i secoli e nel presente immediato andavano in fumo. Siamo testimoni di un rimodellarsi interiore del poeta, adeguato allo stato di fatto purgatoriale, messo in scena tramite allegorie tipo La notte lava la mente; al tempo stesso Mario Luzi s’immedesima con il pellegrino dei campi metaforici del fuoco e dell’ardore. Il paesaggio che domina queste raccolte è cupo e arido, aspro e sferzante, popolato dal vento, ma anche da rarissime figure umane, il cui psichismo emblematico accresce il cruccio purgatoriale. Nel magma, questo poema multisequenziale delle varianti di una stessa simbolica situazione, sempre purgatoriale, è un dialogo teatrale tra ombre e sopravissuti, richiamando nella memoria le sceneggiature della reclusione di T.S. Eliot. Luzi offre riti di penitenza e autoanalisi in un clima tra lucidità e vaneggiamento onirico. Le frontiere tra poesia e prosa vengono abolite, le strutture figurative si dilatano, l’orgoglio poetico travestito in umiltà, confessa la sua vocazione metafisica.
Luzi è stato molto circospetto sia con riferimento all’ideologia tipo Pasolini – convinto che questa avrebbe avuto la tendenza di attentare al senso illimitato della poesia, quanto alle neoavanguardie che facevano dello smembramento e decomposizione, della derisione e dell’esibizionismo della pantomima della morte quale vita una sorta di ribellione estetica nonché tecnica. La poesia di Luzi, questo universo di segni della sconfitta, del dolore e dell’oblio, di voci imploranti in cerca disperata dell’amore, ha il suo perno tra memoria e profezia, tra ragione di vivere ed essere. Dal caleidoscopico svolgere della vita, i versi acquistano il loro senso di religioso stupore, di intima e raccolta pietas (G. Zagarrio). Il rapporto tautologico tra antitesi (tipo movimento-stasi, verità-enigma, vita-morte) definisce le strutture poetiche luziane.

Un viaggio terrestre e celeste

Il solipsismo dell’esordio sarà superato dal fermento vitale, spoglio d’ogni aura melica (retorica); l’esilio ermetico cederà a favore degli incontri umani, adeguati alle dimensioni del quotidiano, delle occasioni, della sorpresa, del contrappunto dialogico. Il linguaggio diventerà più fluido, più agile e incisivo nel denunciare le ferite e gli strappi provocati dai vari progressi tecnologici, dai falsi miti e idoli del successo e delle ideologie che tendevano a porsi come il solo punto di riferimento di un’umanità profondamente materialista. La tentazione edonistica delle prime raccolte cede il posto ad un accanimento glaciale, impietoso, sulla misura della sconcertante verticale del destino umano. Il rigore, la coerenza e l’impegno etico equiparano l’onore del vero e del poeta Mario Luzi, questo interprete stoico di un monologo esistenziale, quello del nostro viaggio simbolico, descritto nell’ampio poema Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini, pittore (Siena 1284 – Avignon 1344) tra l’altro, di una splendida Annunciazione. Il viaggio fu rivelato al poeta quale visione della fenomenologia dell’origine, nascita, storia e morte dell’uomo sotto il segno dello scoraggiante enigma planetario.
Colui che ha fatto simultaneamente l’elogio della vita e della morte, con religiosità e il presentimento del prodigio e dell’enigma («dentro la prigionia di sé ch’è il vero inferno»), il poeta che è disceso nel paesaggio umano, del villaggio e della campagna, delle umili origini – da cui rivendica il suo innamoramento, il vincolo alla figura materna e il motto «unità ed alterità/ sofferte anima e corpo» – Mario Luzi rifà dopo sei secoli il viaggio metafisico del suo concittadino Alighieri: rigetta la poesia mimetica («la mimesi senza perchè né come/ dei gesti in cui si sfrena la nostra moltitudine/ morsa dalla tarantola della vita, e basta») nonché chi rifiuta la poesia e la sua forza di redenzione. Al tempo stesso offre all’Italia e al mondo il testamento spirituale di un canto salvifico: oratorio, requiem e insieme trasmutazione.
Visionario come Dante, spiritualista come Marsilio Ficino, orfico come Mallarmé e assalito dai simboli come Dino Campana e Rilke, malgrado la sua straordinaria parabola espressiva e umana, non trovò il plauso della giuria del Premio Nobel per la letteratura che gli preferì, come dicevamo, Dario Fo, regista, drammaturgo e attore. Finalmente una riparazione morale di questa grave omissione è arrivata da parte del Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, che in occasione del novantesimo compleanno del poeta e saggista, l’ha nominato senatore a vita.

Dalla corrispondenza con Mario Luzi: tre lettere

La grandezza delle sua ispirazione poetica si accompagnava ad una straordinaria umanità, modestia e generosità intellettuale nei confronti dell’altro, anche se si trattasse, per esempio di un anonimo romeno (nel caso specifico il sottoscritto, che aveva pubblicato su una rivista un saggio sulla sua poesia). Ci permettiamo di riprodurre tre brevissime lettere olografe del poeta fiorentino.

Ecco la prima, datata il 10 gennaio 2000:
«Gentile Signore, la lettura del suo articolo mi ha procurato un vivo piacere. Intelligenza e chiarezza mi sembrano le migliori sue doti: di questo la ringrazio e la ringrazio anche della premura che ha avuto di inviarmelo. Le farò spedire a mia volta i miei due ultimi volumi pubblicati nel 1999. La passione (Via Crucis, rappresentata al Colosseo alla presenza e con la partecipazione del Pontefice) e Sotto specie umana. Quanto a Eminescu, sarà un bel regalo se mi manda la sua antologia tradotta in italiano. Fin d’ora, grazie! Abbia intanto i miei più sinceri auguri per la sua persona e per il suo lavoro di italianista. Suo Mario Luzi».
Ecco alcune frasi scritte da Mario Luzi sul nostro Eminescu:
«Per necessità naturale e per situazione geopolitica vissuta, Eminescu ha fatto ciò che nel secolo successivo al suo e anche oggi si tenta di fare per convinzione o per calcolo: una letteratura senza frontiere tra germanesimo e retaggio latino, tra oriente e occidente. Con questo respiro vivo, grande, spontaneo e conscio Eminescu ha dato freschezza e vigore al profondo “desiderio” romantico; e ha dato anche drammatica perspicuità all’accento della sua sconfitta, senza per questo compromettere o diminuire la sua energia creativa».

La seconda lettera è datata il 12 luglio 2001:
«Illustre Geo Vasile, strano, mi pareva proprio di averLe mandato a suo tempo una lettera di assenso e di stima per la sua opera di traduttore e scrittore bilingue. In ogni caso sulla sua illuminata fatica quel consenso sono lieto di confermarlo; di Eminescu qui in Italia e specialmente a Firenze abbiamo parlato più volte in convegni e tavole rotonde specifiche: e sempre il suo nome è stato ricordato come riferimento oggettivo. Lei dice benevolmente che io sono il solo europeo a intuire l’opera emineschiana: non credo di essere il solo, ma posso dirle che le analogie e le differenze (profonde) con l’amato Leopardi mi hanno aperto qualche spiraglio all’intelligenza del vostro grande Maestro. Eminescu ha lettori e perfino cultori in Italia. E anche la poesia romena non è sconosciuta. Avendo contribuito validamente a questo effetto, io credo che Lei, gentile Vasile, possa essere fiero del suo buon lavoro. Come dalla cultura italiana – specializzata, ma non solo da quella – spero, anzi sono certo che dalla cultura del suo paese i suoi ampi meriti Le verranno riconoscimenti in misura anche più convincenti di quanto già lo sono. Da parte mia – lo sa – non ci sono state esitazioni o dubbi. Con sincera cordialità, Mario Luzi».

La terza lettera mi fu inviata il 16 luglio del 2003:
«Gentile Geo Vasile, è un periodo poco felice per la mia salute, per questo le rispondo con ritardo, mi scusi. Il suo volume Lumea în 80 de cărţi mi si presenta come un’opera vasta e ben concepita. Essa denota l’ampiezza delle sue letture e dei suoi studi. Per me in particolare è motivo di letizia e di onore avervi un posto così rilevato. Grazie. Io non perderò occasione per citare e per lodare il suo libro. Spero proprio che abbia la fortuna che merita e che le sia riconosciuto generosamente il suo valore. Intanto le auguro una buona estate. Il suo Mario Luzi».
Quale postumo ringraziamento, non credo avrei potuto trovare una via più adeguata che traducendo in romeno una modesta antologia scelta tra le più belle poesie, messe insieme sotto il generico prettamente luziano «conoscenza per ardore»* e in cui si ritrovano pars pro toto quasi tutte le tappe che compongono la parabola lirica del grande poeta fiorentino.


* Mario Luzi, Conoscenza per ardore / Cunoaştere prin ardore. Antologia poetica italo-romena e postfazione a cura di Geo Vasile. Iaşi, Editura Feed Back, 2010.


Geo Vasile
(n. 7-8, luglio-agosto 2014, anno IV)