Capolinea Paradiso: «Duminică la ora 6», un film di Lucian Pintilie
Fingiamo di non sapere nulla. Di più: di non saperne nulla. Di non avere informazioni su ciò che la Romania sotto Ceaușescu era, giocoforza, costretta a vivere all'uscita di questo film. Di non sapere che dietro la parvenza di una tormentata vicenda d'amore, non priva di soffiate e tradimenti, si celano precisi echi storici e riferimenti intertestuali. Se si tralascia questo, e più semplicemente ci si abbandona alla trama, Duminică la ora 6 (in italiano «Domenica alle 6») non appare un film diverso da qualsiasi storia incentrata su una relazione infelice e senza speranza. Al contrario, l'esordio registico di Lucian Pintilie suona come un feuilleton di matrice arrabbiata e ribelle, come da recitazione teatrale degli interpreti.
La mise en scène contempla una figuratività che personaggi principali e comprimari accentuano con pochi scarni movimenti, perlopiù d'impulso, costantemente seguiti da un occhio che, sebbene si conceda le necessarie riprese in esterno, preferisce tuttavia gli ambienti chiusi e opprimenti. Pure, di rado accade che i due protagonisti siano lasciati da soli, e quando ciò avviene, i dialoghi si fanno incerti e privi di continuità; ugualmente però la tensione è palpabile, allo stesso modo di quando gli amanti sono in gruppo, in mezzo a tanti o a pochi, alla mensa o in un café. Regista contro il conformismo di regime Il controverso Reconstituirea («La ricostruzione») è alle porte. Ma prima che il cineasta di Tarutina conosca l'ostracismo, personale e artistico, già l'opera d'esordio – come lo stesso regista conferma – è un sopralluogo volto a far luce su una relazione contrastata che dà modo a Pintilie di cimentarsi in uno dei generi meno graditi al regime, e anzi più invisi: il thriller. Se il film seguente è l'opera perfetta, che si fregia di aura «maledetta» come Duminică la ora 6, quest'ultimo è il germe che conduce verso un'indagine introspettiva, dietro le cui pieghe lenta e inequivocabile trapela la facciata esterna, nascosta dall'allegoria, di un Paese colto nel vivo della tensione, dell'oltranzismo. Discorso a raggio che in Reconstituirea si sposta su più larghi registri, sino a comprendere la duplice esegesi dello schema di Potere, coi propri oscuri disegni, e del cinema quale strumento di denuncia dietro l'evasione, di realtà travisata e imposta versus realtà nuda e cruda, accuratamente omessa.
Un prodotto di transizione Duminică è un prodotto di transizione, che se da un lato si mostra figlio (delle mode) del tempo, e non può essere collocabile in altro periodo se non quello del suo concepimento, dall'altro è un titolo indispensabile all'interpretazione di Pintilie della realtà, nel proprio sguardo d'insieme, e della successiva filmografia, non solo del regista ma della Romania tout court. Basterebbe la predilezione mostrata a figure di giovani, sin da allora una costante del cinema romeno (che le leve del Noul Val riprenderanno con insistenza al momento opportuno), icone di un Paese e di un periodo che in numerose zone sono al centro di esplosivi mutamenti socio-culturali, mentre qui non incontrano una trasmutazione altrettanto immediata. Anche se l'ambientazione è quella del secondo conflitto mondiale, e la tirannia fascista incombente è un moloch impossibile da debellare, i volti di Radu e Anca sono proiezioni di quelli degli anni Sessanta, per tacere dei successivi, vittime immolate per le quali ogni prospetto d'uscita risulta assente. Il letargo è lungo e interminabile, la spirale di apatia e di quotidiana ripetitività ha il medesimo sapore del contrappasso che Radu conosce nel fotogramma conclusivo, contrapposto a quello d'apertura: poco prima di sfocare, l'obiettivo lo fissa mentre corre a perdifiato verso il mare, al pari del Doinel lasciato solo coi propri interrogativi, nell'inutile tentativo di sfuggire agli inseguitori.
L'alternanza tra blocchi narrativi diversi illustra come nella vita non vi sia un senso né un ordine, ed è questo lo stilema più caratterizzante del cinema di Pintilie, giacché non c'è un modo vero e proprio di entrare in argomento nel suo discorso: il tentativo del protagonista, in preda ai rimorsi, di riprendere la missione si rivela un'ulteriore beffa del Caso. La simbologia non potrebbe essere più esplicita: il Paese e i suoi abitanti, oggi come ieri, sono condannati come tanti criceti prigionieri di una ruota senza sbocchi. E la scelta di volti giovani, teneri e sprovveduti – chiamati ad assolvere compiti possibili più sulla carta che negli effetti – ne illustra l'ingenuità contrapposta alla necessità di una condizione in cui la durezza è l'unica modalità di sopravvivenza: il rapporto tra Radu e Anca, pulito e sincero, si accosta a un Sistema in cui la falsità assurge a legge. Molto prima di Nela e Mitică, del capitano Dumitriu e della moglie Marie-Thérèse o di Mitou e Norica, i protagonisti di Duminică fanno i conti con una realtà che rende indistinguibile il falso dal vero, la ragione dal torto, e ciascuno si ritrova a fare da occasionale ago della bilancia in un coacervo in cui tutti diffidano di tutti. La presenza d'interpreti dal volto triste e inquieto, dalla fibra segnata dalla vita (e dal Caso), dall'atteggiamento accattivante e dalla comprensibile inquietudine rispecchia quella dei miti ribelli dell'epoca, di bell'aspetto e tratto ombroso: dando pure per scontata la memoria del wajdiano Zbigniew Cybulski, come non trovare in Dan Nuțu somiglianze coi vari Brando, Jean-Pierre Léaud, Tom Courtenay, Lou Castel? Tanto più che dietro l'apparenza dell'opera stile Nouvelle Vague, il debutto di Pintilie dietro la cinepresa è un lavoro perfettamente coerente con la visione del suo autore, le cui cristalline idee sul Paese, sulle sue contraddizioni e il suo incerto futuro, emergono già in tutta la loro nitidezza, facendo di lui il più importante cronista di bilanci e fallimenti di cui la nazione disponga. Che l'applicazione Netflix permette di riscoprire in tanti prodotti, passati e presenti, come nel caso di tantissimo cinema romeno recente.
Francesco Saverio Marzaduri |