Antologia Dino Terra. Dal romanzo «Ioni»

Il sottotitolo del romanzo – Qualche tempo di due umani e d’un demone – Storia con avvenimenti rari normali curiosi e straordinari – Più delle considerazioni e altre cose interessanti – proietta subito una luce di sottile ironia sulle vicende, con l’inserimento dell’elemento fantastico («un demone») e la catena di aggettivi che connotano il termine «avvenimenti». La narrazione dei casi dei due umani, Ramik e Jone, è suddivisa in tre grandi parti o macro-sequenze, intitolate Primo Tempo, Secondo Tempo, Terzo Tempo, quasi si trattasse ancora di un’opera teatrale o di un film: quello che il demone vede scorrere davanti a sé sullo schermo del mondo reale, ovvero la vicenda amorosa, esaltante poi dolorosa, di un uomo e di una donna borghesi, che si incontrano, si amano e si lasciano. Le tre macro-parti o sezioni sono introdotte da una parte narrativa e chiuse da un’altra, ambedue evidenziate in corsivo. Queste costituiscono la storia primaria del romanzo, o, meglio, la cornice entro cui si inseriscono le altre vicende. (Dall'Introduzione di Daniela Marcheschi)


Nonostante la mia derisione


Nonostante la mia derisione, ripeté: «Sì, sì, e chi lo nega? L’aeroplano è utilissimo, il transatlantico poi è addirittura un albergo di piacere, ma io preferirò sempre una comoda cabina pullman della Compagnia internazionale di Carrozze con letto; non si vomita, non si precipita, si rimane attaccati alle gonne di nostra madre. Già quasi venti anni fa montai nel treno da uno dei paesi di questa solita Europa e scesi nel centro del Pamir. Ah, bellezza dei grandi viaggi avventurosi col biglietto combinato d’andata e ritorno! Conosci Samarcand? La Marcanda di Alessandro, la remotissima Tcin o Sa-Mo-Kien dei Cinesi, l’antica capitale della sapienza dalle monumentali Università millenarie, che ebbe un ancor più mirabile rinascimento per opera dei suoi stessi distruttori: Timur, come Roma, ebbe Giulio II. Samarcand la piazza dei popoli è il ganglio delle grandi arterie del mondo. Da Samarcand si irraggiano, la ferrovia per il Caspio, la Persia, da riallacciarsi alla linea Bagdad Europa; quella in direzione dell’India, verso Lahore: quella per l’Europa, via Marra o Perm’, quella per la Siberia e quella per la Cina. Beata Samarcand.
– A chi parli? Sono andato a passeggio in quei viali fiancheggiati da grattacieli di sette ottomila metri d’altezza, raggruppati intorno al Tagarma Building. Però scusa, è tardi, andiamo a letto.
Abitavo a poca distanza, eravamo rimasti a chiacchierare fuori del portone della sua dimora, fra la solita nebbia tradizionale e conservatrice; mi affrettai a piedi verso il mio Hôtel.
Mi ero appena incamminato per Northumberland Avenue quando mi si rivelò. Non ebbi mai un’altra sensazione talmente straordinaria e forte. (Ricordo bene che pensavo a un biglietto che dovevo mandare a S. M. Mc Brady, perché ero costretto a rifiutare un suo invito, non avendo nessun abito da società).
Fu da dietro, sul collo, un po’ a sinistra, a due o tre centimetri dall’orecchia: mi fu premuto un timbro arroventato, un bacio che mi bruciò fino al midollo. La paura muscolare dovette essere grandissima poiché mi sentii dai miei stessi muscoli gettato avanti, in un salto schivatore del nemico; e mi trovai a qualche metro, rivoltato, e col bastone brandito alla difesa. nudo. e verde. La paura sparì con la stessa fulmineità come era venuta, lasciandomi solo pel corpo un lungo fremito che sembrava l’eco del suo allontanarsi veloce. Nudo! Verde! Un uomo, mi aveva baciato all’una di notte in Northumberland Avenue, se fosse stato vestito... eh allora!... ma era nudo, e verde! Ogni timore svanì.
Che sbaglio! esclamò, e aggiunse in un inglese peggiore del mio: «Vi prego di scusarmi». Si tirò indietro. No la prego, rimanga, gli dissi, è un incontro estremamente nuovo e interessante.
– Già, lei non mi pare sorpreso; non è scappato.
– Prima che mi rivoltassi, ma appena lo vidi.
– Subito mi ha riconosciuto?
– Lei proprio, no. Ma però... pressapoco sì.
– Se mi fossi sbagliato con un altro chi sa che sarebbe successo!
– Scusi, ma chi cercava?
– Uno. Oh, che sbaglio!
– Le ero sembrato quello che cercava?
– Sì.
– Anche questo è interessante. Sembro... chi sembro, scusi?
– Un mio amico.
– Sembro un suo amico!
– Ah, ma si vede bene che è un altro.
Anche in questa foschia.
– Eh sì, non appena le si può discernere il volto. Hahu! dove lo troverò? E arriverò in tempo? Ancora mi perdoni.
– Aspetti. Mi dispiacerebbe che finisse subito così, scioccamente.
Del resto potrei essere utile anche a lei, senta...

Poi disse:
– Ho assistito a qualche tempo di due umani, e come sempremi ci sono attristito, divertito e annoiato. Ma poi, chi sa perché, mi sono affezionato all’uomo.

Ebbe un brivido. Imprecò. «Ah questa città! Ma Lei non fa caso a queste strade? I miei piedi sono invischiati fra uno strato di fanghiglia ghiacciata, una vera porcheria».
– Lo credo bene, come sta lei!
– Non ho pensato a sceglierne una almeno con un paio di sandali. – Pestò i piedi nel fango, mormorando: «Dove vivono!». Poi mi guardò la calzatura e mi domandò: «Scusi, le dispiacerebbe di prestarmi le galoches?». Subito gliele diedi.
Allora gli domandai se volesse pure il mio impermeabile: «Senza complimenti ché tanto sono ben coperto». Mi ringraziò ma non volle altro.

«Una cosa tanto banale, ma pure... Una storia comune, normale come la morte. Qualche tempo fra una donna qualunque e un uomo un po’ speciale, ma fatto come gli altri. E forse per questa profonda naturalezza acquista il suo significato universale».

– Sono incuriosito di quest’uno pel quale mi ha scambiato, e mi piacerebbe di sapere... inoltre Lei mi interessa molto. Perché non viene da me?
– Sì.
– Aspetti, non pensavo... così nudo!
– Non abbia timore. Vada pure, mi troverà da Lei.



Primo tempo
DIVERTIMENTI


A noi fanno ridere; lo sanno anche loro; e però non è una ragione assoluta; qualche volta non sorridiamo neppur noi, e arriviamo ad averne perfino «compassione»: p overini! – ecco sorrido, ma non l’ho fatto di quel noto tipo malizioso, è stata un’espressione ragionatissi ma – seria direi – perché siamo noi che li compiangiamo; qualche volta, perché (forse è ovvio dirlo) si sa bene che ci divertono molto.

Era qualche mese che bighellonavo, e qualche volta mi annoiavo. E per noi la noia è obbrobriosa, infame, delittuosa. A Darmstadt ero andato a visitare un vecchietto settantenne che faceva il satiro con le bestie (a noi le porcherie c’interessano
più delle virtù): oh coda mia, quale miseria! Avevo immaginato d’aver ritrovato un sugoso nipote di Pan, e non avevo trovato che un meschino e rimbambito. Che miserie, e che fatica (rido), tiravo il paleostriatum, pigiavo il sarcoplasma, solleticavo il cerebellum, pizzicavo il controllo paleostatico, grattavo il ponte di varolio, soffiavo sul peduncolo cerebrale, macché, niente. Niente. Non reagiva, peggio di un cucciolo! Un cervelletto fossilizzato. Scappai ridendo nel bacino mediterraneo. Una carovana di turisti entrava in una capannuccia: M useo preistorico. Vi andai anch’io. Il guardiano ripeteva la lezione aiutandosi con una bacchetta: «Signori, questi sono gli uomini dell’età della pietra, benché non conoscessero ancora i metalli potete osservare, quali armi affilate e acuminate riuscissero a trarre da comuni sassi... E già riuscivano ad adornarsi; ammirino queste collane di conchiglie e di ossa. Questo è lo scheletro di un uomo alto due metri e quindici, pensino o signori che giganti... e para-pa para-pa prrr... andavano a caccia dei cervi e degli orsi che mangiavano con... e papapa prrrr...».
Uscirono, rimasi. Io avevo conosciuto quegli uomini, mi ci ero divertito, ed anche li avevo commiserati; come adesso.
Eppure erano ben diversi. O h quali piacevoli istinti avevano e quanto mi divertivano, senza farmi sbalordire...
Entrò uno. Lo guardai con disprezzo, mi ricordavo di certi bei tempi trascorsi con quegli estinti. Almeno quelli...
Poi, salii nella grotta alta; vi trovai quello che era entrato solo e vidi che davanti agli scheletri di due ragazzi s’inchinava e...
Saltai sulla volta. Hahu! Chi era? M a non era un uomo? O che fosse uno di quei nostri grandi parenti che vengono sulla terra? No. Non ci vanno quasi mai, però... Gli andai davanti agli occhi. No, homo, sì, ma...
Le pupille di un nero perfetto. L a testa capace e finemente modellata che mi ricordava... che mi sembrava d’avere già conosciuta, e quello che gli avevo visto fare davanti ai resti di quei suoi antenati... Ne ebbi un’impressione allettatrice. Gli andai dentro.

Si erano svolti diversi secoli dall’ultimo uomo col quale avevo preso un vero interesse, e dopo questo lungo bighellonare ne avevo trovato finalmente un altro. E lo sentii in brevissimo tempo, perché lo trovai a lavorare internamente per una cosa che avrebbe dovuto produrre esternamente, e questa doveva essere di una grande importanza anche per noi. Ogni tanto si trovano degli uomini meritevoli del nostro elogio, ce ne sono già stati moltissimi e perciò essere l’inquilino di uno di questi è sempre per ciascuno di noi un piacere.
Ne fui contento anche perché sapevo che avrei potuto dargli un buonissimo aiuto, o stupidità, o rabbia, o uomini; non ho potuto dargli la mia collaborazione giacché lui non lavorò più a quella cosa. Sarebbe stata... era già... e invece non la creò esternamente, gli avvenimenti che io per caso vissi con lui, ve lo impedirono. Ed io già la conoscevo, già l’apprezzavo, già la gustavo.
Ahi; maggior rammarico. Era per gli uomini e il mio godimento era specialmente di conseguenza ai suoi effetti sull’umanità. Invece si formò una storia che impedì quella cosa.

[...]

––––––––––

Si riposarono. Abbracciati, fianco a fianco, intrecciati. Lei mormorò:
– Io sono te, tu sei me.
– Jone, tu l’hai sentito veramente? Sai che cosa hai detto?
– Non è la verità? Io non sono più io, sono te. Tu non sei più tu, sei me.
– È la ragione dell’amore, il fine dei nostri piaceri, la meta delle nostre eccitazioni, lo scopo. C o n f o n d e r s i.
– E non l’abbiamo raggiunta? Tu sei me...
– Sembra. – È l’ideale: empiere l’abisso tra me e l’altro. Far cessare la solitudine. – Ci sforziamo, c’illudiamo, ci affatichiamo, ci suggestioniamo per diventare un noi perfetto. L’ebbrezza dionisiaca ci aiuta nella transe. Poi stanchi, disperati, ci accorgiamo che non ci si riesce, che ogni sforzo è inutile, che siamo sempre soli. E sempre così, con nuove illusioni e delusioni. Beati quelli che non se ne accorgono. – Io... perché non vi è un legame fra me e l’altro? Eppure sono prodotto da altri, eppure la terra mi è madre, eppure dall’universo discendo! – Vomitati dall’utero il nostro destino è l’atroce solitudine della nostra personalità, fino all’estinzione. – L ’illusione amorosa: la donna, il figlio, il genitore, l’amico: far contatto con altri. – Una delle ragioni.
Jone che sto dicendo? M i sembro un evangelista. Sai, forse mi esercitavo in esperimenti letterari.
[...]


CORRISPONDENZA


Ricordatevi che ognuno parlava una lingua diversa, sconosciuta all’altro e che per intendersi eran costretti a esprimersi in un idioma di cui, per giunta, non erano affatto padroni. Lascio a questi documenti il loro barbaro sapore.

Lettera di lei.
Il giorno della tua partenza, 10 ore di sera.
Ramik come è terribile di non saperti più nella camera accanto, ma a Roma.
Io ho pensato tutto il giorno a te. È la verità, – e io ti amo con tutto il mio cuore, la mia anima (e ne ho) il mio cervello, con tutto, con tutto; io non ho mai saputo che un’altra persona mi potesse sconvolgere, e così tremendamente forte, come tu l’hai fatto.
E tu, – tu hai pensato??
Ho parlato di te con M.lle Zukor. Essa era triste perché non ti aveva veduto questa mattina, ed io le ho raccontato con una figura raggiante pensando al tuo arrivo venerdì 31-2, alle 15 e mezza in via... N... (l’indirizzo dell’Hôtel in cui andava ed in cui avevano fissato il primo incontro a Roma).
Ho parlato con Madame Foscarini e M.lle Adriana, con M.lle Mary, col piccolo pittore (tu non devi avere paura) solamente due minuti, allora me ne vado con un libro ed ho letto e ho pensato a te. Nel pomeriggio ero col bambino a... (il belvedere dove erano andati). Una passeggiata che mi ha lasciato molta libertà di dare il pensiero a te, – a te, – tutto il tempo mentre la vettura è montata, – a te, – a te. Ecco la strada a Roma. Che cosa mi vuoi tu raccontare a causa di quella strada? Pensandoci io ho domandato violentemente al cocchiere: questa è la strada per R oma?? Bisognava sentirgli dire «sì è la via per R oma», – per R oma, – dove tu sei.
Sì, io sono stupida R amik e non è la mia colpa.
Io t’ho cercato dappertutto, – nel salone da pranzo, pei corridoi, di fuori, nella tua camera, ma dappertutto, dappertutto.
Mr... (il direttore dell’hôtel) mi ha fatto sapere i tuoi saluti, io ho arrossito come una fanciulla di 16 anni, così stupida ti assicuro, così scioccamente, e nonostante ero follemente felice che tu ti sei ricordato ancora all’ultimo momento.
Ho una consolazione. È a causa tua. Ecco, a un’epoca oggi ho guardato le tue foto, ma esse non danno abbastanza. Speriamo che le altre siano migliori.
Io ho quasi detto oggi a M .lle Zukor che io ti amo. Dovevo – tu mi sei talmente mancato – ma come! Essa mi ha detto gentilmente, «comprendo così bene che M adame... abbia una grande simpatia per lui...»
Come è che tu ti senti? Io spero molto meglio.
Tu non devi avere nessuna paura, completamente; io voglio tenerti, curarti con tutte le mie forze, e R amik tu puoi avere «fede» e «fiducia» in me.
Quanto mi rallegro per rivederti, guardare i tuoi occhi e sentirti vicino a me.

Tua Jone
Io ti amo
Io ti adoro
(in italiano nel testo).


Pure la sintassi incoerente di questa comune lettera d’innamorata, è di valido aiuto per capire la sua personalità. E l’ho copiata e ne farò uno studio sull’influenza delle secrezioni glandolari nelle lettere amorose. Del resto in questa si può..
[...] .


Rimase in silenzio

Rimase in silenzio.
Dopo qualche minuto sentii il ticchiettio dell’orologio. – Mi alzai, feci qualche passo, andai alla finestra a guardare la strada.
Sento bene che è stato lei a raccontare, protestai quasi risentito, mi si è infiltrato dentro un certo malessere... Diamine!
mica siamo ai tempi del Werther che si rimaneva impressionati dai romanzi. Oh poi!
Mi guardava. Tornai a gettarmi sulla poltrona. Il suo sguardo che mi osservava cominciava a darmi fastidio quando finalmente frantumò il nuovo silenzio.
«Aspettava un tram in una via qualunque. Forse in uno di quei comunissimi palazzoni vi era la garçonnière d’uno..., ed essa in quella stessa ora poteva esserci andata... e forse in quel momento stava spogliandosi... Non poteva essere vero? E perché no? Che vi era d’impossibile? Tutte quelle finestre coi vetri chiusi... e forse lo stava ammiccando sorridente all’amante».
Supposizione di cui lui stesso era conscio della morbosità, eppure dovette allontanarsi subito, non poté aspettare il tram, fu costretto a fuggire. Eh, ehh, eh! Voi, tutti voi (si rivolgeva a me come al rappresentante degli uomini) potete sempre passare sotto una finestra da cui la vostra carissima... nascosta dai tendaggi, vi addita furbesca all’uomo che l’abbraccia...
Fuggì per quella supposizione. Io non gli avevo visto ancora un’angoscia tanto brutta, e forse così grave. E quando neppure un’ora dopo in un the mondano, una signora gli domandò perché fosse così pallido, si vergognò di sé, tanto che rimase qualche istante senza poter parlare.

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Stava disteso sul mio letto con le braccia ripiegate sotto il capo, in modo che Manet avrebbe potuto fare il «Pendant dell’Olimpia» in un nuovo impasto di colori. Il corpo verde col ventre a forma di lyra.

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Contrapposizioni di tempo. Gli uomini sono immersi nella vita che scorre e non ne escono mai a guardarsi. Pensate a questi miei due umani, lui e lei, adesso che si troveranno con un pezzetto della loro esistenza fissato. Immaginate? Ritrovare quella loro piccola vita di qualche settimana, fermata, diventata veramente concreta, dura come un pezzo di ferro. – Rivedranno i loro gesti che non si saranno più disciolti nel mare degli altri gesti, che non saranno piu scomparsi nell’irrealtà fondamentale della vita, ma rimasti; rimasti immobili, fermi, catalogati, come in un museo. Per loro certo un orrore, un’ossessione, un incubo. Spettri isolati dai cadaveri dei loro propri passati che verranno a interporsi nei banchetti come a Macbeth (e peggio essendo la larva di essi stessi). Eh, eh! miserelli, non se lo immaginavano che ci fossi pure io fra loro, e che gli avrei giuocato questo brutto tiro; poveretti! Ma poi chi sa se ne sentiranno l’orrore? Sono tanto curiosi! Potrebbero rimanere giù, tuffati, e allora... avrei riso inutilmente. Del resto glielo auguro, sarebbe troppo brutto per loro... se ne potrebbero ammalare...; se poi addirittura non se la prendessero con voi che apparirete in mia vece, che avrete la responsabilità dell’opera e della sua divulgazione. Sapete che esasperati potrebbero pure tentare d’uccidervi? Eh, non vi sarebbe niente di straordinario.
Sparì. Ero andato a girare la chiavetta della luce, era giorno chiaro, rivoltandomi non c’era più, sparito come la notte era apparso.
Non dico nulla di quel che provai appena mi lasciò. Dirò soltanto che certe mie speciali capacità erano inservibili e che il perturbamento poteva essere notato da estranei. (Qualche santo medioevale racconta che lasciano indietro puzza solfurea; beati loro che vengono scombussolati soltanto dal naso! Tutti i sensi, i centri più difficili, ogni briciola di me, lo aveva sentito).
Rimasi due giorni senza uscire dall’hôtel, ma inutilmente lo attesi. Fui ripreso dal tran-tran quotidiano. Passarono due settimane.
Quel giorno avevo avuto diverso lavoro da fare, rincasai stanchissimo, mi addormentai quasi subito. (In quelle ultime ventiquattr’ore, preoccupato per altre cose non avevo ripensato alla straordinaria conoscenza).
La mattina, svegliandomi, lo trovai seduto sul mio stesso letto. Sempre nudo, ma rosso. – Stava seduto a piè del mio letto intento a leggere con placida sfacciataggine alcune mie lettere molto intime che tenevo inchiavate in un cassettino
(il mazzo delle chiavi che vedevo ciondolare dalla serratura lo aveva dovuto prendere cercando nelle tasche dei miei pantaloni).
Me ne indicò un brano, aggiungendo: abbastanza interessante. E ne rise in tal modo che se fosse stato un altro avrei dovuto picchiarlo. Era nudo e di un bel rosso lucido, lucido (spezzettato avrebbe servito per pietrine abbigliatrici).

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«Il giorno dopo che vi lasciai potei rintracciare un compagno che lo aveva veduto. Hahu!»
Rise. Rise.

Lo aveva trovato in una camera con due studentesse non ancora ventenni. Facevano certe cose che da loro stessi ne ridevano, intercalando quell’allegria sanissima con bocconcini di dolci cremati. Terzetti così carini che se vi avesse assistito un voyeur se ne sarebbe entusiasmato. Finamente prima di sera quel compagno mi aiutò a rintracciarlo, stava nella seconda vettura dell’Étoile du Nord. Quel viso che rassomiglia ad uno che non ricordo...
Mi gettai dentro.
Nulla. Nulla.
Trovai banalità come queste:
«Carino quest’uso. Poi faranno Raggio di Sole e Chiaro di Luna».
Sereno. Per provarlo gli ho rimesso nella memoria quel paesino meridionale dove si conobbero e... «Ah già! Chi sa come le piacerebbe di conoscerlo!» (pensava di portarci la donna sconosciuta che viaggiava con lui!) «Tanto più che non ha mai visto il mediterraneo».
Sì. Mi ero ingannato. Sta bene. È un pochino innamorato di quella nuova amica ed ha ancora brindato a la vita. Che importa che abbia sofferto e che dovrà soffrire: adesso sta bene.

E nulla è rimasto. Prima che io l’incontrassi e adesso, qualche mese d’esistenza. Se gli dessero a leggere questo pezzo
della loro vita, la guarderebbero stupefatti; una cosa tanto lontana, incredibile, irreale come un romanzo.
Hahu!

Capisco, non sapete da che parte prenderla; e Pulcinella pure, era indeciso se dovesse riderne o piangerne. Poveretti!



Dal romanzo Ioni di Dino Terra (Marsilio, 2014)
con l'Introduzione di Daniela Marcheschi

Per gentile concessione della Fondazione Dino Terra


(n. 4, aprile 2024, anno XIV)