|
|
«L’Enigma di Otilia» di George Călinescu, capolavoro della letteratura romena, ora in italiano
Il più recente appuntamento de’ «I Mercoledì Letterari» dell’Accademia di Romania ha visto presentare un romanzo considerato un vero capolavoro della letteratura romena. Si tratta di L’Enigma di Otilia di George Călinescu, uscito nel 2018 per i tipi della Lithos Editrice, nella collana «Laboratorio Est/Ovest» diretta dal prof. Luigi Marinelli, docente di Lingua e Letteratura Polacca all’Università «La Sapienza» di Roma. Il romanzo è stato tradotto da Alessio Colarizi Graziani e Laura Vincze. In ciò che segue pubblichiamo l'introduzione del libro, a firma del prof. Bruno Mazzoni, docente di Lingua e Letteratura Romena all’Università di Pisa.
Invito alla lettura di un affresco d’epoca
L’enigma di Otilia è un romanzo di fattura balzachiana che comprende vari elementi di matrice modernista. Apparso nel 1938, a venti anni esatti dalla creazione della Grande Romania, presenta in maniera realistica una tranche de vie della piccola borghesia bucarestina dell’inizio del XX secolo, sviluppando una doppia problematica, quella della paternità connessa con quella dell’eredità patrimoniale.
L’enigmaticità della protagonista è forse il tratto più originale di questo secondo romanzo di George Călinescu (1899-1965) – prosatore, drammaturgo e grande critico letterario autore di una monumentale Storia della letteratura romena dalle origini ai giorni nostri (1941) – dal momento che ci troviamo dinanzi ad una deliberata relativizzazione della prospettiva narrativa (un’anticipazione, se volessimo fare un po’ di funambolismo fra le arti, di quanto si sarebbe visto un decennio più tardi nel celebre film Rashomon di Akira Kurosawa): Otilia non è ‘enigmatica’ in sé, quanto piuttosto perché l’autore tende a rappresentare i diversi modi in cui la sua personalità viene letta e interpretata da ciascuno dei personaggi coinvolti nella narrazione, in particolare dal giovanissimo Felix Sima, che se ne innamora perdutamente provando un sentimento puro e assoluto, o dall’anziano latifondista Leonida Pascalopol, che ammette di non sapere ben distinguere quanto c’è di paterno e quanto c’è di virile nel suo amore per la fanciulla… ma anche, con motivazioni diverse, da numerosi altri attanti, però non anticiperemo nulla, qui, degli sviluppi del libro che riserverà non poche sorprese per il lettore di romanzi.
La storia si sviluppa su due piani narrativi paralleli in cui coabitano e interagiscono personaggi in carne e ossa che assurgono a figure archetipiche classiche: Moş Costache, che ama filialmente Otilia – la nipote orfana di cui cura con fin troppo zelo, in qualità di tutore, la gestione degli averi materni – è l’avaro per antonomasia; Aglae Tulea, la sua avida sorella – sprezzantemente definita dall’autore, quasi fosse una mezzana plautina, «vecchia assoluta» – è colei che trama, insieme con le due figlie, per seminare zizzania e impossessarsi del denaro nascosto; Stănică Raţiu, il ‘genero’ della vecchia, avvocatucolo frustrato, è infine il tipo di arrivista che ne sposa in un primo tempo, per opportunismo, la figlia primogenita, Olimpia, di cui si libera in seguito, divorziando, dopo che è riuscito a rubare i soldi di Moş Costache. Due piani, si diceva, in cui assistiamo da una parte alle beghe e alle miserie morali dei vari membri della famiglia Tulea, tutti protesi a mettere le mani sull’eredità in possesso del vecchio Costache e ad allontanare quanto più possibile la legittima destinataria, l’inafferrabile Otilia, mentre dall’altra ci viene offerta una sorta di Bildungsroman relativamente a un altro orfano che arriva in città per iscriversi alla facoltà di medicina, il deuteragonista Felix, il quale, al contrario, impersona il giovane provinciale ricco di ideali che, pur non riuscendo a coronare il proprio sogno d’amore, saprà affermarsi nella società e percorrere una brillante carriera.
Viene in questo modo a configurarsi un emblematico caleidoscopio urbano di figure che, sia pure tipizzate fino al punto da poterci far pensare a una vera ‘commedia’ di caratteri, restano memorabili nella loro raffigurazione, nei loro tratti comportamentali, nelle loro uscite e nei loro tic verbali, ben rappresentando la quotidiana comédie humaine, a inizio Novecento, in una città balcanica collocata alle porte dell’Oriente, «où tout est pris à la légère».
Bruno Mazzoni
(marzo 2019, anno IX)
| |