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Il pittore Bogdan Vlăduță, invitato a «Orizzonti d’arte»
L’invitato della nostra rubrica «Orizzonti d’arte» è, in questo numero, il pittore Bogdan Vlăduță (n. 1971). Ha studiato pittura ed è stato allievo del Prof. Ștefan Câlția fino al 1996 presso l’Università Nazionale di Arte a Bucarest. Ha avuto come maestri di pittura gli artisti Sorin Dumitrescu e Ion Grigorescu. Tra il 1996 e il 2009 è stato docente presso la Cattedra di pittura all’Università Nazionale di Arte a Bucarest. Nel 2017 ha discusso la sua tesi di dottorato dal titolo Paesaggio romano – Itinerario di un pittore.
Nel 2007 pubblica Roma (Ed. A.A.M. e UNARTE), un volume bilingue, in romeno e italiano, immaginandolo come un oggetto artistico, corredato di testo, pittura, fotografia e proponendo un concetto nuovo di pubblicare. Nel 2010 fonda la Galleria di Arte Contemporanea Recycle Nest a Bucarest, insieme al pittore Sorin Neamțu, un progetto portato avanti fino al 2013.
Partendo dalle più recenti e andando a ritroso nel tempo, ricordiamo tra le personali: X'S and MARTYRS, Baril Gallery, Cluj-Napoca (2017); Loci, Ana Cristea Gallery, New York (2014); Războaiele aduc muzee, con Ion Grigorescu, Galeria Recycle Nest, Bucarest (2012); Roma văzută cu ochii - Roma inventată, con Ion Grigorescu, Storck Museum, Bucarest (2011); Urban Archeology, Ana Cristea Gallery, New York (2011); The Self-portrait, Galeria Recycle Nest, Bucarest, (2010); Moarte Romei!, Muzeul Național de Artă, Cluj-Napoca (2008); ROMA, Muzeul Național Cotroceni, Bucarest (2007); Arte in cantiere, Galleria A.A.M. Roma (2004); Extreme Paintings, Galeria Catacomba/Muzeul Național de Artă, Bucarest (1999).
Tra le mostre collettive vanno menzionate: Mother Tongue, Sector1 Gallery, Bucarest (2019); Lux, Une Énergie Roumaine, Tours Société Générale, Paris La Défense (2018); A Midday Stillness, Feinkunst Krueger Gallery, Amburgo (2018); From different Angles, MNAC Bucarest (2018); Seing the History – 1947-2007, The collection of MNAC/MNAC Bucarest (2018); The Opening of the MARE Museum in Bucharest (2018); The Burning Island, The City Museum of Belgrade, Serbia (2017); Opening Night: Part II, Galeria Yelmani, Bruxelles (2016); Art Encounters – Biennale di Timișoara (2015); Romanian Scenes, Espace culturel Louis Vuitton, Parigi (2013); The Naked Man, Ludwig Museum Budapest (2013); The Continuation of Romance, Rosenfeld Porcini Gallery, Londra (2012); Funeraria, Muzeul Național de Artă Contemporană, Bucarest (2011); Curated by_EAST by SOUTH WEST – by Ion Grigorescu/, Gallerie Mezzanin, Vienna (2011); Construcții Auxiliare Provizorii, Galeria Recycle Nest, Bucarest (2009); PAINTING (RO)MANIA, Pictura figurativă contemporană din România, Banca Central Europeană, Francoforte sul Meno (2009); Lamentații, Galeria HT003, Bucarest (2007); Fresce din Colecția Fundației Anastasia, Casa GHIKA BOSSY, Bucarest (2007); Rudenie și Patrimoniu, Casa Kalinderu, Bucarest (1999); Una Bisanzio Latina, Sala Bramante, Roma (1999).
Il pittore Vlăduță è stato borsista «Vasile Pârvan» presso l’Accademia di Romania in Roma tra il 2002 e il 2004, periodo di cui ci fornisce un’intensa e rivelatoria testimonianza.
Roma, città dei pittori
Trattandosi di una dichiarazione d’amore per il passato, le parole sembrano uscire con un timbro che evoca un gemito. A Roma, luogo inondato dalla metafisica dell’età antica, dove l’attualità riporta un grande insuccesso, la dinamica pittorica ha subìto un importante cambiamento. Sono stato tirato dentro dalle energie dell’età antica e coinvolto in quel più ampio progetto della mia sfera affettiva. Non sono io quello che ha scelto di dipingere quadri che rappresentano la Città, non sono io quello che ha intonato il canto d’amore, ma neanche qui dove ora mi trovo, fremendo d’impazienza di rincontrarmi con la Capitale, mi trovo per una missione personale. Niente di tutto questo ho potuto controllare né premeditare, tutto è stato stabilito contemporaneamente al primo attimo di ammirazione per la Città.
A livello metafisico e iconografico, Roma possiede l’espressione dell’ovvietà, potenzialmente irripetibile sul piano della storia urbana europea, ma anche un’opportunità che aspetta di essere attivata sotto il segno dell’arte. L’incontro con il luogo non può essere fruttuoso se non sotto il segno delle immagini in «rilievo» e delle caratteristiche volute dalla Tradizione: misura reale, immaginazione adombrata dal rilancio di modelli figurativi e retorica del progresso/innovazione attraverso il ritorno/ricaduta come mentalità artistica.
Cosa offre Roma, oggi, al pittore paesaggista?
Sotto il segno della natura, i romani hanno intuito e coltivato la scuola di preservazione di pregevoli soluzioni per la composizione di forme paesaggistiche. I suoi giardinieri hanno saputo elaborare in termini di allestimento, di conservazione e di articolazione con le strutture urbane, ascoltando anche la risposta spontanea proveniente dalla natura, alcuni dei più mirabili esempi di parchi e zone verdi.
Sono partito dalla convinzione che ogni pittore, resosi responsabile del patrimonio personale dell’indagine artistica, deve vedere e percorrere Roma. Se il Reale decodificato si identifica con la bellezza e si può racchiudere essenzialmente in un luogo, se il paesaggio può esistere e proliferare in molteplici aspetti naturali, botanici, climatici, psicologici, emotivi ecc. capaci di incarnare il soggetto della pittura, allora sceglierei Roma come ricettacolo di tutto ciò.
Roma affascina sin da subito, per le energie che lasciano tracce e cambiano la vita. «Ho visto Roma» non è solo una frase di circostanza, è anche una prova di orgoglio che nasconde in sé il modo in cui ho cercato di rubare elementi nuovi della città sperando di poterli fare nostri. Il nostro occhio ruba e conserva nella mente. Il pittore paesaggista riesce a testimoniare ciò che ha visto, attraverso poteri che dimostrano la sua capacità magica di ri-offrire, ri-presentare le verità catturate dal pittore, modificate dall’opinione personale aggiunta al reale.
Di come si mostra il mondo ordinario, dell’uomo per strada, ma soprattutto dell’occhio intelligente del pittore ne è responsabile Roma e tocca a me, pittore investigatore, ricordarlo. Se sono d’accordo col fatto che questo luogo piace in modo patologico, allora accetto l’ipotesi del laboratorio artistico dietro ogni veduta, statua e pilastro gettati nella vegetazione della Città.
Come una pietanza – il piatto di pasta preferito dai romani, la farina dell’ostia per la comunione di un Cristo romano, il formaggio de La ricotta di Pasolini – che può essere assaggiata solo da chi si offre in sacrificio a Roma, allo stesso modo vengono offerte da mangiare anche a me, pittore, con l’intero suo paesaggio in perfetta armonia con la terra, la sua vegetazione e le sue rovine.
Le rappresentazioni che la città scocca come frecce postula il progresso dentro. Roma è un luogo assordante non solo per la sua bellezza, ma anche perché morta innumerevoli volte come un’entità che si seppellisce all’infinito nello stesso pezzo di terra su cui sembra lavorare con la sua propria scomparsa.
La metafisica della Città scansiona un cammino incessante, dentro e fuori. Non può catturare l’immagine, ma può compensare l’orgoglio nelle lamentazioni con le quali la tradizione delinea il contorno.
L’autocoscienza della tradizione, nella sua esacerbazione, si proclama dittatura dell’età antica. Quale sarebbe una possibile modernità? Roma non può essere essa stessa trascendente – perciò le manca la scintilla, pietra rara della verticalità – ma la grandezza sta nel raccogliere i residui di coloro che hanno preso parte alla trascendenza, facendo proliferare il carattere di ospite eccezionale. Una sorta di visione indimenticabile che attira al suo interno la stessa storia. Orbene, proprio la metafisica, accennata prima, di un magnifico meccanismo dentro-fuori, costruisce l’unicità di questo luogo. Qui si quantifica la traccia e si inventaria la direzione di un’avventura. Il gioco provocato dal computo di queste secrezioni della storia, a volte chiamato archeologia, ma imparentato così spesso con la poesia o la pittura, celebrante la storia che riesce a infliggere la morte a sé stessa (mi viene in mente la capacità di un’epoca di sparire e attrarre a sé le orme della sua dinamica trasferita ai parenti più giovani), plasma il fascino della Città.
[…] «Esiste una motivazione divina nella creazione dell’uomo, là dove scopriamo come la nostra andatura, l’orientamento e i movimenti di cui è fatta la nostra esistenza quotidiana si estendono verso l’immagine, verso ciò che si vede.
E allora quando pensiamo all’ordine in cui il Signore ha foggiato l’uomo, ci rendiamo conto che il paesaggio è anteriore alla vista/all’occhio, mentre il corpo è posteriore all’osservazione. Non è inutile affermare che l’occhio è motivato dalla sostanza del luogo da vedere. Il Signore ha iniziato a costruirci dalla testa, dagli occhi.
L’andatura è una questione forte determinata dalla vista. Le differenze tra il piano anteriore/fronte e piano posteriore del corpo/retro sono marcate dalla vista e dal fatto che procediamo nella stessa direzione del piano visivo. Da dove sopravviene anche l’inclinazione del «dietro» verso le retoriche astratte e la fragilità in rapporto con la dimensione concreta visiva.
L’espressione «ed è stato ucciso alle spalle...» svela esattamente il carattere astratto che acquisisce la morte imprevista, il non prenderne coscienza. Si morirà quindi faccia avanti!
O: «allora ha rivolto le spalle al paesaggio e ha dipinto...»: ciò significa ritiro dalla prossimità del concreto, rifugio nell’astratto e in ciò che costituisce l’orgoglio personale. Un pittore realista è colui che non abbandona il concreto, la mano livida della morte, l’immagine superba dell’amore. È il modello di Van Gogh, quello che dà il nome al mondo visibile e ha il coraggio di vedere.
(in verità devo confessarvi che, in questo momento, trovandomi sul treno che mi sta portando a Roma, mi è passato accanto un cieco. Con il bastone si faceva strada per raggiungere il suo sedile.)»
Bogdan Vlăduță, Jurnal, 12 maggio 2003, in viaggio da Venezia a Roma
L’esperienza pittorica mi dà la certezza che il luogo che racchiude il pittore è fondamentale anche per l’organizzazione della percezione, simile a uno studio ineffabile, che ti insegna a guardare e a indagare, e che si insinua in ogni immagine dipinta. Man mano che ci si avvicina a Roma, la propria esperienza garantisce un altro modo di vedere, diverso da quello originario sperimentato a scuola e nei luoghi natii. In base al suo aspetto, Roma diventa un frullatore di stimoli, confonde i sensi, dilata i pori delle sensazioni, contraddice i luoghi comuni delle comunicazioni visive. Oso affermare che Roma ti insegna a vedere in maniera diversa. È noto che le cose da vedere sono collocate in un’altra dimensione rispetto a quella attuale. Qui guardo su e giù, cerco sotto una pietra, scopro nuove intuizioni, elaboro attrazioni particolari, indago ogni angolo del campo visivo, perché ho la certezza della ricchezza e della maturità dell’immagine. La pittura può nascondersi ovunque.
Bogdan Vlăduță
Traduzione di Elena di Lernia
(n. 2, febbraio 2020, anno X)
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