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Inedito. Da «Sessualità e società. Storia, religione e letteratura» di Andrei Oișteanu (I)
Pubblichiamo la traduzione del brano Soția infidelă şi jurământul de castitate che apre il secondo capitolo dell'opera Sexualitate și societate. Istorie, religie și literatură di Andrei Oișteanu, Editura Polirom, Iași, 2016. Si tratta della prima di una serie di traduzioni di brani estrapolati dall'opera, e qui proposti, che nascono dalla volontà di far conoscere, agli addetti ai lavori ma non solo, la genialità di uno scrittore e la particolarità di un’opera che non conosce ancora una sua versione italiana.
Uno scrittore non dovrebbe mai porsi dei limiti. Anzi, al contrario, dovrebbe sempre dar voce e luce a tutto ciò che rimane nell’ombra, perché forse troppo scomodo, tanto da divenire quasi un tabù, mentale e linguistico. Lo sa bene Andrei Oișteanu, che nelle sue opere ha dato spazio e forma ai temi più tabuizzati nel corso della storia, come la sessualità, la droga e, non ultimo, l’antisemitismo.
Ricercatore presso l’Istituto di Storia delle Religioni (Academia Română) e professore associato all’Università di Bucarest, Andrei Oișteanu, infatti, si è sempre distinto per i suoi campi di ricerca che spaziano dall’antropologia culturale, all’etnologia, fino alla storia delle religioni e delle mentalità.
Sexualitate și societate, la cui prima edizione appare nel 2016, ovviamente si inserisce in questo contesto, toccando un tema abbastanza controverso e spesso soggetto ad attività di soppressione e censura letteraria, come quello della sessualità. Ma senza alcuna paura, e in maniera altamente persuasiva, l'autore si immerge in questo campo di conoscenza, trasportando con sé il lettore in questo complesso ma ambizioso progetto.
Andrei Oișteanu cerca così di tracciare una sorta di mappa, temporale e spaziale allo stesso tempo, per scandire e analizzare la storia della sessualità, l’evoluzione dei rapporti uomo-donna e i giochi di potere in cui la sessualità è stata sempre uno strumento, come suggerisce Foucault.
«În tot ce am scris, nu i-am adus sexualității omagiul pe care îl merită» [1], con queste parole di Emil Cioran si apre la prefazione firmata dallo stesso Oișteanu, in cui vengono elencate le motivazioni alla base della genesi di quest'opera. Di certo non solo il desiderio di rendere omaggio a un tema complesso, come appena citato, ma anche il desiderio di indagare e rendere più chiari a tutti i meccanismi delicatissimi e misteriosi che si nascondono dietro e che costituiscono l’anima stessa della sessualità, e i modi in cui essi influenzano a loro volta i meccanismi propri della società, dell'etica e della cultura.
Un’analisi dall’approccio comparativo che segue due coordinate fondamentali, ovvero il tempo (dall’Antichità fino ai giorni nostri) e lo spazio (da ovest ad est, dall’Europa all’Asia). Un approccio del tutto casuale, quasi naturale, come afferma lo stesso Oișteanu, e quindi non una scelta di stile premeditata. Ed è forse la mancanza di uno stile deciso che porta molti a ritenere caotica e confusionaria l’organizzazione del materiale. In uno stesso capitolo, infatti, come in un gran calderone, l'autore getta l'analisi dell'epoca di Gilgamesh, la leggenda di Erodoto, la descrizione di una consuetudine nuziale nella cultura tradizionale romena, un’abitudine sessuale presente fin dall’Antichità e una novella di Vasile Voiculescu. Tanta roba, forse troppa. Ma solo per chi non sa guardare nel modo giusto l’approccio comparativo dello scrittore che ha carattere funzionale: apparentemente sembra obbligare elementi tra loro diversi, che non hanno nulla in comune, a condividere le stesse pagine, ma in realtà si tratta di espressioni varie dei medesimi modelli psicologici e mentali. Modelli e manifestazioni che si susseguono di fatto senza una logica prestabilita o un ordine sistematico.
35 capitoli in cui l'autore passa in rassegna la sessualità in tutte le sue forme e manifestazioni, da ogni punto di vista. A catturare maggiormente l’attenzione e la curiosità di Oișteanu è lo Ius primae noctis a cui è dedicato tutto il primo capitolo, per poi ritornare prepotentemente anche in altri capitoli. Ma altrettanto spazio è concesso alla cultura romena, in tutte le sue forme (religione, folclore e letteratura), perché se è vero che lo scrittore ha uno sguardo internazionale, che nel capitolo 4 lo porta a un excursus della sessualità nella letteratura europea, è altrettanto vero che, grazie a numerose collaborazioni e aiuti esterni, largamente ringraziati nella prefazione, l’autore ha uno sguardo speciale per la propria cultura (capitolo 5). In particolar modo, qui l'autore analizza due forme sopravvissute nella cultura romena e derivanti dallo Ius primae noctis, ovvero il diritto di approvare un matrimonio e la tassa sulla verginità.
Un viaggio inaspettato tra culture e letterature diverse, tra consuetudini di un tempo e quelle attuali, passando per leggende, detti biblici e credenze popolari e magiche ( interessante l’analisi delle credenze mitologiche che attribuiscono un potere malefico al ciclo mestruale delle donne nel capitolo 6, sostenuta dalla credenza arcaica e tradizionale, riportata nel medesimo capitolo, che percepisce la vagina «ca un loc prestigios al corpului femei, dar şi periculos din punct de vedere magic» [2]). Un viaggio anche alla scoperta delle asimmetrie di genere, la loro origine ed evoluzione fino alle moderne forme che ancor oggi caratterizzano la società. Non ultimo un viaggio attraverso le mille facce della sessualità, quelle che ancora fanno inorridire, come la pedofilia e pornografia, o che spaventano, come l’omosessualità e l’esuberanza sessuale (capitolo 33-35). Non mancano poi anche le stranezze (nei capitoli 9 e 10, infatti, vengono enunciati feticci erotici come i capelli o le gambe) o le curiosità linguistiche come quelle legate ai significati dei termini presenti nelle nostre lingue e fortemente legate alla sessualità (capitolo 11).
Note
[1] «In tutto quello che ho scritto, non ho mai reso alla sessualità l’omaggio che merita».
[2] «come un luogo prestigioso del corpo della donna, ma anche pericoloso da un punto di vista magico».
Moglie infedele e giuramento di castità
Erodoto racconta la storia di un superbo re egizio, di nome Ferone, che ha voluto arrestare, a colpi di lancia, l’inondazione provocata dal Nilo. Per tutta risposta, il sovrano è stato accecato dal dio del fiume. Dieci anni dopo questo avvenimento, l’oracolo gli aveva comunicato che sarebbe potuto guarire dalla cecità solo se «avesse inumidito gli occhi con l’urina di una donna che non fosse vissuta con nessun altro all’infuori di suo marito o che non avesse conosciuto altri uomini». Né l’urina della propria moglie, né quella di altre donne del regno l’hanno guarito. Con una sola eccezione. Ferone ha ucciso, bruciandole vive, tutte le donne infedeli, prendendo per moglie la donna devota, quella la cui urina gli aveva restituito davvero la vista (Istorii II,111) (10, p.178 [1]). Molto probabilmente, Ferone non è un nome proprio, ma il titolo (leggermente alterato) della sovranità stessa, il Faraone. Si ritiene che si tratti del faraone Menephtah III, durante il cui regno gli ebrei sono emigrati dall’Egitto alla Terra Promessa (sec. XIII a.C.).
L’urinoterapia è un metodo di guarigione secolare, conosciuto nell’Antichità da ebrei, cinesi e indiani (medicina ayurvedica). Il proverbio del Vecchio Testamento «Bevi l’acqua dalla tua cisterna e quella che scorre dalla tua Fontana», considerato dagli esegeti come un riferimento all’urinoterapia, è interessante in questo contesto, soprattutto perché il rimedio è consigliato contro l’infedeltà sessuale. D’altra parte, nel folclore medico romeno, ci rassicura il dottor Charles Laugier, il rimedio «quello più insolito, quello più difficile da trovare» è l’urina «della donna rimasta fedele al proprio uomo» (15, p.53 [2]).
Una storia simile a quella di Erodoto è raccontata anche Diodoro Siculo. Il faraone ha iniziato la ricerca dell’urina che guarisce
con la sua stessa moglie e tentò anche con altre donne, ma non ne trovò
nessuna senza peccato, salvo la moglie di un giardiniere, con cui si unì
pure in matrimonio dopo essere guarito. Mentre arse vive le altre donne…
(Biblioteca istorică I, 59, 2-3) (42, p.71 [3]).
L’etnologo Stith Thompson ha indicizzato il tema della «moglie infedele», ben rappresentato nella mitologia popolare e nella letteratura folcloristica (14, p.828 [4]). In verità, l’uccisione delle donne infedeli è un tema letterario arcaico, che è sopravvissuto saldamente fino a tarda età, in epoca romantica. L’opera di A. S. Puškin è rilevante in questo senso. Un buon esempio è il poema Gli zingari, scritto da Puškin nel 1821 (quando si trovava in esilio a Chișinău) e tradotto dal figlio di un boiaro della Bessarabia, Alexandru Donici, nel 1837. Il protagonista (Alecu) uccide la moglie infedele (la zingara Zamfira) e il suo amante («il giovane zingaro»). Tutto si svolge a Bugeac, a sud della Bessarabia, da qualche parte fra il Prut e il Nistro.
– Qui voi morirete amando!
Alecu ha gridato terribilmente,
gli si è scagliato contro e lo ha anche colpito
nel petto con lo iatagano.
È caduto morto lo zingaro. (Gli zingari, 1821)
Entrambi, tanto la moglie infedele, quanto l’uomo adultero, dovevano essere uccisi dal marito tradito. Era una consuetudine valida anche in Moldavia nei primi decenni del XIX secolo, contemporaneamente ad Aleksandr Puškin.
Il marito ingannato – scriveva Radu Rosetti, nipote di principe moldavo –
ha non solo il diritto, ma anche il dovere di uccidere tanto la donna che ha
infranto la fedeltà [nei confronti del marito], quanto il suo amante (16, p. 103 [5]);
Oppure:
Cogliendola [la moglie] sul fatto dell’infedeltà, avevo non
solo il diritto, ma anche il dovere di ucciderla (16, p.124 [6])
Sempre con un crimine passionale, vendicativo, si conclude il poema puškiano Lo scialle nero:
Mi ricordo il silenzio, vedo sangue: schizzava…
È morta la [donna] greca e l’amore con lei. (Lo scialle nero, 1820)
Non a caso Puškin ha collocato la storia del poema Lo scialle nero proprio nello spazio dell’Impero Ottomano, a sud-est dell’Europa, molto probabilmente in Dobrugia o a sud della Bessarabia, a Bugeac. Decapitati, il corpo della giovane greca («una greca delicata con una bella capigliatura» nella traduzione di Costache Negruzzi) e quello del suo amante armeno sono stati gettati nel Danubio. Venuta meno la propria fiducia nella fedeltà sessuale delle donne, il protagonista puškiano ha fatto un giuramento di castità. È anche questo un modo (addolcito!) per eliminare le donne dalla vita:
Da allora non bacio gli occhi di nessuno
e non vi è una notte piacevole nella mia triste vita
Anche il giuramento di castità dell’uomo, scontento delle mancanze morali e sessuali delle donne, è un tema mitologico – letterario arcaico. In conformità con Ovidio (Metamorfoze X, 244-247), Pigmalione, scultore leggendario di Cipro (secondo alcune fonti, il re di Cipro), soffre di ginofobia e fa un simile giuramento di castità: «Dal momento che le [le donne] vidi in fallo, indignato dai difetti che la natura ha dato in gran numero alle menti femminili, Pigmalione visse celibe, senza moglie e per molto tempo è stato privo di una compagna di casa» (622, p.286 [7]). Egli si innamorerà solo della donna «artificiale», priva dei difetti della natura, della donna «perfetta», Galatea («quella bianca come il latte»), scolpita da lui stesso e animata dalla dea Venere.
Note
[1] Herodot, Istorii, vol.I, studio introduttivo di Adelina Piatkowski, traduzione e note a c. di Adelina Piatkowski e Felicia Vanț-Ştef, Editura Ştiințifică, Bucarest, 1964.
[2] Charles Laugier, Contribuții la etnografia medicală a Olteniei, edizione critica a c. di Adrian Michiduță, Editura Aius, Craiova, 2011 (prima edizione: Craiova, 1925).
[3] Diodor din Sicilia, Biblioteca istorică, traduzione di Radu Hîncu e Vladimir Iliescu, Editura Sport-Turism, Bucarest, 1981.
[4] Stith Thompson, Motif-Index of Folk-Literature, vol.6, Rosenkilde and Bagger, Copenaghen, 1958.
[5] Radu Rosetti, Părintele Zosim şi alte povestiri, edizione a c. di Radu Gârmacea, Editura Humanitas, Bucarest, 2014.
[6] Radu Rosetti, Părintele Zosim şi alte povestiri, edizione a c. di Radu Gârmacea, Editura Humanitas, Bucarest, 2014.
[7] Ovidiu, Metamorfoze, studio introduttivo, traduzione e note a c. di David Popesc, 2a edizione riveduta, Editura Ştiințifică şi Enciclopedic, Bucarest, 1972.
A cura di Valentina Elia
(n. 4, aprile 2020, anno X)
Andrei Oișteanu (n. 1948) è ricercatore presso l’Istituto di Storia delle Religioni (Academia Română) e professore associato all’Università di Bucarest. I suoi campi di ricerca sono l’etnologia, l’antropologia culturale, la storia delle religioni e delle mentalità. Autore di importanti saggi socio-antropologici, tra cui Ordine e caos. Mito e magia nella cultura tradizionale romena (2004), Le droghe nella cultura romena (2010) e Sessualità e società. Storia, religione e letteratura (2016), è stato tra l'altro insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana conferitagli nel 2005 dal presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Di Andrei Oișteanu sono stati finora pubblicati in italiano i volumi Il diluvio, il drago e il labirinto. Studi di magia e mitologia europea comparata (Verona, 2008) e L’immagine dell'ebreo. Stereotipi antisemiti nella cultura romena e dell’Europa centro-orientale (Livorno, 2018).
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