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Andrei Oişteanu, «Le droghe nella cultura romena. Storia, religione e letteratura» (III)
Andrei Oişteanu (n. 1948) è stato ricercatore presso l’Istituto di Storia delle Religioni (Academia Română) e professore associato all’Università di Bucarest. I suoi campi di ricerca prediletti sono l’etnologia, l’antropologia culturale, la storia delle religioni e delle mentalità. Autore di importanti monografie e saggi su temi “scottanti” come l’antisemitismo, le droghe o la sessualità nella cultura moderna (alcuni dei quali pubblicati in vari Paesi), è stato tra l’altro insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana conferitagli nel 2005 dal presidente Carlo Azeglio Ciampi.
In italiano sono usciti finora i suoi volumi Il diluvio, il drago e il labirinto. Studi di magia e mitologia europea comparata (Fiorini, Verona 2008) e L’immagine dell’ebreo. Stereotipi antisemiti nella cultura romena e dell’Europa centro-orientale (Belforte, Livorno 2018).
Eminescu: il sole nero della Malinconia
Eminescu è stato un oniromane. La sua opera è profondamente onirica. «Il gregge dei miei sogni che porto al pascolo come pecore d’oro» (Memento mori, 1872). Un gregge di sogni. Una fila ininterrotta. Sogno dopo sogno e sogno nel sogno. Il mondo e gli esseri che lo popolano non sono che creature oniriche di Dio. L’uomo di Eminescu è «il sogno di un’ombra e l’ombra di un sogno», passando per «l’universo illusorio», che – a sua volta – è «un sogno del nulla». L’esistenza, un gioco perverso di allucinazioni sensoriali e mentali, «un sogno selvaggio». «La vita è uno stagno di sogni indomiti».
Essere? Follia triste e vuota;
L’orecchio ti mente e l’occhio ti imbroglia;
Quello che un secolo ti dice gli altri ritrattano.
Piuttosto che un sogno insipido, meglio niente.
Vedo sogni incarnati rincorrere sogni,
Fino alle tombe che aspettano aperte,
E non so cosa fare:
Ridere come un matto? Bestemmiare? Piangere?
(Mortua est!,1871)
Eminescu, olio su tela dell'artista romeno Jan Albu
«Uno sciame di sogni», concludeva G. Călinescu (Opera lui M. Eminescu [L’opera di M. Eminescu], 1934), che cercava di spiegare «l'incantesimo» di Eminescu, «il potere narcotico» del verso attraverso «la capacità di sprofondare nel torpore» e di sognare del poeta. [1] Le sostanze narcotiche sono presenti negli scritti di Eminescu. Sufficienti elementi sono nominati o solo suggeriti: «cespugli di alloro», «boschetti di alloro», un volo tra le stele del principe dopo aver bevuto dal «bicchiere del sonno», «rocce di mirra», odore di ambra –, «il nettare soporifero dell’Oriente» –, «Toma sta sognando sul suo letto e fumando con profondi tiri da una lunga pipa», «trema il corpo di piacere» dopo aver bevuto «un vino[vecchio] trasparente come l’ambra» ecc.
In Eminescu, il vento porta fragranze afrodisiache: «Io chiedo […] / al vento che soffia / di invadere di profumi la mia guancia» (Azi e zi întâi de mai [Oggi è il primo maggio], 1876). Invece «l’erba narcotica» – come la chiama G. Călinescu [2] – provoca allucinazioni uditive: «E attraverso l’eco delle onde/ Attraverso il moto dell’erba alta/ Ti faccio sentire in segreto/ L’andatura della mandria di cervi» (O, rămâi [Oh, rimani],1879).
I fiori del tiglio sono, a loro volta, soporiferi e onirogeni, tali da provocare «sogni felici»: «Ci addormenteremo, ci seppellirà/ Il fiore del tiglio sopra di noi/ E nel sonno udiremo il suono del corno/ Dagli ovili» (Povestea codrului [La leggenda del bosco], 1878); o «Addormentati nell’armonia/ Del bosco mosso dai pensieri/ Fiori del tiglio sopra di noi/ Cadranno fila dopo fila» (Dorința [Desiderio], 1876). Rami ricoperti di tiglio accompagneranno il poeta anche dopo la morte. Ecco come descrive Titu Maiorescu la sepoltura di Eminescu, in una lettera, datata il 21 giugno, e indirizzata a sua sorella: «Cara Emilia, nella nuova chiesa di S. Gheorghe, la bara aperta di Mihai Eminescu era adornata con rami di tiglio, in memoria delle sue poesie dal profumo di fiori di tiglio».
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Per Titu Maiorescu, la «neuropatia» del poeta «si può osservare in linea ascendente, avendo motivazioni ereditarie»: «Se è impazzito Eminescu, la causa è esclusivamente personale, è innata, è ereditaria» scriveva Maiorescu nel 1889, subito dopo la morte del poeta. In altre parole, non fu la sua vita sregolata (abuso di eccitanti, esaurimento, astemia, insonnia ecc.) ad aver provocato la pazzia, come sostenevano alcuni, ma il contrario. «Del resto – concludeva Maiorescu – anche quando il suo spirito era lucido, il suo stile di vita aveva fatto temere ai suoi amici la morte. La sua vita era sregolata; spesso si nutriva solo di stupefacenti ed eccitanti: abuso di tabacco e di caffè, notti trascorse a leggere e scrivere, giorni interi senza mangiare, e poi di colpo, a orario insolito, dopo la mezzanotte, cibo e bevande senza criterio e senza misura; così era la vita di Eminescu. Non questa vita gli ha causato la pazzia, ma i germi della follia congeniti hanno portato a questa vita» (Eminescu și poeziile sale [Eminescu e le sue poesie], 1889). [3]
Verso la fine del mese di giugno 1883, Mihai Eminescu ha sofferto di un noto crollo psichico. Nel numero di luglio della rivista Literatorul, Alexandru Macedonski s’affrettò a pubblicare l’infelice epigramma:
Un tale X, presunto poeta – ora
Ha intrapreso la strada più dolorosa
Lo piangerei se in un manicomio
Il suo destino non fosse migliore.
Perché fino a ieri è stato uno sciocco
E oggi non è altro che un pazzo.
Da parte di Macedonski (Macabronsky, come l’ha soprannominato I. L. Caragiale) è stata una stupida provocazione, che ha scatenato un immenso scandalo nella società romena. «La pubblicazione dell’epigramma – osserva giustamente Iulian Costache – ha imposto un cambiamento degli stereotipi [da parte della stampa]. Dal prender le distanze da Eminescu si è passati al prender le distanze da Macedonski». [4]
Nell’estate 1883, Mihai Eminescu venne ricoverato presso il sanatorio «Caritas» di Bucarest, in via Plantelor n. 9. Era la prima clinica specializzata in malattie mentali di Bucarest, fondata nel 1877 dal dottor Alexandru Suțu, pronipote dell’ultimo sovrano fanariota della Romania. Qui, il dottor Suțu ha curato il poeta – sostiene G. Călinescu – «con cloralio [idrato] e morfina». In verità, sembra che questi fossero i rimedi somministrati agli alienati, come sosteneva lo psichiatra George Miletciu alla fine del XIX secolo: «bromo [bromuro], iniezioni di morfina, cloralio idrato». [5] «In preda all’avvelenamento del sangue – scrive G. Călinescu –, Eminescu, delirando, si lasciò andare alle allucinazioni della sua mente».
Un’invenzione relativamente recente, l’idrato di cloralio (o cloralio idrato o semplicemente cloralio) è stato utilizzato nella seconda metà del XIX secolo come analgesico, sonnifero e sedativo (così come abbiamo visto precedentemente, in particolare per la regina Carmen Sylva). Ignorando le reali proprietà psicotrope, il cloralio è stato erroneamente prescritto, soprattutto per l’uso a lungo termine. Esso provoca una forte dipendenza e ha effetti negativi sugli stati psichici. Friedrich Nietzsche è stato una delle vittime illustri del cloralio, ma non la sola. In isolamento in un sanatorio psichiatrico, Antonin Artaud – curato con il cloralio – è morto nel 1948 per la somministrazione di una dose letale di morfina. Uno storico britannico dell’utilizzo dei narcotici, Robert Himes-Davenport, ha redatto una breve lista di intellettuali affetti da cloralio: «A Friedrich Nietzsche [il cloralio] ha accentuato la follia, a Dante Gabriel Rossetti e Evelyn Waugh ha provocato allucinazioni paranoiche, mentre ad André Gide ha intaccato la memoria». Un amico di Rossetti ricorda uno dei tentativi di quest’ultimo di rinunciare al cloralio: «la voce debole che implora, il tono addolorato, il corpo stremato e il cervello che chiedeva di perdere coscienza». [6]
Nel novembre 1883, Eminescu fu trasferito al sanatorio per le malattie mentali di Oberdöbling, vicino a Vienna, diretto dal dott. Heinrich Obersteiner, amico di Sigmund Freud. Il poeta romeno è rimasto in questo sanatorio per quasi sei mesi, fino alla primavera del 1884. È probabile che nel manicomio viennese sia stato curato con sostanze psicotrope simili a quelle usate nella clinica di Bucarest dal dott. Suțu. La psicoanalisi, come metodo di diagnosi e terapia, non era ancora nota. Del resto, nel giugno 1885, quasi un anno dopo che Eminescu aveva abbandonato il sanatorio, il giovane dott. Freud (all’epoca aveva 29 anni) ha iniziato a lavorare presso il sanatorio di Oberdöbling. In una lettera datata 8 giugno 1885 indirizzata alla sua fidanzata Martha Bernays, Freud lamentava il fatto che gli alienati del sanatorio non venissero curati con metodi psichiatrici, ma solo con rimedi medici e chirurgici. «Il trattamento sanitario [presso il sanatorio di Oberdöbling] è insufficiente, scriveva Freud. Si limita al trattamento interno o chirurgico, altrimenti il tutto consta in supervisione, cura, pasti, mentre i malati sono lasciati a esternare da soli». [7]
Sfortunatamente Freud non ha menzionato nella sua lettera il «trattamento interno» che veniva somministrato ai pazienti di Oberdöbling. Sappiamo solo che in quegli anni si utilizzava la morfina e che tanto Heinrich Obersteiner (fino al 1886), quanto Sigmund Freud (fino al 1887) erano entusiasti per gli effetti «miracolosi» della cocaina iniettabile contro la nevrastenia e gravi depressioni psichiche. [8] Nel 1883-1884, Freud curò le proprie depressioni con la cocaina: «Mi aspetto [che questa sostanza] si guadagni un posto nella terapia [psichiatrica] accanto alla morfina e addirittura sopra questa. […] Assumo dosi molto piccole [di cocaina] contro la depressione […] con magnifici risultati»; o «durante l’ultima grave depressione ho assunto di nuovo cocaina e una piccola dose mi ha risollevato in un modo impressionante. Sono giusto impegnato a raccogliere la bibliografia per un’ode in onore di questa sostanza magica». [9] L’«ode» a cui si riferisce Freud divenne a quel tempo un celebre studio, Sulla cocaina (1884), seguito poi da altri due: Contributi allo studio degli effetti della cocaina (1885) e Osservazione sulla dipendenza e paura della cocaina (1887).
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All’inizio del XX secolo, il junimista George Panu ricordava che negli anni Settanta dell’Ottocento a Eminescu «piaceva l’alcol». E sempre Panu notava che all’epoca si era diffusa la diceria infondata secondo cui i membri di Junimea «amavano le orge e si concedevano feste e bevute». [10] Nel 1925, poco tempo prima di morire, Ioan Slavici ha parlato della leggenda dell’abuso di alcol praticato, si presume, da Mihai Eminescu: «Prima di essere stato [Eminescu] colpito dalla violenza della sua malattia [1883], non potrei ripetere quello che ho udito su di lui, che era un gran bevitore di alcol […]. Dopo essersi salvato dal primo attacco della sua malattia [1884], non c’è da meravigliarsi che gli uomini, che pensavano molto più al loro piacere, piuttosto che alla salute del poeta, lo abbaiano trascinato per diversi locali e lo abbiano incitato a parlare sotto l’eccitazione dell’alcol». [11] Negli anni della malattia del poeta (1883-1888), gli amici aggiornavano Titu Maiorescu, scrivendogli non che Eminescu «affogava i dispiaceri in qualche bicchiere di vino» (Petru Missir, 1884), ma che il poeta «non aveva più il vizio del bere come prima» (Miron Pompiliu, 1886). [12] Per quel che riguarda il rapporto di Eminescu con il caffè e il tabacco, vedi il capitolo «Il tabacco: uno stupefacente poetico».
Dopo essere stato dimesso dal manicomio del monastero Neamț, e cioè nel periodo maggio 1887-marzo 1889, Mihai Eminescu è stato assistito a Botoșani da Harieta (Henrietta) Eminovici, la sorella del poeta dal «cervello malato», essendo in cura dal dottor Isac. Alcuni riferimenti importanti appaiono nella corrispondenza tra Harieta Eminovici e Cornelia Emilian, militante per i diritti delle donne, colei che raccoglieva firme per aiutare il poeta. «Povero Mihai, – scriveva Harieta il 27 maggio 1887 – ha raggiunto lo stato più terribile che ci possa essere. Riconosce soltanto me. Ieri ha avuto un attacco d’ira spaventoso […]. Oggi gli hanno iniettato morfina nelle piaghe e si è calmato completamente […]. I dottori […] stanno attenti affinché non giunga in un momento fatale a non riconoscere nemmeno me, perché solo io posso iniettargli morfina […]. Il vecchio dottor Isac ha eseguito di persona otto frizioni e l’ha salvato dalla morte nel vero senso della parola». [13]
Nella primavera del 1889, dopo quasi cinque anni di tormenti psichici e di trasferimenti da un ospizio di alienati mentali a un altro, Eminescu fu nuovamente ricoverato nello stesso sanatorio «Caritas» di Bucarest in via Plantelor, dove è stato curato dallo stesso dottor Alexandru Suțu, probabilmente con gli stessi rimedi. La diagnosi enunciata dal dott. Suțu suona terribile: «alienazione mentale sotto forma di demenza». [14] Eminescu morì nel giro di tre mesi, dopo che «il poeta aveva trascorso – nella rozza enunciazione di G. Călinescu – alcuni mesi di vaneggiamenti da demenza euforica e visioni paradisiache, gli unici momenti di vera felicità nella sua vita travagliata». [15] Călinescu suggerisce in queste righe che al poeta hanno somministrato sostanze onirogene ed eccitanti.
Sarebbe interessante sapere quali rimedi psichiatrici avrebbe potuto usare Alexandru Suțu su Eminescu, oltre alla morfina e al cloralio, già menzionati da G. Călinescu. In una presentazione storica del trattamento psichiatrico in Romania (Soarta alienaților din vechime și până azi [Il destino degli alienati dall’antichità ai giorni nostri], 1895), il dottor George Miletciu, direttore del manicomio di Craiova, sosteneva che nel XIX secolo, all’epoca dei pionieri della psichiatria romena, i malati mentali «erano sedati con hashish e oppio in dosi massicce». [16] Non condivido l’opinione della ricercatrice Constanța Vintilă-Ghițulescu secondo cui, intorno al 1800, «le ricette mediche, così numerose e trasmesse da una generazione all’altra», non prevedevano nell’area romena «alcun tipo di rimedio alla follia». [17]
In uno studio pubblicato nel 1870, un altro dottore romeno, Nicolae G. Chernbach, ha descritto il rimedio psichiatrico applicato a un paziente del manicomio Mărcuța che soffriva di «mania furiosa isterica»: «iniezioni sottocutanee di morfina». [18] Lui applicava il metodo di trattamento stabilito dal dottor John Conally, professore all’Università di Londra, specializzato nel trattamento delle diverse forme di malinconia, dalla religious melancholy alla suicidal melancholy. [19]
Lo psichiatra Alexandru Suțu ha utilizzato anche lui sostanze stupefacenti per il trattamento degli alienati mentali. In uno studio del 1869 sul Trattamento delle alienazioni mentali, il dott. Suțu elencava i seguenti rimedi psicotropi, stando alle sue parole, «farmaci che operavano a sfavore dell’organo celebrale»: (iniezioni di) morfina, belladonna (atropina), Datura stramonium (stramonio comune), (inalazioni di) cloroformio e «preferibilmente oppio».
Assieme alle altre piante psicotrope, il dott. Suțu utilizzava anche la belladonna. Nessuna sorpresa. La belladonna faceva parte della farmacopea della «medicina romantica». Nel 1810, il dott. Samuel Hahnemann, inventore dell’omeopatia e ospite del barone Samuel von Brukenthal a Sibiu, considerava la belladonna piena di virtù terapeutiche, rifacendosi ai lavori di Paracelso e J.-B. van Helmont. [20] La mistica Ildegarda di Bingen sosteneva nel secolo XVII che la belladonna guarisse «la malinconia» (Physica 1,56). Di fatto, bisognerebbe ritornare alla medicina antica, a Plinio il Vecchio, che raccomandava la belladonna (messa a mollo nel vino) come medicina per eliminare l’eccesso di «bile nera» (malinconia) (Naturalis Historia, 94, 150). [21] Per il medico romano Celsus «esiste un’alta forma di follia (insaniae), che si manifesta con la depressione (tristitia) e che sembra essere causata dalla «bile nera» (bilis atra) (De Medicina, 3, 18, 17).
Come abbiamo visto, Alexandru Suțu utilizzava come trattamento psichiatrico «preferibilmente l’oppio», con il quale – concludeva lui – si sono registrati «in più occasioni dei veri successi», soprattutto nei casi di malinconia morbosa. Non era una grande scoperta medica. Anche Paracelso consigliava l’oppio (laudanum paracelsi) come rimedio alla malattia della malinconia/melancholia. Ma anche nei Principati Romeni, come conferma un manoscritto del XVIII secolo, gli stupefacenti oppiacei erano osannati perché guarivano la «malinconia» e la «fantasia o il turbamento dei pensieri». All’inizio dello stesso secolo, Dimitrie Cantemir utilizzava un linguaggio simile per definire la malinconia: «malattia della cattiva volontà, sofferenza del dolore», la follia: «l’oscuramento della mente», e l’ipocondria: «la malattia che induce in errore la fantasia» (Istoria ieroglifică [Storia geroglifica], 1703-1705).
Probabilmente sciolto nell’alcol, l’oppio (laudanum, in romeno: “spirito di oppio”) era il rimedio usato di preferenza dal dott. Suțu anche in dosi che aumentavano progressivamente «fino a 6-10 grammi in un giorno» o anche «fino a 10-12 grammi in un giorno», come lui stesso scrive. «L’azione di questa sostanza [l’oppio] – scriveva il dr. Suțu – sembra avere un’azione speciale nei casi di malinconia; esso [l’oppio] rinforza il sistema nervoso, allo stesso tempo riduce la sua morbosa sensibilità. Il modo in cui impieghiamo questa sostanza consiste in una prescrizione il primo giorno di mezzo grammo che aumenta di giorno in giorno fino a 6-10 grammi in un giorno. Ho avuto modo di registrare in diverse occasioni dei veri successi» (Tratamentul alienațiunii mintale [Trattamento dell’alienazione mentale], 1869). [22] Il dottor Suțu scrisse queste righe quattordici anni prima che insorgesse la crisi psichica di Mihai Eminescu.
È importante il fatto che Eminescu non abbia consultato il dottor Alexandru Suțu proprio il giorno in cui la crisi è insorta, il 28 giugno 1883. «Dagli appunti privati del poeta – osserva ispirata Ilina Gregori – risulta che egli avesse frequentato il dr. Suțu prima della crisi del giugno 1883». [23] A dire il vero, il poeta visitò Alexandru Suțu perché quest’ultimo gli prescriveva (e vendeva) alcuni sedativi. Una nota personale di Eminescu della primavera del 1883 descrive una delle sue visite dallo psichiatra: «Il dott. Suțu mi dà qualche calmante, 10 fr[anchi]?» [24]
Un nipote di Ioan Slavici, Ioan Russu-Șirianu (coinquilino a Bucarest di Slavici ed Eminescu negli anni 1882-1883), ha descritto una delle «crisi terribili» che attraversava il poeta, una crisi di cui è stato testimone: «Le palpebre, sollevate in alto, sono sparite come inghiottite dalla fronte. Il bianco degli occhi è grande, grande, fisso, come chi sta affogando. Si prende a pugni le tempie […] [Eminescu] vagava per la stanza con passo sbilenco. Di colpo si è piegato, ha messo le mani nei capelli, gli occhi si spalancano su una grande paura. Scappò per le scale. Ora era come posseduto. Correva come per far uscire il demone infilato nel suo corpo […]. Sento un bisbiglio. Un bisbiglio terribile: «Strappami la testa». In questi casi, Eminescu «frugava nel cappotto e ingoiava alcune pillole», probabilmente i calmanti prescritti dal dott. Alexandru Suțu. [25]
Potremmo chiederci che «pillole» assumeva il poeta? Quali «calmanti» comprava Eminescu dal dott. Suțu per 10 franchi, una somma considerevole per l’epoca? Il poeta visitava il dottore psichiatra per curare «la malattia della malinconia», probabilmente con un oppiaceo o qualche altro rimedio psicotropo sopra menzionato. Nelle parole di Robert Hines-Davenport, l’oppio è stato «l’equivalente vittoriano degli antidepressivi moderni». [26] Dopo quasi un secolo, nel 1973, Arșavir Acterian, parlando nel suo diario della dipendenza dalla morfina di un altro poeta malinconico, il suo amico Emil Botta, paragona quest’ultimo a Mihai Eminescu. Essendo, come anche Eminescu, «disperato», «devastato dalla sofferenza», «quasi alterato» e «quasi folle», Botta, come anche Eminescu, giunse «a narcotizzarsi – dice Acterian – nel momento in cui si è visto attanagliato dall’infelicità». [27]
Studiandone la vita e le opere, i dottori specialisti in materia (lo psichiatra Ion Nica, il neuropatologo Ovidiu Vuia) hanno presentato al poeta una cupa diagnosi: psicosi maniaco-depressiva. [28] I Romantici hanno trovato a questa atroce malattia, un nome più gentile, in ogni caso più eufonico: malinconia. La diagnosi era stata formulata dallo stesso Eminescu in un poema composto nel 1876, alcuni anni prima della crisi psichica stessa:
Ma io sono malinconico
E non so reagire.
Non posso dissimulare
Un mistero che nascondo.
(Tu cei o curtenire… [Tu vuoi che io ti faccia la corte], 1876)
Talvolta il poeta riusciva a valorizzare in modo creativo la propria depressione psichica:
Ma allora grilli, topi,
Con leggero incedere,
Riportano la mia malinconia,
E lei si tramuta in verso.
(Singurătate [Solitudine], 1878)
Altre volte era completamente sopraffatto dall’oscurità generata dalla «Sorella nera della malinconia» (nella formula di Gérard de Nerval). Il 1876 è anche l’anno in cui ha composto il toccante poema Malinconia, in cui riconosce tutti i sintomi della malattia:
Invano cerco il mio mondo nel cervello stanco,
Poiché rauco, autunnale un grillo vi fa malinconici sortilegi;
Sul mio cuore inaridito invano poso la mano:
Lento esso batte come il tarlo in una bara.
E quando penso alla mia vita, mi par che essa scorra
Narrata lentamente da una bocca estranea […].
Letta presso il cenacolo letterario Junimea, la poesia Malinconia suscitò viva emozione. «[C’è] davvero qualcosa di folle in tutta questa nera visione [della poesia] – disse Titu Maiorescu a Mite Kremnitz – ma è una follia piena di spirito». [29]
Andrei Oișteanu
Traduzione a cura di Valentina Elia
(n. 2, febbraio 2022, anno XII)
Avvertenza: per le opere straniere citate dall’autore, disponibili in traduzione italiana, i riferimenti bibliografici sono tratti dalle edizioni italiane indicate (N.d.C.).
NOTE
[1] George Gană, Melancolia lui Eminescu [La malinconia di Eminescu], Editura Fundației Culturale Române, București, 2002.
[2] G. Călinescu, Istoria literaturii române [Storia della letteratura romena], edizione curata da Al. Piru, Minerva, București, 1986.
[3] Titu Maiorescu, Critice [Le critiche], volume curato e presentato da Al. Hanță, Editura Fundației Culturale Române, București, 1996.
[4] Iulian Costache, Eminescu. Negocierea unei imagini. Construcția unui canon, emergența unui mit [Eminescu. La negoziazione di un’immagine. La costruzione di un canone, l’apparizione di un mito], Cartea Românească, București,2008
[5] Dr. George Miletciu, Studii de psihiatrie [Studi psichiatrici], Tipografia Samitca, Craiovia, 1895, pp. 70-93; apud Valentin-Veron Toma, Adrian Majuru, Nebunia. O antropologie istorică românească [La follia. Un’antropologia storica romena], Paralela 45, Pitești, 2006, p. 127.
[6] Robert Hines-Davenport, Scriitorii și drogurile [Scrittori e droghe], «Secolul 21», n.1-4, 2004, pp. 192-193; dello stesso autore vedi anche The Pursuit of Oblivion: A Global History of Narcotics (1500-2000), Weidenfeld & Nicholson, Londra, 2001.
[7] Ion Filipciuc, Simptomuri politice în boala lui Eminescu [Sintomi politici della malattia di Eminescu], Criterion Publishing, București, 2009, p.30.
[8] L’alter ego di Sigmund Freud (chiamato «dr. Sigmund Froïde») appare in un recente romanzo di Umberto Eco. Tra il 1185 e il 1886, trovandosi a Parigi come allievo del celebre neurologo Jean-Martin Charcot, il personaggio dr. Froïde elogiava gli effetti psichiatrici della cocaina, utilizzata per trattare la malinconia. Vedi Umberto Eco, Cimitero di Praga, Bompiani, 2010.
[9] Andrada Fătu-Tutoveanu, Un secol intoxicat. Imaginarul opiaceelor în literatura britanică și franceză a secolului al XIX-lea [Un secolo intossicato. L’immaginario degli oppiacei nella letteratura britannica e francese del XIX secolo], prefazione di Caius Dobrescu, postfazione di Vasile Voia, Institutul European, Iași.
[10] George Panu, Amintiri de la Junimea din Iași [Ricordi della Junimea di Iași], edizione curata, con prefazione e tavola cronologica, da Z. Ornea, Polirom, Iași, 2003.
[11] Felix Aderca, Mărturia unei generații [La testimonianza di una generazione], illustrazioni di Marcel Iancu, S. Ciornei, București, 1929.
[12] Mărturii despre Eminescu. Povestea unei vieți spusă de contemporani [Testimonianze su Eminescu. Storia di una vita raccontata dai contemporanei], selezione, note, cronologia e prefazione di Cătălin Cioabă, Humanitas, București, 2013.
[13] Henriette și Mihai Eminescu, Scrisori către Cornelia Emilian și fiica acesteia [Lettere a Cornelia Emilian e a sua sorella], Editura Librăriei Frații Șaraga, Iași, 1893.
[14] Ivi.
[15] G. Călinescu, Viața lui Mihai Eminescu [Vita di Mihai Eminescu], Minerva, București, 1986.
[16] Dr. George Miletciu, Studii de psihiatrie [Studi di psichiatria], Tipografia Samitca, Craiova, 1895, pp. 70-93; apud 63, p.121.
[17] Constanța Vintilă-Ghițulescu, Câți nebuni, la Sărindar – despre smintiți și zănatici la 1800 [Quanti matti a Sărindar – pazzi e lunatici nel 1800], «Dilema Veche», Nr. 272, 30 aprilie 2009.
[18] Nicolae G. Chernbach, Un caz tipic de manie furioasă hysterică tratată prin metoda lui [John] Conally [Un tipico caso di furiosa mania isterica trattata con il metodo di John Conally], Gazeta Medico‑Chirurgicală a Spitalelor, n. 1 (15), 1870, pp. 238-240.
[19] Octavian Buda, The Face of Madness in Romania: The Origin of Psychiatric photography in Eastern Europe, History of Psychiatry, vol. 21, Issue 3, number 83, September 2010, pp. 278-293, 284.
[20] Francois Furet, L’uomo romantico, Laterza, Bari, 1995.
[21] Plinio il Vecchio, Storie Naturali, a cura di Francesco Masiero, Rizzoli, 2011.
[22] Valentin-Veron Toma, Adrian Maiuri, Nebunia. O antropologie istorică românească [La follia. Un’antropologia storica romena], Paralela 45, Pitești, 2006.
[23] Ilina Gregori, Știm noi cine a fost Eminescu? [Sappiamo chi era Eminescu?], ART, București, 2008. Ringrazio la ricercatrice Ilina Gregori per la collaborazione.
[24] M. Eminescu, Opere, vol. XV. Fragmentarium, addenda all’edizione. Edizione critica a cura di Perpessicius, Editura Academiei Române, București, 1993, p. 390.
[25] Ivi.
[26] Ivi.
[27] Arșavir Acterian, Jurnal 1929-1945/ 1958-1990, premessa di Bedros Horasangian e Florin Faifer, Humanitas, București, 2008.
[28] Dr. Ion Nica, Mihai Eminescu. Structura somato-psihică [Mihai Eminescu. Struttura somatopsichica], Ed. Eminescu, București, 1972; Ovidiu Vuia, Misterul morții lui Eminescu [Il mistero della morte di Eminescu], Paco, București, 1996; vedi anche George Gană, Melancolia lui Eminescu [La malinconia di Eminescu], Editura Fundației Culturale Române, București, 2002, pp. 5 ss.
[29] Ivi.
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