Andrei Oişteanu, «Le droghe nella cultura romena. Storia, religione e letteratura» (II)

Andrei Oişteanu (n. 1948) è stato ricercatore presso l’Istituto di Storia delle Religioni (Academia Română) e professore associato all’Università di Bucarest. I suoi campi di ricerca prediletti sono l’etnologia, l’antropologia culturale, la storia delle religioni e delle mentalità. Autore di importanti monografie e saggi su temi “scottanti” come l’antisemitismo, le droghe o la sessualità nella cultura moderna (alcuni dei quali pubblicati in vari Paesi), è stato tra l’altro insignito dell’onorificenza di Commendatore dell’Ordine della Stella della Solidarietà Italiana conferitagli nel 2005 dal presidente Carlo Azeglio Ciampi.
In italiano sono usciti finora i suoi volumi Il diluvio, il drago e il labirinto. Studi di magia e mitologia europea comparata (Fiorini, Verona 2008) e L’immagine dell’ebreo. Stereotipi antisemiti nella cultura romena e dell’Europa centro-orientale (Belforte, Livorno 2018).



Pubblicato per la prima volta nel 2010, il volume Narcotice în cultura română. Istorie, religie și literatură è giunto nel 2019 alla quarta edizione (riveduta, ampliata e illustrata), pubblicata, unitamente alle altre opere di Oișteanu, dalla casa editrice Polirom. Di questo lavoro – insignito, peraltro, con il Premio speciale dell’Unione degli Scrittori di Romania e tradotto in tedesco (Rauschgift in der rumänischer Kultur: Geschichte, Religion un Literatur, tr. Julia Richter, Frank&Timme Verlag, Berlin 2013) – abbiamo selezionato e tradotto in italiano alcuni frammenti, pubblicati a partire dal numero 12/2021 della nostra rivista. A seguire, i paragrafi dedicati agli scrittori B. Fondane (Fundoianu) e Paul Celan, nella traduzione a cura di Igor Tavilla.





Benjamin Fondane: «La pipa con cui fumiamo l’hashish di Baudelaire»


Il rapporto di Benjamin Fondane con le droghe fu indiretto. Mediato, in particolare, dai due grandi poeti francesi le cui biografie e opere egli studiò da una prospettiva nuova, inedita: Charles Baudelaire e Arthur Rimbaud. Non a caso, quale esergo al volume sull’«esperienza dell’abisso» nel poeta oppiomane Baudelaire (Baudelaire et l’expérience du gouffre, 1943, pubblicato postumo nel 1947) Fondane scelse proprio questo motto baudelairiano: «l’ebrezza dell’arte, più di qualunque altra, è adatta a gettare un velo sui terrori dell’abisso» [1].
Fondane scrisse sulla poesia di Baudelaire fin dal 1921, quando si firmava Fundoianu e viveva in una «colonia della cultura francese», come lui considerava la cultura romena (Imagini și cărți din Franța [Immagini e libri dalla Francia], 1921). Fundoianu criticò severamente Henry Bataille, al quale non piaceva la prefazione firmata da Théophile Gautier al volume baudelairiano Les fleurs du mal del 1857. «Comprendo – sebbene non sia d’accordo – che Bataille reputi perniciosa la prefazione di Gautier, perché ha fatto di Baudelaire un eroe dell’arte, dell’isolamento e dell’hashish». Tuttavia, aggiungeva Fundoianu, se Baudelaire fu «un corruttore» (come lo definì il critico Ferdinand Brunetière), egli non lo fu assolutamente in senso «morale», piuttosto fu «un corruttore della sensibilità». L’opera Les fleurs du mal, conclude B. Fundoianu, «è fatta per gli artisti, per coloro che sanno apprezzare non l’aneddotica di Baudelaire, ma la sua immagine, la sua parola».
D’altra parte, a Benjamin Fundoianu sembrò un «fatto increscioso» che apparissero molte edizioni del volume Les fleurs du mal (in Francia, distribuite anche in Romania) in cui mancava la prefazione di Théophile Gautier, «il miglior amico della nostra rêverie». Memorabili sono le formule di elogio spese da Fundoianu per la prefazione: «La prefazione di Gautier: un vestibolo in cui lo spirito si purifica e alla cui gruccia appendevamo il cappotto e il cappello della nostra vecchia personalità. La prefazione di Gautier: la pipa in cui ci avremmo fumato l’hashish di Baudelaire. Per questo amavamo Théophile Gautier, noi che praticavamo Baudelaire» [2].
Si sa che le poesie visionarie di Arthur Rimbaud – le sue sinestesie (Sonnet des voyelles, 1871) e le sue «illuminazioni» (il volume Illuminations, 1874) –, composte all’epoca della sua relazione omosessuale col poeta Paul Verlaine, erano provocate anche dall’abuso di hashish e di assenzio che i due poeti assumevano («Se Verlaine beveva assenzio», come dice Emil Brumaru in una poesia) [3]. Fondane credeva che «l’inibizione psichica» del «poeta avventuriero» (Rimbaud le Voyou, 1933) non fosse provocata per forza da «cause visibili, come in Poe, ad esempio: l’abuso di alcool, di droghe, e così via» [4]. Per Fondane, «la condizione di [Rimbaud] è analoga a quella di Baudelaire». Essendo Rimbaud «un Baudelaire che, nato dopo Baudelaire, spingerebbe i veleni di quest’ultimo persino oltre, accogliendo tanto il suo gusto quanto il suo orrore, sia di fronte alla sozzura che di fronte al vizio o alla follia» [5].
Ovid Crohmălniceanu ha riassunto (e codificato) assai bene il modo in cui Fondane ha compreso «il trucco» del poeta ribelle per viaggiare in «altri mondi»: «Rimbaud ha l’idea “furfantesca” di realizzare la condizione profetica, l’oltrepassamento dei limiti umani, la scoperta di un “altro mondo”, intensificando in modo calcolato le proprie funzioni mentali, surriscaldando fino all’incandescenza la ragione, “barando”, cioè cercando di ottenere di “rapina” ciò che non era in potere della logica, della scienza, e che invano si sforzarono di trovare i teologi, come anche gli studiosi. Cinicamente, egli riconosceva l’immoralità del suo tentativo, dichiarando di sentirsi declassato quanto più intensamente pratica la “tecnica del visionarismo”» [6].






Paul Celan: «Papavero e memoria»


«Su di voi, l’anatema
cada, Sire! L’anatema…»
«Oh, Serenissimo, la Geena,
vi inghiotta come, in sé, la Senna!»
«Sire, ci chiama al largo la sirena!»
«No, Serenissimo! La Geena.»
Șerban Foarță, Serenadă [Serenata] (1976)

Sono note le crisi di nervi e le turbe psichiche che hanno afflitto per lunghi anni Paul Celan (al secolo Paul Antschel). Le cause sono molteplici e di varia natura: il senso di colpa (probabilmente ingiustificato) legato al fatto che i suoi genitori furono deportati nel 1942 in Transnistria, mentre lui riuscì a cavarsela solamente con l’internamento, per tre anni, in un campo di lavoro nei pressi di Buzău; il fatto che i suoi genitori morirono nell’Olocausto («Come si possono scrivere poesie dopo Auschwitz?», si chiedeva retoricamente Theodor Adorno); il fatto che per tutta la vita scrisse le sue poesie in tedesco, lingua con la quale ebbe un rapporto di hass und liebe [odio e amore], essendo «la lingua degli assassini dei miei genitori»; l’assurda campagna diffamatoria di Claire Goll, che cercò di convincere tutti che Paul Celan avesse plagiato le poesie di Yvan Goll, e avesse tentato persino di violentarla «in uno stato di sonnambulismo» [sic!], ecc. «Il sole nero della malinconia» (la famosa formula di Gérard de Nerval) diventò in Celan «Nero latte dell’alba, ti beviamo la notte» (Todesfuge, 1947).
Dopo il periodo bucarestino (1945-1947), Celan visse a Vienna (1947-1948), dove si innamorò della scrittrice Ingeborg Bachmann (1926-1973). Ingeborg scrisse a suo padre (un noto ex attivista nazista austriaco) di essersi innamorata di un «poeta surrealista» ebreo che riempiva la sua casa di mazzi di fiori di papavero. Dopo una breve ma importante carriera letteraria (fece parte del prestigioso Gruppe 47), morì a Roma, nel 1973. Le cause della sua morte non furono mai chiarite. A quanto pare assunse delle pillole psicotrope e si addormentò con una sigaretta in mano. Non sopravvisse alle ustioni causate dall’incendio che lei stessa aveva provocato. Era una fumatrice incallita. Nell’ottobre del 1957, Paul Celan le scriveva da Parigi: «Stai tranquilla e non fumare troppo!». La corrispondenza tra i due scrittori è stata recentemente pubblicata in Germania e Romania [7].
Claire Goll ha affermato che nel volume di poesie Papavero e memoria (Mohn und Gedächtnis, 1952), Paul Celan avrebbe plagiato alcune poesie del volume postumo di Yvan Goll, Erba di sogno (Traumkraut, 1951). Anche i titoli dei due libri sembravano simili: il papavero da oppio di Celan e l’erba che provoca i sogni di Goll. L’argomento può essere facilmente smontato. La poesia Corona, contenete il verso «come papavero e memoria ci amiamo», che ha dato il titolo alla raccolta celaniana del 1952, fa parte della sezione La sabbia delle urne ed è stata pubblicata per la prima volta nel 1948 (Paul Celan, Der Sand aus den Urnen, Vienna, 1948; un libretto con una tiratura di 500 copie, ritirato dall’autore perché conteneva troppi errori tipografici). La poesia è stata scritta a Bucarest tra il 1945-1947, quando Celan incontra il gruppo dei surrealisti rumeni (Gellu Naum, Gherasim Luca, Paul Păun, Virgil Teodorescu). È il periodo bucarestino, in cui il poeta faceva «un giro per il paesaggio spogliato degli impulsi vicini al papavero», come suona uno dei suoi versi di quegli anni [8].

 

Il mio occhio scende al sesso dell’amata:
noi ci guardiamo,
ci diciamo cose oscure,
ci amiamo come papavero e memoria,
dormiamo come vino nelle conchiglie,
come il mare nel raggio sanguigno della luna.
(Corona, 1948) [9]

Per il poeta Paul Celan, quello della raccolta Papavero e memoria, l’oppio provoca l’oblio, il sonno (e il sogno). Quello che per Paul Celan è «il papavero dell’oblio» (nella poesia Eternità, 1952), per Alexandru Macedonski era stato «l’oppio dell’oblio» (in Il rondello dell’oppio, 1920). Al binomio oblio vs memoria si possono aggiungere altre coppie di termini antinomici, ad esempio realtà onirica vs realtà storica. «“Il papavero” (da cui si ottiene l’oppio), che ti inebria, proiettandoti nella sfera del sogno – scrive Dan Flonta nella sua prefazione all’edizione romena dell’opera di Celan –, e la “memoria”, la cui attenzione è rivolta al mondo storico dei fatti» [10].
Probabilmente la depressione di Paul Celan si aggravò a partire dal 1960, dopo che la moglie di Yvan Goll gli intentò il processo per plagio [11]. Si potrebbe fare un’anamnesi della malattia a partire da molte lettere e pagine di diario o dalle memorie vergate dagli amici. «I miei nervi, i miei poveri nervi, mi hanno abbandonato – scriveva Celan a Petre Solomon il 5 settembre 1962. […] A ciò si aggiunge una pressione psicologica à la longue insopportabile” [12].
Nel marzo del 1964, Paul Celan si recò per alcuni giorni a Ginevra per incontrare Jean Starobinski. Tuttavia, non in veste di storico della letteratura lo cercava Paul Celan, bensì in qualità di psichiatra e specialista in storia della malinconia (si veda il libro di Starobinski Trois Fureurs, Gallimard, Paris, 1974, [tr. it. di Silvia Giacomini, Tre furori, SE, Milano 2019]). In realtà, Celan era andato a Ginevra per un consulto psichiatrico.
Pochi mesi dopo, nell’estate del 1964, un’amica della sua giovinezza bucarestina, Maria Banuș, gli fece visita a Parigi. «È molto malato di nervi», scriveva la poetessa al marito da Parigi. In uno scritto memorialistico, Maria Banuș ha fornito alcuni particolari dell’incontro con Celan: «Un vecchio mi ha aperto [la porta]. Certo, erano passati vent’anni. Ma non quaranta, come sembrava. Era basso, rimpicciolito, stanco. Ero stata informata da Bucarest. Petre Solomon, con cui ero in corrispondenza, me ne aveva parlato. Di una nevrosi. Una mania di persecuzione. [...] Qualcosa di morboso aleggiava nell’aria. Il leitmotiv della persecuzione. Mi contraddiceva con veemenza: vogliono annientarlo» [13]. Nell’autunno del 1965 fu il turno di Nina Cassian di incontrare Celan a Parigi. È «il più triste dei mortali», annotò la poetessa nel suo diario [14].
All’inizio del 1966, la depressione che Paul Celan stava attraversando entrò nella sua fase critica. Fu ricoverato in una clinica specialistica a Parigi. Il 5 gennaio 1966, Emil Cioran (sempre attento a quel che accadeva al poeta di Czernowitz) annotò nel diario la voce relativa al motivo del ricovero: «Ho saputo che hanno appena ricoverato P. Celan in una casa di cura, dopo che avrebbe tentato di sgozzare sua moglie». La notizia procura a Cioran stati di insonnia e paura. «Era dotato di un grande fascino, quell’uomo impossibile, con cui i rapporti erano difficili e complicati, ma a cui si perdonava tutto, una volta dimenticati i suoi risentimenti ingiusti, insensati, verso tutti» [15].
Nell’ospedale psichiatrico Celan venne imbottito di tranquillanti. Si pensa che li abbia usati per tentare il suicidio. Il tentativo fallì, ma la voce si sparse tra gli amici in città. Il 6 febbraio 1967, Emil Cioran annotava nel suo diario: «Pare che Paul Celan si sia suicidato. Questa notizia, non ancora confermata, mi sconvolge più di quanto non riesca a dire» [16].
Nell’estate di quell’anno, il suo buon amico di Bucarest, Petre Solomon, lo visitò a Parigi, trovandolo che «abitava» presso una clinica per malattie nervose, «sprofondato in una grandissima depressione». Nelle sue memorie, Petre Solomon verga alcune pagine drammatiche: «“Si fanno esperimenti su di me”, mi disse [Celan] ad un tratto, con voce spenta, interrotta da quei sospiri che erano causati forse dalle scariche dell’elettroshock e dai tranquillanti somministrati dai medici». «Cosa avrei potuto dirgli?» si chiedeva Petre Solomon. «Ero frastornato [...] e avrei voluto aiutarlo in qualche modo, ma non sapevo come fare. Paul era diventato come Hölderlin: vittima dei medici [...]. La follia [di Celan], meno calma di quella di Hölderlin, lo avrebbe gettato, tre anni più tardi, nelle acque della Senna...» [17].
Un altro amico, Ovid S. Crohmălniceanu, ricorda all’incirca negli stessi termini il suo incontro con Celan a Parigi, sempre nel 1967: «Paul aveva ormai i capelli grigi, camminava lungo i muri e con la schiena incurvata, come se fosse gravato di un pesante fardello. C’erano in lui, già allora, i segni di un disastro imminente». Il capitolo di Amintiri deghizate [Ricordi dissimulati] si intitola, non a caso, «Paul Celan tra papavero e memoria» [18].
All’inizio del 1968, Emil Cioran incontrò Paul Celan, che aveva «quell’aria imbarazzata (che si ha sempre quando si cerca di tenere nascosto qualcosa di capitale che presumibilmente è arrivato agli orecchi a tutti)». La «cosa capitale» di cui Celan non voleva parlare era che «è stato alcuni mesi in un ospedale psichiatrico». «È vero – concludeva Cioran – che non è facile parlare delle proprie crisi. E quali crisi!» [19].
Nell’ottobre 1969 Paul Celan fece una visita rasserenante in Israele. A Gerusalemme incontrò la scrittrice Ilana Shmueli, anche lei originaria di Czernowitz. Divennero buoni amici. La corrispondenza tra loro, durata fino all’aprile del 1970, è stata recentemente pubblicata in Germania (Suhrkamp Verlag, 2004). Poche settimane prima del suo suicidio, Paul Celan inviò lettere disperate a Ilana Shmueli: «Le forze che avevo a Gerusalemme sono svanite... […] Un anno fa ero dietro alle sbarre di una casa di cura, pensavo lo sarei stato per sempre». Si lamentava del fatto che «va un disastro», che Parigi «lo spinge giù e lo svuota» e che le strade della città «alimentano le sue folli visioni» in misura intollerabile [20] Il 20 aprile 1970, in tempo di Pasqua e nel pieno dell’esplosione primaverile della vegetazione, Paul Celan si gettò nella Senna dal ponte Mirabeau, cantato da Guillaume Apollinaire (Le pont Mirabeau, 1913), ma anche da Paul Celan (Und mit dem Buch aus Tarussa, [E con il libro di Tarussa] 1962). Una strofa dalla poesia composta da Apollinaire è incisa su una lastra di bronzo montata al lato del ponte sulla rive droite:


Sous le pont Mirabeau coule la Seine
Et nos amours
Faut­-il qu’il m’en souvienne
La joie venait toujours après la peine

Vienne la nuit sonne l’heure
Les jours s’en vont je demeure.

(Le pont Mirabeau, 1913)

[Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna
E i nostri amor
che io me ne sovvenga,
la gioia mai mancò dopo il dolor
Venga la notte rintocchi l’ora
I giorni se ne vanno e io non ancora

(tr. it. Giorgio Caproni)].

Il 7 maggio 1970, Cioran annota sul suo diario il suicidio (questa volta non fallito) del poeta mentalmente instabile: «Paul Celan si è gettato nella Senna. Hanno ritrovato il suo cadavere lunedì scorso. Un uomo affascinante e impossibile, feroce, ma con accessi di mitezza, che amavo molto e che evitavo per paura di ferirlo, poiché tutto lo feriva. Ogni volta che lo incontravo stavo in guardia, e mi controllavo al punto che dopo mezz’ora ero estenuato» [21]. Le due donne che lo hanno amato e protetto per tutta la vita (la moglie Gisèle Lestrange e la fidanzata Ingeborg Bachmann) rimasero sopraffatte. «Paul si è gettato nella Senna», scrisse Gisèle a Ingeborg il 10 maggio 1970. «Ha scelto la morte più anonima e più solitaria. Cosa posso dire ancora, Ingeborg. Non ho saputo aiutarlo come avrei voluto» [22].
Piena di significati allusivi fu la reazione del poeta Henri Michaux: «La cura [di Celan] venuta dalla scrittura non bastava, non è bastata... Lui se ne è andato…». È noto che Michaux ricorse ad altre «cure» di sopravvivenza (mescalina, hashish), oltre a quella «venuta dalla scrittura». In un periodo di isolamento di Celan, Henri Michaux è stato, come osserva Petre Solomon, uno dei suoi «pochi amici parigini» [23]. Michaux era amico di due grandi intellettuali romeni: Celan e Cioran.
Nella primavera del 2008, mentre ero a Parigi, ho attraversato il famoso ponte Mirabeau per contemplare l’ultima immagine rimasta impressa sulla retina del poeta suicida: La Statua della Libertà (una replica in scala ridotta di quella di New York) con la Torre Eiffel che incombe enorme sullo sfondo e il verde della vegetazione dell’Île des Cygnes, che taglia in due le acque della Senna. Un’immagine forte, potente e ricca di simboli. Un’immagine che non ti spinge al suicidio. Inoltre, gli amici di Celan sapevano che il poeta era «un buon nuotatore» [24]. Perché un buon nuotatore si suicidi per annegamento, si deve presupporre un desiderio immenso di morire, capace di sopraffare il forte istinto di autoconservazione.
Il 9 febbraio 1994, 24 anni dopo la morte di Celan, l’amico poeta Gherasim Luca seguirà il suo fatale esempio, gettandosi nelle acque della Senna esattamente dallo stesso luogo simbolico. Luca lasciò un messaggio di commiato sulla sua segreteria telefonica: «In questo mondo, non c’è posto per i poeti». Paul Celan e Gherasim Luca hanno accresciuto la già lunga lista di poeti e artisti parigini che, nel tempo, si sono suicidati gettandosi nelle acque della Senna. Sennicidi [25], potremmo definirli. Sullo stesso ponte Mirabeau Mihail Sebastin ambientò il taccuino trovato, oggetto del suo primo romanzo edito (Fragmente dintr-un carnet găsit, 1932) [26]. Stranamente, Le pont Mirabeau, costruito alla fine del XIX secolo, è entrato nella storia della letteratura romena grazie ai suoi tre scrittori ebreo-romeni, tra cui gli ultimi due sennicidi: Mihail Sebastian, Paul Celan e Gherasim Luca [27].



Andrei Oișteanu
Traduzione a cura di Igor Tavilla
(n. 1, gennao 2022, anno XII)




Avvertenza: per le opere straniere citate dall’autore, disponibili in traduzione italiana, i riferimenti bibliografici sono tratti dalle edizioni italiane indicate (N.d.C.).


NOTE

[1]
[Traduzione nostra; nel volume Benjamin Fondane, Baudelaire e l’esperienza dell’abisso, tr. it. di Luca Orlandini, Aragno, Torino, 2013, l’esergo baudelairiano non compare – N.d.C.]. In merito alla traduzione dal francese e la pubblicazione in Romania dell’opera di Fondane/Fundoianu e alla polemica senza fine tra Mihai Șora e Mircea Martin, ho espresso in un’altra occasione il mio punto di vista. V. Andrei Oișteanu, Editarea operei lui Fundoianu. O polemică păguboasă (de ziua Holocaustului) [La pubblicazione dell’opera di Fundoianu. Una polemica inutile (nel giorno dell’Olocausto)], in «Revista 22», n. 41, ottobre 2008, pp. 7‐13, p. 18. Si veda la replica di Mihai Șora al mio articolo, Scrisoare deschisă domnului Andrei Oișteanu. Crima‐i crimă, oricine ar comite‐o! [Lettera aperta al signor Andrei Oișteanu. L’omicidio è un omicidio, chiunque lo commetta!], «Luceafărul», n. 35, 22 ottobre 2008, p. 11.
[2] Benjamin Fundoianu, Imagini și cărți din Franța [Immagini e libri dalla Francia], Institutul Cultural Român, București, 2006, pp. 7, 12, 14 e 88.
[3] Non voglio aprire qui l’enorme capitolo circa il consumo di assenzio nella vecchia Europa. L’abuso di assenzio, praticato nella Belle Époque da moltissimi pittori e scrittori famosi, soprattutto francesi o stabilitisi in Francia, ha influenzato i loro quadri, le loro poesie e i loro romanzi. Non esiste un corrispettivo romeno di questo fenomeno. Si possono tuttavia rilevare alcune assonanze. Ad esempio, in un romanzo (Sybaris, 1902) pubblicato da uno scrittore ruralista minore, Ioan Adam (1875-1911), con studi universitari trascorsi a Parigi e Bruxelles. Il caffè locale diviene per Ioan Adam «un paradiso artificiale sofisticato ed estetizzante, secondo il modello della taverna francese», come osserva giustamente Angelo Mitchievici. «Nell’atmosfera carica di nuvole di tabacco del caffè – scrive Ioan Adam, – l’assenzio stimola la fantasia, qui si distendono i nervi malati e stanchi del lusso e della perversità della grande città, sentendo il bisogno di sensazioni intense e raffinate». Cf. Angelo Mitchievici, Decadență și decadentism în contextul modernității românești și europene (sfârșitul secolului al XIX­lea, prima jumătate a secolului XX) [Decadenza e decadentismo nell’ambito della modernità romena ed europea (fine del XIX, prima metà del XX secolo)], Curtea Veche, Bucureşti, 2011. L’assenzio e i bevitori di assenzio appaiono anche in altri scrittori romeni, come Stephan Roll (Poeme în aer liber [Poesie all’aria aperta], 1929), Leonid Dimov (Destin cu baobab [Il destino del baobab], 1966), Emil Brumaru (Dacă Verlaine pilea absint [Se Verlaine beveva assenzio], 1998), Mircea Cărtărescu (Zaraza, 2004), etc.].
[4] Benjamin Fondane, Rimbaud la canaglia, tr. it. di Gian Luca Spadoni, Castelvecchi, Roma 2014, p. 151.
[5] Benjamin Fondane, Rimbaud vânturălume și experienţa poetică (fragmente) [Rimbaud l’avventuriero e l’esperienza poetica (frammenti)], tr. romena di Mihai Șora e Luiza Palanciuc, «Viața Românească», nn. 8‐9, 2008, p. 19.
[6] Ovid S. Crohmălniceanu, Evreii în mișcarea de avangardă românească [Gli ebrei nel movimento di avanguardia romeno], Hasefer, București, 2001, pp. 82-83.
[7] Il carteggio tra Paul Celan e Ingeborg Bachman è apparso inizialmente presso le edizioni Suhrkamp Verlag nel 2008. Per l’edizione romena dell’epistolario, si veda Ingeborg Bachmann – Paul Celan, Timp al inimii. Carteggio [Tempo del cuore. Carteggio], edizione a cura di Bertrand Badiou, Hans Höller, Andrea Stoll e Barbara Wiedeman, traduzione di Iulia Dondorici, ART, București, 2010. [Troviamo le parole. Lettere 1948-1973, tr. it. di Francesco Maione, Nottetempo, Milano 2010, p. 73].
[8] Ion Pop, Din avangardă spre ariergardă [Dall’avanguardia alla retroguardia], Vinea, Bucureşti, 2010, p. 338.
[9] Paul Celan, Mac și memorie [Papavero e memoria], traduzione di Mihail Nemeș e George State, prefazione di Dan Flonta, Paralela 45, Pitești, 2006, p. 47. La poesia Corona è stata tradotta da Mihail Nemeș. La stessa poesia è stata tradotta in modo leggermente diverso dal poeta Petre Stoica negli anni ’60: “I miei occhi scendono sul sesso dell’amata;/ e noi ci guardiamo,/ ci diciamo parole oscure,/ ci amiamo l’un l’altra come il papavero e la memoria,/ dormiamo come il vino nella conchiglia,/ come il mare nel flusso sanguigno della luna” (Gazeta literară, nr. 22 [585], 27 mai 1965). Paul Celan, Poesie, tr. it. di Giuseppe Bevilaqua, Mondadori, Milano 1998, quarta edizione 1999, p. 59.
[10] Paul Celan, Mac și memorie, cit., pp. 12-13, 47, 78.
[11] Per la calunnia ordita da Claire Goll contro Paul Celan, si veda il volume Die Goll­Affäre: Dokumente zu einer “Infamie” [L’affaire-Goll: Documenti per un’“infamia”], Suhrkamp Verlag, Frankfurt 2000.
[12] Petre Solomon, Își purta cu fruntea sus povara suferinței [Portava sulla fronte il fardello della sofferenza], in Paul Celan, Ochiul meu rămâne să vegheze. Versuri, glose, evocări, [Il mio occhio rimane desto. Versi, glosse, evocazioni], a cura di Geo Șerban. Quaderno culturale pubblicato da «Realitatea evreiască», București, s.a., p. 19.
[13] Geo Șerban, Dialog epistolar inedit între Paul Celan și Maria Banuș [Dialogo epistolare inedito tra Paul Celan e Maria Banuș], in «Observator cultural», nr. 525, 20‐26 maggio 2010, pp. 14‐15.
[14] Nina Cassian, Memoria ca zestre. Cartea a II-a (1954-1985) [La memoria come dote. Secondo volume (1954­1985)], Institutul Cultural Român, București, 2004, p. 133.
[15] Emil Cioran, Quaderni, 1957-1972, tr. it. di Tea Turolla, Adelphi, Milano 2001, p. 361.
[16] Ivi, p. 519.
[17] Petre Solomon, Paul Celan. La dimensione romena, a cura di Giovanni Rotiroti, traduzione di Irma Carannante, postfazione di Mircea Ţuglea, Mimesis, Milano-Udine 2015, p. 214.
[18] Ov.S. Crohmălniceanu, Amintiri deghizate [Ricordi dissimulati], Nemira, București, 1994, p. 115.
[19] Emil Cioran, Quaderni, cit., p. 600.
[20] Norman Manea, A dori și a fi dorit [Desiderare ed essere desiderato], «Bucureștiul cultural», nr. 98, 21 settembre 2010, pp. 10‐11, supplemento alla «Revista 22», nr. 39, 21‐27 settembre 2010. Si Crima‐i crimă tratta del testo dell’introduzione (tradotto in romeno da Ioana Ieronim) al volume The Correspondence of Paul Celan & Ilana Shmueli, The Sheep Meadow Press, New York 2011.
[21] Emil Cioran, op cit., p. 890.
[22] Ingeborg Bachmann – Paul Celan, op. cit., p. 235.
[23] Petre Solomon, Paul Celan. La dimensione romena, cit., p. 223.
[24] Frieder Schuller, Paul Celan (1910‐1970), “Adevăr vorbește, cine umbre vorbește” [Dice il vero chi parla di ombre], in «Viața Românească», nr. 1‐2, 2011, p. 77.
[25] Gioco di parole altrimenti intraducibile tra sinucigași (suicidi) e Senucigași, da Sena (Senna) [N.d.C.].
[26] Mihail Sebastian, Estratti da un taccuino trovato, Ebook Kobo, Genica Morogan, 2020.
[27] Andrei Oișteanu, Avangardiștii și “erotizarea proletariatului” [Gli avanguardisti e “l’erotizzazione del proletariato”], in «Revista 22», nr. 27, 9‐15 luglio 2013, p. 13; e Idem, Avangardiștii și “erotizarea proletariatului”, in «Caietele avangardei», Muzeul Național al Literaturii Române, București, anno I, nr. 2, 2013, pp. 56‐62.