Inedito. Da «Sessualità e società. Storia, religione e letteratura» di Andrei Oișteanu (IV)

Pubblichiamo la traduzione del brano La zingara anziana nell’area culturale romena tratto dall'opera Sexualitate și societate. Istorie, religie și literatură di Andrei Oișteanu, Editura Polirom, Iași, 2016. Si tratta della quarta di una serie di traduzioni di brani estrapolati dall'opera, e qui proposti, che nascono dalla volontà di far conoscere, agli addetti ai lavori ma non solo, la genialità di uno scrittore e la particolarità di un’opera che non conosce ancora una sua versione italiana.
I riferimenti bibliografici ivi citati sono dell'autore e si riferiscono a rinvii all'interno del volume originale. Per le opere straniere di cui esiste un'edizione italiana, viene citata quest'ultima.


La zingara anziana nell’area culturale romena

Apparentemente, le prose commentate nel capitolo precedente (più o meno memorialistiche, fantastiche), firmate da Radu Rosetti e N.D. Cocea, non recano elementi realmente inediti. Esse confermano solo lo spirito dell’epoca (Zeitgeist), le sue coordinate morali e di mentalità così come le ho presentate e commentate precedentemente. All’infuori della pedofilia propriamente detta, un aspetto nuovo appare tuttavia nella storia di Radu Rosetti (Țigăncușa de la ietac [La zingarella della stanza da letto], 1921). Il signor Hortopan ordina a un’anziana zingara, la cameriera Nastasia, di preparare la zingarella adolescente Anica per affrontare con brio i nuovi doveri sessuali:

Nello stato in cui è oggi la ragazza non penso neanche di toccarla, ma l’anno prossimo, se [Anica] riceverà una buona cura, sarà tutto ciò che si può desiderare. Così, proprio da stasera, la porterai con te in stanza e inizierai a pulirla e abbellirla […]. Sappi che intendo ricompensare il lavoro ben fatto. L’anno prossimo la troverò curata, grassa, con la pelle come la seta, con le mani e i piedi morbidi come cotone; avrà un corpo da gran signora (511, p. 16).

Qui sembra essere descritto il ricordo di una consuetudine arcaica: la preparazione e l’iniziazione sessuale delle ragazze molto giovani per essere sverginate dai signori e per offrirle in seguito in qualità di «strumenti del piacere», come riporta per l’appunto Radu Rosetti. Le donne anziane che istruivano le ragazze (come la serva Nastasia) erano state a loro volta avviate da altre donne ammaestrate. Da adolescente, la zingara Nastasia era stata preparata dal punto di vista erotico dalla greca Hariclea. Per di più, era stata preparata per iniziare sessualmente anche altre zingarelle vergini:

Pulisci e abbellisci [Anica] come hai imparato a pulire e abbellire le ragazze destinate al letto del signore da Hariclea (511, p. 16).

Sembrerebbe, se non proprio una professione, almeno un’occupazione, di origini orientali. Parzialmente, Radu Rosetti ha ripreso questa tematica in un romanzo quasi storico, Păcatele sulgerului [I peccati del siniscalco], ambientato nel XVIII secolo, in cui un’anziana serva zingara, la cameriera Irina, prepara la zingarella Catrina (di soli quindici anni) per la camera del boiaro:

Il signore ordinò alla comare Irina di condurre Catrina alla corte, bagnarla, pulirla, sciacquarla con acqua di timo (513), vestirla con camicia di bavella e con una gonna pulita e condurla nel letto del signore perché gli strofini i piedi (511, p. 46).

In un altro racconto di Radu Rosetti [Spovedania bașbulubașei (La confessione del capo)] l’anziana zingara Catrina tira fuori la giovane serva Zoița dall’accampamento gitano per prepararla per il letto del signore. Il suo dovere non era «strofinare la menta» (520), ma «strofinare i piedi» del signore.

La bellezza di Zoița era davvero notevole, tanto che un’anziana zingara della corte, chiamata Catrina, aveva detto al capo della servitù di toglierla dal campo onde farla lavorare a corte, come donna da letto, per strusciare di sera le gambe dei boiari (16, p. 120).

E in un romanzo di Vasile Voiculescu (Zahei orbul [Zahei il cieco, 1947-1958]) troviamo un’anziana zingara – «la mezzana Paraipanca», moglie dello zingaro Paraipan – che preparava e conduceva a casa «del signore» (del pope Gioarsă, per esempio, ma anche di altri) qualche zingarella vergine e bella, scelta dal «Groapa Floreasca», alla periferia di Bucarest (101, p. 215). Nel romanzo di N.D. Cocea Vinul de viață lungă [Il vino di lunga vita] commentato nel capitolo precedente, circolavano voci di paese secondo cui il boiaro novantenne Manole Arcașu terrebbe alla villa un intero harem di ragazzine «di soli dodici e tredici anni, anzi alcune persino più piccole». Sarebbero state «scelte le migliori» di queste zingarelle dall’abitazione del boiaro e preparate adeguatamente:

[Erano] nutrite senza dubbio come oche ripiene, dal momento che sembravano tutte donne grandi nel vero senso della parola, attraenti, disinvolte e formose […] Il signor Manole poteva disporne a piacimento (407, pp. 22-25).

In questo caso non troviamo una donna anziana, esperta e autoritaria, ma la sua presenza può essere facilmente supposta sullo sfondo narrativo. Qualcuno doveva pur selezionare «le ragazzine» e prepararle per il letto del signor Manole.  Bisognerebbe discutere qui il ruolo importante che spettava alle zingare anziane (presso la corte del boiaro, nell’accampamento fisso o provvisorio, nel villaggio e nella periferia delle città), che preparavano le zingarelle vergini dal punto di vista psicosomatico e le istruivano sessualmente. Andrebbero considerati i casi della «governante» Nastasia (Radu Rosetti, Țigăncușa de la ietac), della «cameriera» Irina (Radu Rosetti, Păcatele sulgerului), della zingara anziana Catrina (Radu Rosetti, Spovedania bașbulubașei), di Anghelina (G. Sion, Suvenire contimpurane), della vecchia «mezzana» Paraipanca (Vasile Voiculescu, Zahei orbul), della «comare» Safta (G.M. Zamfirescu, Maidanul cu dragoste) e, al limite, della «vecchia» anonima – matrona delle prostitute (Mircea Eliade, Dalle zingare). Si veda anche la novella Codana roșie (La ragazzina rossa),pubblicata da Felix Aderca nel 1927. Una vergine «ignara dei piaceri della carne» è istruita sessualmente da «una donna esperta del villaggio», che le insegna «i segreti e i trucchi dell’amore» (420, p. 219). Il sociologo Ion Chelcea parla del ruolo speciale che gioca, al matrimonio degli zingari nomadi, «quella più anziana che lavorava a corte» (143, p. 197). L’argomento è affrontato nei dettagli anche dall’etnologo Delia Grigore. Sembra che le cosiddette «anziane della tribù» verificavano lo stato di verginità delle spose zingare proprio la notte delle nozze: «La notte delle nozze è segnata dalla conferma individuale dell’aggregazione al nuovo stato, attraverso il solax (giuramento) e la verifica della verginità della sposa da parte di donne anziane, rispettabili e affidabili» (567, p. 24).

*

A parte l’iniziazione sessuale, le zingarelle erano rimpinzate «come le oche» per divenire «formose» e «paffute». Essendo molto giovani (praticamente delle bambine), rischiavano di essere scheletriche. Eccole le zingarelle adolescenti descritte da Vasile Voiculescu in un suo noto racconto:

Al margine del campo [di zingari] è uscito dapprima il gruppo delle zingarelle nude, altre con un solo panno davanti, solo gli occhi e denti bianchi su guance scure, con seni leggermente segnati da cerchi più gonfi sulla pelle lucida, con corpi scheletrici con cosce lunghe da ballerine (Śakuntalā, 1949) (145, p. 384).

Una delle preoccupazioni delle zingare anziane era che le ragazze selezionate diventassero «grasse» (come nel racconto di Radu Rosetti) o «paffute» (come nel romanzo di N.D. Cocea). Sia detto tra parentesi, consuetudini simili sono attestate anche in alcune tribù africane. Si veda Stith Thompson (Motif-Index of Folk- Literature), il motivo T132.1. Girl fattened before wedding («La ragazza ingrassata prima del matrimonio») (1, p. 356). In alcune fiabe europee, la ragazza smarrita nel bosco è trattenuta nella «capanna del bosco» – isolamento tipico per l’iniziazione sessuale – e portata all’ingrasso da un’anziana donna (dalla Baba Jaga, nelle favole russe), per essere poi mangiata o amata dal drago. Ma, come abbiamo stabilito in un’altra occasione, «la mitigazione della fame del drago» ha sostituito, metaforicamente, «la mitigazione della fame sessuale del drago» (80, pp. 227 ss.). Talvolta, la sostituzione non è stata totale ma incompleta. Così, in diversi testi mitico-folclorici est-europei sono sopravvissuti, sovrapposti, entrambi i motivi. Osserviamo solo due esempi. In una leggenda del Banato, «il drago mangia ogni giorno il volto di una ragazza, dopo averlaamata» (289, p. 482). In una fiaba russa, «il drago ha afferrato la ragazza del sovrano e l’ha trascinata nella sua tana [per mangiarla], ma mangiarla non l’ha mangiata; era troppo bella, così che l’ha presa in moglie» (203, p.315). L’equazione erotica prevale su quella nutritiva. La libido del drago prende il sopravvento sulla sua fame. Il mostro si accoppia con la vergine a) prima di mangiarla o b) invece di mangiarla. Per quel che riguarda l’area culturale romena, senza dubbio caratterizzato da una vecchia mentalità popolare con aspetto socioeconomico (ragazza grassa = sazia, benestante versusragazza magra = affamata, povera), ma anche con un aspetto estetico-erotico, che ha generato detti del tipo «Grassa e bella» o «Bella come una pavoncella,/ Grassa come una quaglia». A scapito della ragazza magra e scarna, quella corpulenta e formosa era considerata bella e attraente dal punto di vista erotico. Anton Pann ha preso dal folclore romeno d’inizio ‘800 questa formulazione: «Vedovina grassa,/ giovane rimasta,/ rosea, bella,/ Dal dolce sguardo»  (Spitalul amorului [L’ospedale dell’amore], 1850) (493, p. 213). Come il detto del poeta Nichita Stănescu, che circolava nel folclore urbano della Bucarest degli anni ‘70: «Mi piacciono le donne grasse perché hanno una grande superficie da baciare».

*

È evidente che le zingare anziane esperte non si occupavano solo di lavare, vestire e cibare o rimpinzare le giovani vergini, destinate ad entrare nell’«harem» dei signorotti. Si tratta anche (o soprattutto) di una determinata iniziazione sessuale. A volte, questo ruolo spettava alla madre stessa della ragazza. In un capitolo precedente (26. «Il diritto del signore») abbiamo visto che, nella Bucarest degli anni 1811-1812, una nobildonna romena, madre di un’adolescente di quattordici anni, Luxandra Bărcănescu, «insegnava in segreto [alla figlia] cosa fare per suscitare i desideri assopiti del generale [Mihail Kutuzov]». Anzi, teneva addirittura a verificare l’efficacia delle sue istruzioni erotiche. Lei partecipava alle baldorie sessuali dei due amanti per «godere del risultato delle sue lezioni», come notò tempo dopo un testimone oculare, il conte di Langéron (379, p. 355). Il figlio del sovrano Mihail Sturdza, Grigore Sturdza (1821-1901), essendo «molto amante delle donne», teneva una matrona che istruiva sessualmente le giovani vergini del proprio harem: «[Il principe Grigore] manteneva costantemente un harem di dodici concubine, che, eccetto una [la matrona] che da molti anni era a capo dell’harem, trasformava [= rinnovava] continuamente» (33, p.207). In uno dei suoi romanzi (Maidanul cu dragoste, 1933) il prosatore G.M. Zamfirescu ha cercato di affrontare questa questione delicata e, in buona misura, sconosciuta. Non a caso, la protagonista è l’anziana zingara Safta, ex cantante di un gruppo in giro per le bettole della periferia di Bucarest. Una volta una matrona sofisticata e molto bella, «con il garofano tra i denti» che «aveva conosciuto tutti i dongiovanni della città». Ma ciò che è più importante, Safta era una «esperta» delle antiche tradizioni dei rom, essendo «nata e cresciuta in tenda» (135, I, p.115). In qualche modo, comare Mița, matrona zingara del bordello di periferia nel romanzo di Octav Șuluțiu (Ambigen [Ambigenere], 1935) (430) è pari alla comare Safta del romanzo di Zamfirescu, ma il profilo della prima è molto meno risaltato. In un’altra ottica, la parola țață («comare») ha un significato diverso rispetto a quello attuale, di mahalagioaică (pettegola), con connotazioni peggiorative. Nel linguaggio popolare e arcaico, țață è «un termine di rispetto con il quale qualcuno si rivolge (nei villaggi) a una signora di una certa età».  A casa sua, dominando «in cima al letto su diversi cuscini», Safta – ora vecchia e sgraziata – presiedeva «come una divinità pagana» «un’assemblea di comari», che si radunava periodicamente «in sedute solenni». Attenzione alla terminologia quasi religiosa utilizzata dal romanziere per suggerire un vero rito di iniziazione («divinità pagana», «assemblea», «cerimoniale», «solenne», «novelline», «nuovo nome», «celebrazione», «alcova sotterranea» ecc.). Le ragazze vergini e le mogli inesperte delle periferie arrivavano a questa assemblea femminile per essere istruite nella sessualità. I fatti sono estremamente interessanti e meritano di essere descritti con qualche passaggio più ampio:

Le novelline [=le vergini] e in generale tutte le mogli giovani, che venivano per la prima volta alla chiacchierata [=assemblea], dovevano, volente o nolente, sottomettersi a un cerimoniale grottesco. Quando non volevano denudarsi da sole ed esporsi, nude, in mezzo all’assemblea delle comari, in atteggiamenti, uno più scabroso dell’altro, che ordinava Safta, le novelline e le mogli [giovani] erano afferrate all’improvviso, rovesciate sul bordo del letto, denudate e ridotte all’immobilità, mentre la zingara [Safta] separava le loro gambe esaminando, nei dettagli e minuziosamente, tutti i segreti del corpo (135, I, pp. 207-208).

Safta esaminava con attenzione le parti intime della ragazza crocifissa sul letto e soprattutto «i tesori e i difetti» della vagina («frutto acerbo o maturo del corpo spogliato»). A seconda degli «splendori e delle miserie» della vulva (usando i termini di Balzac), la ragazza riceveva un soprannome dall’«assemblea delle comari». In effetti, in questo caso ci sembra di avere a che fare con un simulacro di cerimoniale di iniziazione, officiato dalla «gran sacerdotessa» (la zingara Safta) e dalla sua «assemblea delle comari», da cui la ragazza riceveva un nuovo nome da neofita. Inoltre le vergini erano interrogate per quel che riguarda le loro conoscenze sessuali e, se le «comari» si dimostravano insoddisfatte, costoro e soprattutto Safta le istruivano sui «trucchi dell’amore».

Le stupide, che non capivano facilmente i semplici consigli, erano portate sul letto e messe in numerose posizioni esplicite, mentre una tra le giovani compagne […] imitava le posizioni e qualche volta la ritmica dell’uomo. Questo era il momento atteso, culminante, impressionante del cerimoniale. Le comari gridavano una gioia selvaggia, strette intorno al letto, […] mentre la novellina e la compagna competente, nel letto, avvinghiate, con i seni schiacciati negli abbracci, officiavano – ansimando, attorcigliandosi, mordendosi profondamente – un atto sterile ma abbastanza disgustoso perché incantasse e allietasse gli sguardi accesi delle spettatrici (135, I, p.214-215).

Poi, «con sangue bollente», ogni novellina vergine era consegnata da Safta a un giovanotto del loro sobborgo, Tănăsică («servo dell’oste»), che conduceva la ragazza in cantina, in «un’alcova sotterranea», dove i giovani copulavano a tutti gli effetti, sverginando la ragazza. Come abbiamo già detto, un tipo simile di iniziazione sessuale è descritto da Felix Aderca in uno dei suoi racconti erotici (Codana roșie, 1927). La storia si svolge in un paesino in riva al Danubio, vicino a Turnu Severin, al tempo della Prima guerra mondiale. Una fanciulla di campagna, una «ragazzina» [codană], una vergine «ignara dei piaceri della carne», è istruita sessualmente da «una donna esperta del villaggio», aiutata questa volta dal proprio marito:

[La ragazzina] era stata due settimane dalla donna esperta del villaggio, che, insieme al suo uomo, le aveva insegnato i segreti e i trucchi dell’amore, più complicati di tanti ricami e intrecci. Aveva imparato, con dolore e disgusto, di soddisfare [Aurel], il giovane cittadino onnisciente, in qualsiasi momento (420, p.219).


Ritornando a G.M. Zamfirescu, dopo l’uscita del romanzo Maidanul cu dragoste diversi critici letterari, incluso Eugen Lovinescu, hanno accusato il romanziere di erotizzare troppo la realtà, anzi di praticare un «sensazionalismo inestetico». La risposta polemica di Zamfirescu non si è fatta attendere:

Io ho dipinto la moralità della società in tutta la sua nudità per poterla disapprovare, mentre altri la vogliono nascosta sotto i veli, o completamente silenziosa perché la si possa praticare e sfruttare (România Literară, n. 59, 1933) (155, p. 160).

*

In parte, alcuni degli aspetti sopramenzionati sono sopravvissuti nel ruolo giocato dalla «matrona» (o «padrona di bordello» o «donna imbrogliona»), nelle case di tolleranza. Per esempio baba nel racconto di Mircea Eliade Dalle zingare. Si veda anche la ruffiana dei Balcani, la pezevenghe (dal turco, col significato di «prosseneta») «grassa, bassa, con i baffi, / logorata dalla cattiveria», ideata dal poeta Ion Barbu nella sua Canzone di vergogna (1924). Una «imbrogliona con giacca/ (un po' greca, un po' ebrea)», una «dottoressa» che, «con altre tre più anziane», insegnava alle concubine dell’harem a usare «sporchi rimedi» per l’aborto e sostanze afrodisiache per i «vecchietti infermi e deboli»: «Portavi parole dolci alle concubine,/ Parole dolci o uno sporco rimedio/ come sai tu, da aborto:/ le istruivi al bere,/ agli ornamenti,/ alle tinture,/ al balzo dai calzoni alla zuava/ e altre cose» (525, pp.58-61). Per le religioni «abramitiche», un’anziana del genere è eretica, poiché pratica la stregoneria e i riti pagani. Non meraviglia il fatto che, nel poema di Ion Barbu, essa sia trattenuta dalle autorità, torturata e decapitata. Il tema della donna anziana che istruisce sessualmente le ragazze è arcaico. Nel XV secolo, il poeta François Villon ha presentato il modo in cui una matrona ottantenne, che «era stata un tempo una bella mignotta», insegnava alle «sorelline» del bordello (les filles de joie) come saper sedurre e soddisfare tutti i clienti (454, pp.77,288).
Il ruolo della matrona differisce da quello del prosseneta, del «pesce» sfruttatore, per quel che riguarda «le donnacce di strada», le «pontefici», «quelle che battono il ponte o il marciapiede». Donna anziana ed esperta, lei stessa dal passato di prostituta, la «matrona» si occupa anche di istruire sessualmente le nuove arrivate, oltre all’aspetto commerciale, manageriale, «imprenditoriale» del bordello (508, p. 105; 509, p. 111). Una vera storia della prostituzione nell’area culturale romena aspetta ancora il suo autore. Una storia, diciamo, dal XVII secolo (si vedano le testimonianze di Paul de Alep ed Evliya Çelebi) fino al XIX secolo (si vedano le informazioni fornite da Nicolae Filimon in Ciocoii vechi și noi [Arrivisti vecchi e nuovi], 1863) e da Costantin Bacalbașa in Bucureștii de altădată [La Bucarest di una volta], 1927) e nel XX secolo (si veda il bordello di periferia, scoperto da G.M. Zamfirescu in Maidanul cu dragoste, 1933, e da Octav Șuluțiu in Ambigen, 1935), dall’epoca premoderna fino a quella contemporanea. Uno studio monografico di questo tipo non esiste nella cultura romena. Esistono soltanto alcune ricerche recenti, apprezzabili, pionieristiche (522, 523, 524, 668, 673), mentre invece nelle biblioteche d’Occidente i volumi su questo tema occupano interi scaffali (526).
Sarebbe utile una cronaca romena delle prostitute, chiamate lungo i secoli meretrices (in Cantemir, Descriptio Moldaviae), podărese o podane (pontefici), „”, celetnice (schiave del sesso), posadnice o ții­tori (concubine), tălanițe  (cortigiane) (in Nicolae Filimon) lelițe (amorose), mueri de obște (donne condivise) in Eufrosin Poteca, dame publice (colonnello Lăcusteanu), talience, stricate, cocote, curtezane, hetaire, puttane (italiane, sgualdrine, donnacce, cocotte, cortigiane, baiadere, puttane – termine aromeno, proveniente dall’italiano –, putori, târfe, marcoave, șteoalfe/ștoarfe, leoarțe, paţachine, curve (puttane), parașute (paracaduti), fino alla denominazione di oggi, politicamente corretta, di «lavoratrici sessuali commerciali» (522, p. 300) ecc. Il termine romeno di curvă, che deriva dallo slavo, ha corrispondenze etimologiche e fonetiche in lingue anglo-sassoni: in inglese (whore) e in tedesco (Hure) (328, p. 184). Ciò indica le sue origini molto antiche, preindoeuropee.







A cura di Valentina Elia
(n. 9, settembre 2020, anno X)


NOTE

511[1] O mie de ani de singurătate. Romii în proza românească, selezione, note e prefazione di Vasile Ionescu, Aven Amentza, București, 2000
511[2] idem
513[3] Un fel de «odicolon». Radu Rosetti descrive con dettagli molto ricchi come si faceva «l’acqua di timo» nella tenuta dei suoi genitori.
511[4] idem
520[4] L’espressione «strusciare la mente» ha oggi un significato peggiorativo: non fare nulla, fingere di lavorare. L’origine di questa espressione è la seguente. Nelle comunità arcaiche e tradizionali le pezze erano preziose, essendo molto costose (erano fatte a mano, ricamate…). Quindi le lenzuola, le federe del cuscino e altri tessuti costituivano una parte di valore importante della dote della ragazza. Gli uomini (ovviamente anche i boiari) non consentivano mai di usare le tovaglie. I blocchi orizzontali di legno massiccio dei tavoli si sporcavano facilmente, diversi grassi, salse e bevande alcoliche penetravano a fondo la fibra del legno. Con il tempo, i tavoli divennero sozzi e iniziarono a emanare cattivo odore. Periodicamente, erano levigati con un coccio di vetro o di vaso di creta, dopo che le giovani serve zingare avevano strofinato i blocchi di legno del tavolo con foglie di menta per dargli un odore piacevole. Rispetto ai lavori pesanti alla quale erano sottoposte le serve zingare, «strofinare la menta» era considerato un lavoro molto semplice, un non- lavoro.
16[5] Radu Rosetti, Părintele Zosim și alte povestiri, a cura di Radu Gârmacea, Humanitas, București, 2014
101[6] Vasile Voiculescu, Iubire magică. Zahei orbul, a cura di Victor Iova, Ed. Cartea Românească, București, 1982.
407[7] N.D. Cocea, Vinul de viața lunga, Cultura Națională, București, 1931
420[8] Felix Aderca, Femeia ci Carneade albă, prefazione di Henri Zalis, Hasefer, București, 2012
143[9] Ion Chelcea, Țiganii din România. Monografie etnografică, Ed. Institutului Central pentru Statistică, București, 1944. È un libro controverso, che ha predicato negli anni Quaranta il bisogno di isolare i rom perché questi non possono adattarsi e integrarsi nelle comunità, costituendo un pericolo sociale.
567[10] Delia Grigore, Fundamente ale căsătoriei în cultura tradițională romani, studio inedito, 2004. Ringrazio l'autrice per il permesso di citarlo.
145[11] Vasile Voiculescu, Capul de zimbru, a cura di Victor Iova, Ed. Cartea Românească, Bucarest, 1982.
1[12] Smith Thompson, Motif-Index of Folk-Literature: a classification of Narrative Elements in Folktales, Ballads, Myths, Fables, Medieval Romances, Exempla, Fabliaux, Jest-Books and Local Legends, edizione rivisitata e ampliata, vol. 5, Rosenkilde and Bagger, Copenhaga,  1958.
80[13] Andrei Oișteanu, Ordine și Haos. Mit și magie în cultura tradițională românească, III edizione rivisitata, ampliata e illustrata, Polirom, Iași, 2013.
289[14] Cristea Sandu Timoc, Cântece bătrănești și doine, Editura pentru Literatură, București, 1967.
203[15] V.I.Propp, Rădăcinile istorice ale basmului fantastic, trad. di Radu Nicolau, prefazione di Nicolae Roșianu, Univers, București, 1973.
493[16] Costanța Vintilă- Ghițulescu, Patimă și desfătare. Despre lucrurile mărunte ale vieții cotidiene în societatea românească, 1750-1860, Humanitas, București, 2015
379[17] Călători străini despre țarile române în secolul al XIX-lea, nuova serie, vol.I (1801-1821), volume curato da Georgeta Filitti, Beatrice Marinescu, Șerban Rădulescu- Zoner, Marian Stroe, redattore responsabile: Paul Cernovodeanu, Ed. Academiei române, București, 2004.
33[18] Radu Rosetti, Amintiri. Ce-am auzit de la alții, cura e prefazione di Mircea Anghelescu, Ed. Fundației Culturale Române, București, 1996.
135[19] George Mihail Zamfirescu, Maidanul cu dragoste, vol. I-II, Editura Națională Ciornei, București, 1933.
430[20] Octav Șuluțiu, Ambigen, romanzo illustrato con incisioni di I. Anestin, Vremea, București, 1935.
135[21] idem
135[22] idem
420[23] idem
155[24] Maria Luisa Lombardo, Erotica magna. O istorie a literaturii române, dincolo de tabuurile ei, Editura Universitații de Vest, Timișoara, 2004.
525[25] Ion Barbu, Poezii, ed. curata da Romulus Vulpescu, Albatros, București, 1970.
454[26] François Villon, Opere complete, prima traduzione integrale, in versi, in lingua romena, dalla vecchia lingua francese e dal gergo ghibellino, con note, annotazioni e commenti di Ionela Manolescu, Info Team, Bucarest- Montréal, 1994.
508[27] Barbara Sherman Heyl, The Madam as Entrepreneur: Career Management in House Prostitution, Transaction Books, New Brunswick, 1979.
509[28] Sorin M. Rădulescu, Sociologia și comportamentul sexual deviant, Nemira, București, 1996.
522[29] Elena Alina Tăriceanu, Prostituția: Politici și practici. În cine dăm cu piatra?,Polirom, Iași, 2014.
523[30] Adrian Marjuru (coord.), Prostituția: Între cuceritori și plătitori, Paralela 45, București, 2007.
524[31] Dan Horia Mazilu, Profesionistele amorului venal, in Dan Horia Mazilu, Lege și fărădelege în lumea românească veche, ed. cit., pp. 411-418.
668[32] Nicoleta Roma, «Deznădăjduită muiere n-au fost ca mine». Femei, onoare și păcat în Valahia secolului al XIX-lea, Ed. Humanitas, București, 2016.
673[33] Constanța Vintilă-Ghițulescu, «Discipline ecclésiastique – discipline sociale. La prostitution au XVIII siècle à Bucarest», Romanian Political Science Review, IV (2), 2004, pp. 282-284.
526[34] Un libro di riferimento per la Francia è quello pubblicato nel 1836 (dopo una ricerca di otto anni) dal dottor Alexandre Parent-Duchâtelet, intitolato De la prostitution dans la ville de Paris, considérée sous le rapport de l’hygiène publique, de la morale et de l’administration. Oggi, 22 settembre 2015, mentre scrivo queste righe, si è aperto a Parigi, al Musée d’Orsay (in collaborazione con il Museo Van Gogh di Amsterdam), l’esposizione intitolata Splendori e miserie. Immagini della prostituzione in Francia (1850-1910). I due commissari dell’esposizione (aperta fino al 17 gennaio 2016) sono Marie Robert e Isolde Pludermacher. Sono esposti lavori di Manet, Picasso, Degas, Van Gogh, Toulouse-Lautrec, Munch, Vlaminck, Van Dongen, Kupka, Gervex. Si veda la recente esposizione realizzata da Ioana Moldovan, «Demimondenele», Revista 22,15-21 dicembre 2015, p.12.
522[35] idem.
328[36] Dan Alexe, Dacopatia și alte rătăciri românești, Ed. Humanitas, București, 2015.