Inedito. Da «Sessualità e società. Storia, religione e letteratura» di Andrei Oișteanu (III) Pubblichiamo la traduzione del brano Omosessualità, innata o acquisita tratto dall'opera Sexualitate și societate. Istorie, religie și literatură di Andrei Oișteanu, Editura Polirom, Iași, 2016. Si tratta della terza di una serie di traduzioni di brani estrapolati dall'opera, e qui proposti, che nascono dalla volontà di far conoscere, agli addetti ai lavori ma non solo, la genialità di uno scrittore e la particolarità di un’opera che non conosce ancora una sua versione italiana. Così come abbiamo visto precedentemente, nella richiesta di divorzio del 3 ottobre 1836, Ruxandra Balș si lamentava con il metropolita della Moldavia perché suo marito, «il comandante Anastasachi Bașota», la privava «dei piaceri coniugali». Si tratta di una querela, presente nell’archivio della Metropolia di Moldavia e Suceava, pubblicata dallo storico Mihai-Răzvan Ungureanu. «Sono trascorsi cinque anni da quando quello che prima era mio marito non conosce il mio letto!», scriveva indignata la signora Balș. Non era l’impotenza del signore la causa dell’inadempimento dei doveri «coniugali», ma le inclinazioni omosessuali del comandante Bașota. «Un’ostinazione indecente la sua – continua la querela di Ruxandra Balș – che l’ha portato a una stramba decisione». La giovane signora Balș ha deciso di esonerare il metropolita dai particolari del peccato di omosessualità: È evidente che Ruxandra Balș aveva problemi di linguaggio nel nominare l’omosessualità nella sua richiesta di divorzio. I termini «omosessuale» ed «eterosessuale» sono stati forgiati qualche decennio più tardi, nel 1869, dal pubblicista ungherese Karl-Maria Kertbeny. Le formule utilizzate dalla signora Balș andavano da «ostinazione indecente» a «stramba decisione». Sia detto tra parentesi, tuttavia, che l’omosessualità all’epoca non era un fatto tanto «poco conosciuto», come si lamentava la giovane signora. Due secoli prima delle vicende erotiche della signora Balș, l’omosessualità era espressa vivacemente da Grigore Ureche. Il cronista moldavo credeva, per esempio, che il passaggio all’islamismo di Iliaș II Rareș Vodă (1546-1551) aveva condotto il signore, «convertito all’Islam» alla «libertà [erotica] maomettana». Era un principe dalle pratiche bisessuali, pulsioni omosessuali diurne e lussurie eterosessuali notturne: Avendo accanto a sé giovani consiglieri turchi – scriveva La riverenza verso l’Islam di Iliaș Rareș Vodă si è estesa anche al fratello di questi, che gli è succeduto sul trono della Moldavia per un breve periodo, il principe Ștefan Rareș (1551-1552). Nella sua cronaca, il priore Eftimie, che visse durante il regno di entrambi i fratelli, descrisse a sua volta gli eccessi e i peccati sessuali (e non solo) praticati da Ștefan Rareș Vodă. A grandi linee, il cronista delinea un ritratto cupo: [il sovrano ha portato] puttane turche e imam [= chierici] A metà del XV secolo, quando era adolescente, Radu Drăculea (il fratellastro di Vlad Țepeș), futuro principe della Valacchia (1462-1475), si trovava alla corte del sultano Maometto II il Conquistatore come suo ostaggio di lusso. Essendo un ragazzo molto bello (da qui il soprannome «il Bello»), divenne il favorito del sultano da un punto di vista sessuale. E ciò dopo essersi opposto a una violenza da parte di questi, come racconta il cronista bizantino Laonico Calcondila: Essendogli caro il ragazzo, [Maometto II] lo invitò alle baldorie Bisogna sottolineare il fatto che, nella religione islamica, l’omosessualità è vista come «una cosa terribile [= spaventosa] è ripugnante», della quale lo stesso Allah avrebbe detto: Nel Corano è prevista una punizione pubblica dell’omosessuale attraverso lapidazione. (Corano II, 80, Sūrat Hūd). Qualche volta si infligge anche la morte sul rogo a colui che è considerato colpevole. Per esempio, il teologo Ibn Hazm al-Andalusī (Trattato sull’amore e gli amanti, XI secolo) sosteneva che, nel VII secolo, il califfo Abu Bakr ha mandato al rogo un peccatore simile, «perché lascia che l’ano sia adoperato come il genitale femminile» ([5] 212, pp.242-243). «Scene di una raffinata indecenza» appaiono anche nella letteratura sefardita, di lingua ebraica, al tempo della sua epoca d’oro (X-XV secolo). «Era una poesia straordinaria, sfacciata – constata Amos Oz –, dedicata al profondo amore carnale, sessuale, e qualche volta omosessuale» ([6] 533, p.205). Evidentemente, l’omosessualità degli aristocratici non era solo una prerogativa dei turchi. Il giovane Petru Cercel, futuro principe di Valacchia (1583-1585), è stato per alcuni anni (1579-1581) presso la corte del re di Francia, Enrico III, di cui era nota l’omosessualità. Portando al lobo un orecchino (ricevuto chiaramente dal monarca francese), Petru Cercel ha appreso qui le pulsioni omosessuali, essendo uno dei giovani favoriti del re, soprannominato Les Mignons (= Il carino). Dopo due secoli, Voltaire stesso, parlando dell’«amore socratico», si ricordò degli «amanti», dei «paggi», dei «giovani aristocratici al servizio del delfino» (Dizionario filosofico, 1764) ([7] 280, p.36). Tuttavia, il secolo fanariota ha lasciato l’impronta sulle cattive abitudini dei boiari romeni. In Europa, la penetrazione sessuale anale, anche in una donna, era detta «stile turco» ([8] 702, p.64). Nella lingua popolare romena, le relazioni omosessuali tra ragazzi finirono per essere conosciute come «consuetudini turche», come le definisce B. P. Hasdeu nel 1863 ([9] 222, p.257). Anche il protagonista di un racconto del prosatore di Brăila Panait Istrati (Stavru, 1924) acquisì simili consuetudini sessuali nei suoi pellegrinaggi specialmente in Turchia ([10] 138, pp.17). La narrativa di Panait Istrati sollevò uno scandalo pubblico legato al suo orientamento sessuale. Lo scandalo fu scatenato, nel 1929, dal giornalista Pamfil Șeicaru sul quotidiano Curentul di cui era direttore. L’omofobo Șeicaru descrisse Istrati come «il misero poeta dei deretani sverginati» ([11] 435, p.11). Che confusione pericolosa – che incoraggiamento a tutti gli Era un’epoca (dopo la Prima guerra mondiale) in cui simili polemiche facevano la delizia della stampa. Nemmeno il libellista Tudor Arghezi si è tenuto lontano da questo soggetto. In un articolo del 1928, pubblicato in Bilete de papagal, Arghezi prendeva in giro pesantemente gli omosessuali («Esiste un sentimento e un romanticismo sincero del deretano») soprattutto fra quelli del mondo degli artisti: «Tutti gli individui che vuoi frustare e investire con il carro sono omosessuali. Qui un pianista, lì un attore, un ballerino…» ([13] 612, pp.886-887). Nel Codice Penale «di Carlo II» (adottato nel 1936), l’articolo 431 prevedeva per «gli atti di inversione sessuale» punizioni con la prigione dai 6 mesi ai 2 anni, soprattutto se le relative manifestazioni «provocavano scandalo pubblico». Ma simili polemiche (tipo Pamfil Șeicaru versus Panait Istrati) nel periodo interbellico non erano alimentate tanto da posizioni legali o morali, quanto da quelle ideologiche. I «Destroidi» si affrontarono con i «Sinistroidi», e viceversa. In quella stessa epoca scoppiò un altro scandalo sulla stampa attinente a questo argomento. Nel 1934, il giornalista e scrittore ortodosso Sandu Tudor (direttore della rivista Credința) insultò Petru Comarnescu (leader dell’associazione Criterion) e gli amici ballerini da cui era circondato, nominandoli «i cavalieri di Courland» (un riferimento alla provincia di Curlandia, un tempo ducato, della Lettonia). Si giunse perfino alle sfide a duello, ma mai sino alla fase dell’invio dei testimoni ([14] 435, pp.6,11). Nel gennaio 1932, Comarnescu prese la decisione categorica di non scrivere sul proprio giornale: Il pensiero che [le mie note] saranno viste Per ciò che riguarda Petru Comarnescu, non sapremo mai se il terrore di sé stesso era motivato dai suoi comportamenti omosessuali e dalle sue esperienze narcotiche con la mescalina ([15] 107, pp.424-427). Le allusioni a un orientamento sessuale «turco» appaiono anche per Mateiu Caragiale (I principi della Corte-antica, 1929). Si tratta di un’opera profondamente omofoba, che parla della mentalità urbana dell’epoca. A essere chiamato in causa è un diplomatico, non a caso soprannominato «Finocchietto», un giovane che utilizza un «turco al mese» così come altri utilizzano un «cocchiere [= vetturino] al mese». Un ragazzo molto promettente, mostrando, Il termine icioglan utilizzato da Mateiu Caragiale è – come altrimenti? – un prestito dal turco. Esso è entrato nella lingua romena perché l’abitudine che suppone è entrata nel comportamento dei signori romeni. Alla fine del XIX secolo, nella spiegazione di Lazăr Șăineanu, icioglan (tc. ič-oghlany) significa «bambino di casa o paggio presso i Sultani turchi e i Signori romeni» ([17] 438, p.301). Nella prima metà del XIX secolo, per Iordache Golescu, il termine si traduceva con «ragazzo usato come partner a scopo di pederastia». (Registro della lingua romena, 1832) ([18] 439, p.551). Al medesimo tipo di «amore turco» fa riferimento anche Alecu Beldiman nel suo poema sui moti greci del 1821: In verità, quando l’esercito turco è intervenuto nel 1821 per soffocare nel sangue i moti scatenati dall’Eteria greca in Moldavia i soldati turchi si erano abituati agli «innumerevoli rapimenti e stupri» etero e omosessuali. «Non trascorreva notte a Ieși senza stupri di donne, ragazze, ragazzi, uomini» riassunse Radu Rosetti in base a storie «ascoltate da altri». Del resto, Rosetti descrisse nei dettagli come, soprattutto i capitani dell’esercito turco (tc. beşli-aga = «capitano dei cavalieri») rapivano centinaia di adolescenti belli, 13 anni all’incirca, li «turcizzavano» (li convertivano all’Islam), li violentavano e li portavano con sé in Turchia ([19] 33, pp.111-112). Qualunque donna trama di andare con un’altra donna, Le relazioni sessuali saffiche erano percepite (solo quando erano abbordate, vale a dire molto raramente) come «masturbazioni reciproche». In un ambiente maschile, gli atti sessuali propriamente detti erano considerati solo quelli che presupponevano la penetrazione del fallo, ossia le relazioni eterosessuali, quelle omosessuali maschili e quelle zoofile. Le relazioni lesbiche rientrano in questa categoria solo quando presuppongono l’utilizzo di uno strumento fallico ([24] 671, pp.273-275). Nei testi veterotestamentari, l’omosessualità (ma solo quella praticata dagli uomini) è sanzionata severamente, con la morte: Se uno ha con un uomo relazioni carnali I testi talmudici reiterano questa posizione categorica. In generale, si applica la regola: «infrangere la legge, ma non morire» (yaavor u-val yehareg). Ci sono tre eccezioni (idolatria, spargimento di sangue e relazioni sessuali illecite) in cui si applica la regola opposta: «morire, ma non infrangere la legge» (yehareg u-val ya’avor) ([26] 533, p.212). Considerando quanto detto, non è inaspettato il fatto che il lesbismo sia ignorato come fenomeno sessuale nel Vecchio Testamento. A stento, nel Nuovo Testamento, nell’Epistola dell’apostolo Paolo ai Romani, si fa riferimento alla punizione – in egual misura – dell’omosessualità praticata sia dagli uomini che anche dalle donne. Per questo Dio ha abbandonato [i pagani] a passioni infami, Per la dirompente emancipazione delle donne nel periodo interbellico, per la liberalizzazione delle mentalità sessuali e soprattutto per la pratica del lesbismo nella prosa romena dell’epoca, si vedano alcune pagine illuminanti firmate da Adriana Babeți nel suo nuovo libro ([27] 44, pp.238-253). Si sa che le relazioni omosessuali maschili (o femminili) compaiono spesse volte in situazioni di reclusione prolungata, di vita in isolamento in compagnia solo di uomini (o donne). L’antropologo Victor Săhleanu li definisce «pseudo omosessuali» quelli che «approfittano sessualmente degli individui dello stesso sesso per mancanza di persone del sesso opposto (detenuti…)» ([28] 437, p.132). In altre parole, si dovrebbe parlare di loro come di individui con inclinazioni omosessuali acquisite, non innate. Normalmente, i militari, i marinai, i detenuti, gli alunni di collegi e orfanotrofi, pecorai e monaci, sono, per la natura delle loro vite isolate, predisposti a questo tipo di relazioni. In questa categoria dovrebbero essere incluse anche le donne dei soldati partiti per lunghe guerre. In altre parole, non solo i militari erano inclini ad azioni omosessuali, ma anche le donne rimaste sole a casa. Nella commedia Lisistrata (V secolo) Aristofane si riferisce alle relazioni lesbiche tra le mogli dei soldati ateniesi e spartani partiti per mesi interi per la guerra del Peloponneso. «È difficile per le donne dormire sole, senza la verga» (Lisistrata IV, 141) ([29] 518). Rispetto alla sorte drammatica degli omosessuali nelle prigioni comuniste (e il ricatto subito con la detenzione perché diventassero collaboratori della Securitate), si veda il libro pubblicato da Florian Buhuceanu (HomoIstorii. Ieșirea din invizibilitate, 2011) ([31] 435, pp.17-24). Per le relazioni omosessuali praticate in carcere è significativo il fatto che il regista Șerban Marinescu ha sentito il bisogno di introdurre nel film Cel mai iubit dintre pământeni («Il più amato dei terrestri»)(1992)una sequenza che non esiste nell’omonimo libro di Marin Preda, apparso nel 1980. Nell’universo relativo ai campi di concentramento romeni degli anni Cinquanta, il giovane intellettuale Victor Petrini – il protagonista del romanzo del romanzo e del film – è stato violentato in prigione da un altro detenuto, che lui uccide. Per il modo in cui si riflette nella letteratura romena l’omosessualità praticata durante la reclusione, va ricordato senz’altro un altro romanzo: Zahei orbul, scritto da Vasile Voiculescu negli anni 1947-1958 (prima che l’autore stesso fosse un detenuto politico nel periodo 1958-1962). Nel capitolo «Carcere» (un testo lungo quasi 80 pagine) è descritto non qualche caso isolato di omosessualità, ma un intero sistema di selezione, seduzione, distribuzione, custodia e ricompensa degli «amanti» maschili nel carcere romeno. È un vero «trattato» di sopravvivenza (omo)sessuale, in una società nascosta, completamente diversa da quella all’esterno. Una società mossa da leggi (sessuali, morali, e soprattutto biologiche) completamente diverse: Noi carcerati viviamo accoppiati […]. Il solo detenuto che riesce a rimanere al di fuori di questa allegorica sodomia è il protagonista del romanzo, il cieco Zahei, nonostante l’intera comunità di «ergastolani» (detenuti condannati alla prigione a vita) cerca di corromperlo, sia attraverso la seduzione praticata da alcuni compagni (Mânza, Gambeta..), sia attraverso la violenza. Evidentemente, il capo riconosciuto dalla comunità di detenuti («il carcerato alfa») beneficia di specifici privilegi sessuali. Non a caso, lui è soprannominato Boieru (= il signore). Questo fruisce, per così dire, del diritto del signore. Lui aveva il diritto di scegliere «gli amanti» e soprattutto di formare un harem di giovani detenuti. Il signore beneficiava di una specie di IUS PRIMAE NOCTIS, avendo il diritto di «sverginare» i novellini. Lui organizzava in prigione «matrimoni» omosessuali (ad esempio quello con il detenuto Giugiuc), con cerimonie nuziali riprodotte nei più piccoli dettagli: il prete, l’atto religioso, i treppiedi, il compare, i vestiti improvvisati, la grande baldoria… Un matrimonio come tutti i matrimoni…con il prete e l’atto Un personaggio di Geo Bogza, l’omosessuale Mandruli, quello incarcerato nella «prigione dei ladri di Doftana», è abbozzato dal poeta in maniera più schematica. Un po’ opportunista, una sgualdrina al maschile, che va a letto con i detenuti per soldi: Ora, nulla di perverso, ma con spirito da mercante I soprannomi degli «amanti» maschili non sono casuali. Come nel caso del principe valacco del XV secolo, Radu «il Bello», cui si è accennato sopra. Mandruli di Bogza è una «mândruță», ossia una «amorosa» al maschile, un «mândrețe de băiat», cioè un «fiorellino, bocconcino di ragazzo», un giovanotto «mândru» «amorevole, dolce», vale a dire – dallo slavo мѫндръ – «bello, appariscente, caro, amato». La stessa cosa per il soprannome della sposa maschio Giugiuc del romanzo di Vasile Voiculescu. Il suo nome proviene dal turco giugiuc («grazioso, bello, vistoso»), che è imparentato con il fanciullesco gigea e con il verbo a giugiuli («coccolare, accarezzare») ([35] 439, pp.368,370).
A cura di Valentina Elia
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