La magia delle fiabe romene

«Il narrare è una vera e propria esigenza intrinseca dell'uomo, una sua profonda necessità. Attraverso il racconto riusciamo, infatti, a fissare l'esistenza e ad attribuirle un senso. […] perché per ordinare e capire chi siamo, dobbiamo raccontarci». (A.Tabucchi, Dove va il romanzo? Il libro che non c’è, 1995)

Segnaliamo l’uscita, per i tipi di Besa Mucci Editore, di una nuova e più completa edizione di Fiabe Romene di Petre Ispirescu (312 pag.), traduzione di Silvia Storti e Alina Monica Turlea, con il sostegno dell’Istituto Culturale Romeno di Bucarest, tramite il programma TPS (Translation and Publication Support Programme). Fiabe Romene, in originale Basmele Românilor, del 1872-1874, edizione arricchita nel 1882, è una raccolta di produzioni popolari in prosa con una struttura specifica del fantastico avvolta in un involucro universale e nazionale.  
Petre Ispirescu, nato nel gennaio del 1830 a Bucarest, scorre la propria fanciullezza nella semplicità dei campi e dei suoi primi studi. Nel 1844 incomincia a lavorare come apprendista in una tipografia della quale, dopo anni di duro lavoro, diventa proprietario e direttore. Dal 1859, l’anno dell’unificazione dei principati romeni, lo scrittore fa attività politica e tipografica e per due anni dirige la tipografia dello Stato. Ispirescu, uomo laborioso, pubblica le prime fiabe nel 1862, poi una seconda serie nel 1872. Egli concepiva la letteratura con onesta e instancabile visione di collezionista e divulgatore di fiabe, leggende e storie contadine raccolte oralmente attraverso la viva voce dei famigliari e dei contadini chiacchieroni e astuti. Nelle fiabe del folclore romeno ritroviamo motivi e figure di pura fantasia primitiva in cui Ispirescu adegua uno stile fluido e trasparente e consolida il linguaggio che conserva il candore dell'anima di un popolo con una storia travagliata, con riferimenti al proprio carattere e destino, ai costumi e alla vita, al modo di sentire e pensare dell’antico popolo romeno, con minuta e appassionata curiosità per i piccoli gesti, per l’uomo lacerato da due forze, il bene e il male, ove la giustizia trionfa.  L'uomo diventa un creatore di codici, cioè di simboli, per mezzo dei quali interpreta la natura e la storia in sistemi più complessi, in immagini con funzione narrativa. Le Fiabe presentano un mondo in cui l'uomo arcaico integra il suo comportamento sacro, storico e naturale nel contesto della società tradizionale la cui cultura è generalmente basata sulle forme del pensiero mitico.
In Fiabe ritroviamo l’originalità dell’espressione artistica di un intero popolo, con dialoghi tipici dell’oralità, con espressioni familiari, vocaboli arcaici, ripetizioni, giochi di parole, frasi armoniose, insomma una lingua ricca e inimitabile, da qui la difficoltà della traduzione. Come ridare in italiano la lingua di un popolo, una lingua unitaria, semplice e complessa al contempo, espressiva e armoniosa senza dover scegliere il dialetto? L’abbiamo fatto mediante note integrative rese necessarie per la presenza di alcuni termini o espressioni senza corrispettivo nella lingua italiana. Consideriamo che la lettura delle Fiabe Romene sia un viaggio affascinante nel mondo magico di Ileana Simziana e di Făt-Frumos, del Maialino stregato o della Tartaruga fatata, dell’impavido Prâslea, draghi, streghe, gli zmei dei magnifici palazzi in paesi ultraterreni, che custodiscono tesori o talismani rubati, fate buone, ecc., personaggi di favole che nella loro veste italiana, auspichiamo, possano destare attenzione e interesse in chi voglia avvicinarsi ai loro valori artistici e contenuti spirituali, all’ambiente pittoresco e alla genialità di un popolo, ai classici romeni e alla letteratura popolare, alla cultura romena, in generale.

 

Giovinezza senza Vecchiaia e Vita senza Morte


C'era una volta e come mai più dopo… e se così non fosse stato, non si sarebbe raccontato; Quando il pioppo faceva le mele e il giunco le viole, quando gli orsi lottavano a colpi di coda. Quando i lupi e gli agnelli si baciavano e abbracciavano per diventar fratelli, quando la pulce veniva ferrata con novantanove libbre di ferro per ogni zampetta e volava nell’alto dei cieli per portarci le favole.

Quando la mosca firmava sul muro
Chi non ci crede è bugiardo e spergiuro.

C'era una volta un grande re con la sua regina, entrambi giovani e belli. Volevano avere dei figli e fecero di tutto per averne: si recarono da stregoni e sapienti affinché leggessero nelle stelle e prevedessero se la loro unione sarebbe stata benedetta o meno dall'arrivo di un bambino. Ma fu tutto inutile. Alla fine il re, avendo saputo che in un villaggio vicino viveva un vecchio molto abile, lo mandò a chiamare, questi rispose ai messaggeri che chi aveva bisogno di lui, doveva recarsi di persona a trovarlo. Dunque il re e la regina si prepararono e, accompagnati da alcuni boiari, militi e servi, andarono a casa del vecchio.
Appena li vide arrivare da lontano, il vecchio andò loro incontro dicendo: «Benvenuti in salute! Cosa vuole mai, da me, il mio re? Sappiate che il vostro desiderio vi porterà solo tristezza».
«Sono venuto solo per sapere se hai qualche rimedio che ci aiuti ad avere figli» rispose il re.
«Sì, ce l’ho» disse il vecchietto. «Avrete soltanto un figlio, Făt-Frumos, un bel principe amorevole, che però non po­trete godervi.»
Il re e la regina presero il rimedio e tornarono gioiosi al palazzo. Dopo alcuni giorni, la regina scoprì di essere in­cinta. Tutto il regno, la corte e i sudditi si rallegrarono di quell’evento. Ma, prima ancora di nascere, il bimbo comin­ciò a piangere ininterrottamente, tanto che nessun dottore o stregone riusciva a dargli pace. Allora il re non poté fare altro che promettergli tutte le ricchezze del mondo, ma neanche così riuscì a farlo tacere.
«Taci, figlio mio» diceva il sovrano, «e ti darò questo o quel reame. Taci, figlio mio, e ti darò in moglie questa o quella principessa, e molte altre belle cose.»
Quando si accorse che il bimbo proprio non voleva quie­tarsi, il re tentò un’altra promessa: «Taci, figlio mio, e ti darò Giovinezza senza vecchiaia e vita senza morte».
Allora il bimbo tacque e venne al mondo. Tutti i servi del regno suonarono trombe e tamburi, per una settimana intera si tennero grandiosifesteggiamenti. Col passare degli anni, più il bambino cresceva, più co­raggioso e astuto diventava. Lo mandarono a scuola dai sa­pienti e tutto quello che gli altri imparavano in un anno, lui lo imparava in un mese, tanto che il re impazziva di gioia. Nel regno tutti esultavano perché avrebbero avuto un re sag­gio e istruito come Salomone. Ma dopo un po’ di tempo, chissà perché, il principe divenne malinconico, triste e pen­sieroso.  Finché, proprio nel giorno del suo quindicesimo com­pleanno, mentre il re era a tavola per festeggiare con tutta la nobiltà e i sudditi, Făt-Frumos si alzò e disse: «Padre, è arri­vato il momento che voi mi diate ciò che mi avete promesso prima che io nascessi».
Sentendo quelle parole, il re si rattristò molto e rispose: «Ma figlio mio, come posso darti una cosa così inaudita? Se te l’avevo promessa allora, è stato solo per calmarti».
«Se voi, padre, non riuscite a darmela, allora sarò costret­to a girovagare per il mondo finché non troverò la cosa che mi avete promesso, quella per cui sono nato.»
A quel punto il re e tutta la nobiltà s’inginocchiarono di­nanzi al principe, pregandolo di non abbandonare il regno. Alla fine i boiari aggiunsero: «Tuo padre è ormai vecchio, noi eleggeremo te al trono e ti faremo sposare la più bella principessa che esista».
Ma nessuno riuscì a fargli cambiare idea, fermo com’era nella sua decisione. Il padre, quando vide che non c’era nul­la da fare, gli diede il permesso di partire, fece preparare le provviste e tutto il necessario per il viaggio. Così, Făt-Frumos andò alle scuderie reali, dove c’erano gli stalloni più belli del reame, per sceglierne uno. Non ap­pena li toccava e li prendeva per la coda, però, li faceva stra­mazzare, cosicché tutti i cavalli caddero a terra uno dopo l’altro. Alla fine, quando decise di andarsene, guardò ancora una volta nella scuderia e in un angolo intravide un cavallo macilento, incimurrito e pieno di pustole. Gli si avvicinò e, appena gli toccò la coda, l’animale voltò la testa e dis­se: «Cosa mi ordini, padrone? Che Dio sia lodato, poiché mi ha concesso di essere toccato ancora dalla mano di un prode!». E, irrigidendosi sulle magre zampe, diventò diritto come un fuso.
Allora Făt-Frumos gli disse tutto quello che aveva in mente di fare. E il cavallo rispose: «Per soddisfare il tuo desi­derio, dovrai chiedere a tuo padre la spada, la lancia, l’arco, la faretra con le frecce e gli abiti che portava in gioventù. Per quanto riguarda me, dovrai curarmi con le tue stesse mani per sei settimane e nutrirmi di orzo bollito nel latte». Il principe andò dal re per farsi dare ciò che gli aveva chiesto il cavallo. Allora il sovrano chiamò il castaldo e gli ordinò di aprire tutti i bauli con i suoi vestiti, affinché il fi­glio potesse scegliere quel che desiderava. Făt-Frumos, dopo aver rovistato per tre giorni e tre notti, trovò finalmente, in fondo a un vecchio baule, i vestiti e le armi di quando suo padre era giovane. Le armi, però, erano molto arrugginite. Si mise lui stesso a pulirle e, dopo sei settimane, riuscì a farle diventare lucide come uno specchio. Nel frattempo curò an­che il cavallo nel modo in cui gli era stato chiesto.
Quando il cavallo seppe dal principe che le armi e i vestiti erano stati ben puliti e preparati, si dette uno scrollone, sba­razzandosi di tutte le croste e della rogna che aveva addosso. Tornò così com’era quando nacque: un cavallo forte, bello e con quattro ali. […]







A cura di Alina Monica Turlea
(n. 6, giugno 2022, anno XII)