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Perché tradurre Eminescu? Perché questo sonetto?
Cercare di dare una risposta a voi, amici lettori, è come tentare di dare una risposta a me stesso. Il tempo cancella. Questo è particolarmente vero quando si è anziani o, come scherzosamente si dice oggi, diversamente giovani! Spesso la memoria si fa più labile. Cosa in noi resta allora della cultura? Mi viene in mente un adagio francese: «La culture c’est ce qui reste lorsqu’on a tout oublié». Traduco: «La cultura è quel che resta quando abbiamo dimenticato tutto». Frase attribuita a torto a Édouard Herriot, eminente politico francese (1872-1957), perché Herriot stesso ha precisato di averla tratta da un moralista giapponese. In un’età in cui io personalmente non posso più fare affidamento sulla memoria di una volta, si fanno peraltro strada fra i miei ricordi alcuni versi di poeti a me cari. In particolare, per l’Italia, Giacomo Leopardi; per la Francia, Paul Verlaine; per la Romania, Mihai Eminescu. Ma cos’è la poesia?
Anni fa ho tentato di darne una definizione. L’ho scritta da qualche parte, ma, a proposito di memoria, non ricordo dove. Suonava più o meno così: «La poesia è un viaggio dall’individuale all’universale in un treno i cui passeggeri viaggiano su vagoni di parole, trasportando sentimenti, idee, immagini e musica, fino alla stazione d’arrivo, felici di poter condividere con gli altri il proprio bagaglio».
Mi piace sottolineare, al riguardo, l’importanza che per me riveste la musica in un componimento poetico. Mi viene incontro, in questo, proprio Verlaine che non a caso, nel primo verso de L’art poétique” (1884), a mo’ di proclama, pone un elemento. Quale? De la musique avant toute chose … Traduco: «Musica, innanzitutto…».
In un mio articolo pubblicato nel n. 6, giugno 2019, anno IX di «Orizzonti culturali italo-romeni», riferivo di un dialogo avuto a Roma con la poetessa romena Ana Blandiana nella storica Libreria Assaggi (19 marzo 2018). Chiarendo cosa si debba intendere per musica nella poesia, ambedue eravamo d’accordo sul fatto che elemento fondamentale è il ritmo; in proposito io ho precisato che la rima è un possibile arricchimento della componente musicale.
Nel tradurre una poesia, quando l’autore l’ha concepita in versi rimati, è difficile, a volte impossibile, conservare le rime nella lingua d’arrivo. Una traduttrice del calibro della Prof.ssa Rosa Del Conte(1907-2011), in Mihai Eminescu – Poesie (Fundación Cultural Rumana-Madrid/Mucchi Editore Modena-Italia, 1989), non esclude la rima ma guarda soprattutto al ritmo e nel tradurre dà prova vuoi di un’ammirevole proprietà di linguaggio, vuoi di uno scrupolo filologico inteso come aderenza al testo originale. Châpeau!
Qualche volta però si può raccogliere la sfida che ci pone un testo originale in rima. La rima, qualche volta, non la si deve necessariamente mettere da parte. Questo quando, a mio parere, con una traduzione eventualmente un po’ più libera, si mira a una migliore resa sotto il profilo estetico. È in quest’ottica che nel mio citato articolo di «Orizzonti culturali italo-romeni» ho proposto a suo tempo una mia traduzione in rima della bellissima poesia La steaua di Eminescu. Con quale esito?
Con mia sorpresa, mi vedo arrivare un invito a recarmi presso la sede dell’Ambasciata Romena in Roma in occasione della Giornata della Cultura Romena 2023. Al centro della locandina, a caratteri cubitali, un titolo: ROMA LEGGE EMINESCU. Sotto la data (13 gennaio 2023), alcune frasi esplicative: «L’evento…vedrà protagoniste alcune delle voci liriche femminili della comunità romena e moldava in Italia, che daranno voce alle poesie di Mihai Eminescu sia in romeno che in italiano». Mi siedo nella sala in mezzo al pubblico e assisto affascinato a un succedersi di eminenti lettrici e di coinvolgenti poesie, recitate prima nell’originale romeno, poi nella traduzione in italiano. Non vi nascondo il mio stupore quando la poetessa Lucia Ileana Pop dà lettura di una poesia a me cara, La steaua, e poi annuncia la mia traduzione “Verso l’astro”, recitandola con rara maestria. Segue un rifresco nel corso del quale la suddetta poetessa si avvicina e tiene a precisare: «Ho scelto la sua traduzione perché mi piaceva in particolare la musicalità che è riuscito a infondere nei versi». Una traduzione in cui, non a caso, avevo coniugato nella musicalità sia il ritmo che le rime. Sono uscito da quella celebrazione inebriato, inebriato non solo dall’ottimo spumante!
Vengo ora al titolo di questo mio articolo. Perché tradurre Eminescu? A un editorialista romeno che anni fa, nell’ambito di un’intervista, mi rivolgeva questa domanda, ho risposto: «Eminescu e un dar pentru umanitate» (Eminescu è un dono per l’umanità). Questa frase è piaciuta. È così che Dumitru Oprişor, l’editorialista di cui sopra, ne ha fatto addirittura il titolo dell’intervista da lui pubblicata giorni dopo su Renaşterea Bănăţeană («Rinascita del Banato» – quotidiano di Timişoara, 20-7-2015, pag. 4).
Passo al sottotitolo del presente articolo. Quale sonetto del grande poeta romeno, nonostante le difficoltà traduttive, ho voluto proporre qui? Veneţia! Perché proprio Veneţia? Perché in questa poesia Eminescu, nell’associare l’amore alla morte, riassume in pochi versi profondi e magistralmente scanditi il dramma dell’umanità. A qualche lettore torneranno in mente Amore e Morte di Leopardi. Ma il grande Recanetese invoca la morte quale liberatrice da tanti umani affanni: sempre onorata invoco. Non così, quanto meno in questa poesia, è per Eminescu. Una visione pessimistica della vita accomuna i due poeti, ma con sfumature diverse. Diverse anche le loro vite: amori vagheggiati nel poeta di Recanati; amori vissuti nel poeta di Botoşani.
A proposito di vita, Eminescu si trovava a Venezia nel 1884 su consiglio medico: era opinione del suo terapeuta che un viaggio in Italia valesse a distrarlo dalla depressione. La città lagunare offre però ad autori e artisti una duplice immagine: quella di una rara bellezza e, a un tempo, quella della precarietà. La bellezza della città si associa nella mente del poeta romeno alla bellezza femminile e la bellezza femminile all’amore. Amore fra Venezia e il suo innamorato: l’Oceano. Carezze dell’innamorato all’innamorata sono il battere delle onde sui muri di antichi palazzi. Unica luce, quella della luna. Nell’oscurità della notte regna un silenzio cimiteriale rotto dai cupi rintocchi delle campane di San Marco che si fa profeta della caducità delle vicende umane. A disilluderci da ogni speranza che vada oltre questa vita, vale l’ultimo verso.
Veneţia
S-a stins viaţa falnicei Veneţii,
N-auzi cîntări, nu vezi lumini de baluri;
Pe scări de marmură, prin vechi portaluri,
Pătrunde luna, înălbind păreţii.
Okeanos se plînge pe canaluri…
El numa-n veci e-n floarea tinereţii,
Miresei dulci i-ar da suflarea vieţii,
Izbeşte-n ziduri vechi, sunînd din valuri.
Ca-n ţintirim tăcere e-n cetate,
Preot rămas din a vechimii zile,
San-Marc sinistru miezul nopţii bate.
Cu glas adînc, cu graiul de Sibile,
Rosteşte lin în clipe cadenţate:
„Nu-nvie morţii – e-n zadar, copile!
Venezia
Spenta la vita in te, grande Venezia:
Non più canti, non più luci di balli;
Su marmi e scale, per portali e calli,
Vaga la Luna e i muri imbianca e screzia.
Oceano piange lungo le tue sponde.
Lui, fior di giovinezza, invano addita,
Dono alla sposa, il soffio della vita,
Colpendo antiche mura al suon dell’onde.
Cimitero silente è la città.
San Marco cupo, a colpi reiterati,
Batte una mezzanotte senza età!
Con voce grave, avversa a ogni trastullo,
Scandisce con accenti cadenzati:
«I morti non risorgono, fanciullo!».
(Porto San Giorgio, lunedì 31 dicembre 2024)
A cura e traduzione di Alessio Colarizi Graziani
(n. 3, marzo 2025, anno XV)
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